Mafia non mafia, anatomia del blitz sui boss palermitani

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Il disfacimento delle famiglie criminali e i grandi numeri. Una volta i boss trasferivano tonnellate di morfina base dal sud est asiatico, oggi nascondono i panetti per spacciare fumo il sabato sera. Una volta erano ossessionati dal potere, oggi delinquono per fare la spesa quotidiana

Nonostante i danni provocati da quel pazzo di Totò Riina, nonostante le deportazioni in massa nelle carceri negli anni Novanta, mai e poi mai avrei immaginato destino più infame per il mondo criminale siciliano. Una volta trasportavano tonnellate di morfina base dal Sud-Est asiatico e lavoravano la “pasta” nelle raffinerie sulla via Messina Marine o sulla via Messina Montagne, oggi nascondono i panetti per ricavarne il fumo da spacciare il sabato sera. Una volta dicevano che “comandare era meglio di fottere” e avevano l’ossessione per ogni forma di potere, oggi delinquono per la campata.

Faccio queste considerazioni a margine della colossale operazione dei carabinieri di qualche giorno fa, centottantatré arresti, più che una retata un retatone, una pesca a strascico dove sono rimasti incagliati personaggi che, per loro ammissione, non hanno grande considerazione mafiosa di sé stessi.

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Scrivo questo articolo sollecitato dall’eccessivo clamore mediatico (“Cosa Nostra colpita al cuore”), dall’uso e consumo politico intorno al blitz («La mafia è alle strette, lo Stato c’è e non arretra», Giorgia Meloni) e soprattutto dal messaggio di un vecchio amico palermitano, Daniele Billitteri, cronista di razza del giornale L’Ora che mi ha insegnato il mestiere, ormai quasi mezzo secolo fa, introducendomi negli ambienti investigativi della città.

Mi ha chiesto Daniele: ma cosa ne pensi di questi arresti? Gli ho detto che l’operazione mi sembrava tanto somigliante a quelle che avevamo conosciuto insieme a Palermo e che venivano allora definite dai carabinieri “a largo raggio”, rastrellamenti dove acchiappavano pure gli scappati di casa, i guidatori senza patente, gli ubriachi molesti, e finivano tutti in ordine alfabetico in un “mattinale” da offrire golosamente alla stampa per i suoi numeri esorbitanti.

Naturalmente la mia risposta a Daniele era una battuta, ma nemmeno poi tanto. Di diverso, rispetto quelle operazioni “a largo raggio”, dietro al blitz di oggi c’è un’indagine pensata e coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo, ci sono le voci intercettate, ci sono i pedinamenti, le foto, insomma c’è un’inchiesta vera che svela i tanti affari delle famiglie sul territorio ma anche il loro inesorabile disfacimento. È davvero questa la mafia che ha preso il posto dei Corleonesi o anche di quegli altri che c’erano prima di Totò Riina? Sono loro il futuro?

A eccezione di qualche nome (veramente pochi, come per esempio uno degli Spadaro della Kalsa e in qualche modo uno dei Lo Presti di Porta Nuova), c’è poca “tradizione” fra i centottantatré. Vecchi mezzi padrini un po’ acciaccati e appena scarcerati e giovani senza storia che si ritrovano insieme in un miscuglio tutto inedito, a gestire le solite estorsioni ma anche scommesse on line, gioco d’azzardo, un tempo attività disprezzata dai mafiosi siciliani perché considerata, come anche la prostituzione e il contrabbando di sigarette, “poco dignitosa” per gli uomini d’onore.

È il segno di come cambia Palermo e il suo crimine del sottosuolo. «C’erano una volta i capi di Cosa Nostra che volevano conquistare il mondo ma a me, questi, sembrano che abbiano solo il problema di fare la spesa ogni giorno, è un fenomeno molto interessante, materia di studio per i sociologi», mi dice Billitteri. Credo che abbia ragione.

C’è anche un’altra vicenda, in mezzo alle tante del blitz, che mi ha colpito perché dimostra ancora una volta il degrado della criminalità palermitana. È l’episodio del pestaggio commissionato dal carcere e la pretesa del mandante di assistere alla scorribanda in diretta, in videocollegamento telefonico con uno smartphone entrato illegalmente nella struttura penitenziaria. Cose che appena una ventina di anni fa si facevano in silenzio, chi doveva capire capiva. Senza inutili esibizioni, senza schiuma.

È un altro segno dei tempi. E allora il dubbio è legittimo: è mafia quella di cui stiamo parlando, è la mafia siciliana che ha avuto questa trasformazione o la stiamo confondendo con qualcos’altro?

Il valore della super retata è che ha liberato Palermo di tanta marmaglia e poi di avere scoperto, se mai ce ne fosse stato bisogno, delle vergogne delle carceri con quella facilità di fare tutto lì dentro. Per il resto, ritengo che non ci sia partita fra Stato e questo tipo di criminalità: i “nuovi boss” di Palermo sono destinati al macero. Di altri, più affidabili e più presentabili in società, avremo modo di parlarne in altre occasioni.

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