di Yari Lepre Marrani –
Gli ultimi venti giorni del governo Meloni, precisamente a partire dalle date 19-21 gennaio, hanno lasciato strascichi di ambiguità di condotta del governo stesso. Il nucleo del fatto che ha portato alle indagini sulla presidente Meloni, il ministro degli interni Piantedosi, il Guardasigilli Nordio e il sottosegretario Alfredo Mantovano è ben noto: il comandante libico al-Masri, capo della polizia giudiziaria libica, responsabile della prigione di Mitiga e di crimini di guerra e contro l’umanità, è stato prima arrestato poi rilasciato dalle autorità italiane, indifferenti al mandato di cattura spiccato nei confronti di al-Masri dalla Corte penale internazionale il 18 gennaio 2025. La decisione del governo italiano sul rilascio e il rimpatrio (con tanto di volo di Stato) del criminale libico ha suscitato non poche polemiche che trovano genesi in una quanto mai fantomatica bagarre istituzionale tra i vari ministeri coinvolti: si è così passati dalle dichiarazioni di Nordio su presunti vizi di forma del mandato dell’Aja che avrebbero “compromesso” la decisione del Guardasigilli stesso il quale, a suo dire, non sarebbe un semplice “passacarte” ma avrebbe il potere di sindacare discrezionalmente le decisioni della CPI, cosa che avrebbe fatto nel caso de quo, ritenendo viziato ab origine il mandato, senza contare che il ministro della Giustizia ha un potere di valutazione discrezionale sole per le richieste di estradizione. A questo riguardo la consegna del criminale libico era dovere giudiziario prima che politico del governo italiano, ma questa cooperazione non c’è stata da parte del governo, su cui il dovere di consegnare un soggetto di tale pericolosità alla CPI era più doveroso alla luce dei crimini commessi prima ancora che per cavilli giudiziari. Una presunta incertezza temporale del mandato, invocata da Nordio a motivo delle sue decisioni, non è accettabile per uno Stato fondatore dell’Ue e, più ancora, della stessa CPI (ratifica dello Statuto di Roma). E’ lo stesso art. 87 dello Statuto a prevedere che se “uno Stato che fa parte della CPI non aderisce ad una richiesta della CPI, impedendole di esercitare in tal modo le sue funzioni e i suoi poteri”, la CPI può fare ricorso direttamente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Il governo Meloni ha già dimostrato la propria debolezza politica con il caso degli immigrati nel c.d. “modello Albania”, un’iniziativa la cui lacunosità adombra la mancanza di una visione sociopolitica concreta, confermata da quello che agli osservatori più attenti appare sempre più uno vero e proprio scontro tra i poteri dello Stato: il potere esecutivo e quello giudiziario. Con il caso al-Masri il governo in carica ha confermato la propria corruzione politica dietro la quale si cela un’ancor più grande debolezza espressa da una condotta giuridica e politica viziata, per usare le parole pronunciate da Nordio riguardo al mandato della CPI, da falsità d’intenti e scarsa competenza, specialmente nei casi in cui il governo “gioca” con la liberazione o la consegna ad un Tribunale Internazionale di un criminale internazionale. Il governo Meloni appare ictu oculi un governo corrotto, nel senso di guastato nella sua intrinseca missione di tutelare la sicurezza non solo nazionale ma internazionale, nascente dalle proprie scelte politico-giuridiche. Il caso al-Masri è un monito inequivocabile anche della debolezza di un governo incapace di rispettare non solo i propri doveri giuridici internazionali, ma il proprio ruolo di rappresentante di quei cittadini che l’hanno eletto per essere da esso tutelati e protetti. Qui l’incapacità e la superficialità politiche nascondono la corruzione politica oltre la quale c’è la profonda debolezza e mancanza di visione di un esecutivo che già troppe volte ha dimostrato errori e sottomissioni. Gli avvisi di garanzia verso i quattro protagonisti istituzionali della vicenda al-Masri non sono che il dovuto corollario di atti sbagliati del governo, tra i quali l’incapacità di risolvere quel conflitto di poteri che sembra rincorrere il governo con buon viso a cattiva sorte: la magistratura incalza il governo perché quest’ultimo sbaglia, ma la magistratura è a sua volta politicizzata. Il danno morale e sociale diventa così un monolite sotto gli occhi di tutti gli osservatori attenti.
In second’ordine, non stupisce che il caso Almasri sia stato seguito e, se vogliamo “accompagnato”, da manifestazioni di profondo ossequio della presidente Meloni stessa verso la nuova presidenza Trump, emblema di quella debolezza politica di cui si è precedentemente accennato. Il Governo Meloni risulta, tra tutti i governi europei quello più prono ai voleri dei padroni d’oltreoceano: prima la partecipazione defilata e ben collaudata della premier Meloni all’insediamento di Trump il 20 gennaio scorso alla Casa Bianca. Infine, ed è notizia di pochi giorni fa, l’ultima decisione dell’esecutivo in carica: il nostro governo rifiuta di firmare la dichiarazione congiunta sottoscritta da 79 Paesi membri delle Corte penale internazionale, dichiarazione in cui venivano criticate le sanzioni degli Stati Uniti nei confronti dell’organismo internazionale. La debolezza del nostro governo conferma quei numerosi giornalisti i quali, qua a là, parlano sempre più di un’Italia “perenne colonia americana”: un enorme declino per uno dei principali paesi e fondatori dell’Ue.
“Nemo potest personam diu ferre” diceva Lucio Anneo Seneca: nessuno può portare una maschera per sempre. La maschera farsesca del governo Meloni sta per cadere ma è ancora ben avvinghiata alla pelle degli italiani. Tra “sottomissioni atlantiche” e avvisi di garanzia alla premier e ai ministri per un fatto grave umanamente prima che giuridicamente, un paragone storico può forse aprirci gli occhi: Il 22 novembre del 1994 l’allora premier Silvio Berlusconi ricevette un invito a comparire per corruzione. Fu l’inizio della fine del primo governo Berlusconi: bastò un avviso di garanzia. E l’Italia iniziò a barcollare nell’instabilità tra un centro destra e un centro sinistra accomunati dall’incapacità di avere una visione totalmente riformatrice del Paese: come avviene oggi.
L’Italia merita molto meglio, non questo tristissimo declino sociale e politico.
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