Preoccupa e non poco la produzione industriale in rosso. I dati resi noti dall’Istat non consentono molti margini di interpretazione: -7,1 per cento a dicembre, -3,5 per cento nel 2024. L’Istituto ha sottolineato che la dinamica tendenziale dell’indice corretto per gli effetti di calendario è stata negativa per tutti i mesi dell’anno, con cali congiunturali in tutti i trimestri. Ma andiamo per gradi.
L’indice destagionalizzato mensile cresce su base congiunturale solo per l’energia (+0,9%); mentre cala per i beni strumentali, i beni di consumo (-3,3% per entrambi i settori) e i beni intermedi (-3,6%). Al netto degli effetti di calendario, a dicembre 2024 l’indice complessivo diminuisce in termini tendenziali del 7,1% (i giorni lavorativi di calendario sono stati 20 contro i 18 di dicembre 2023). Annotato un rialzo esclusivamente per l’energia (+5,5%); mentre ci sono marcate diminuzioni per i beni strumentali (-10,7%), i beni intermedi (-9,5%) e i beni di consumo (-7,3%). Gli unici settori di attività economica che registrano a dicembre incrementi tendenziali, riporta l’Ansa, sono l’attività estrattiva (+17,4%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+5,0%). Giù invece, la fabbricazione di mezzi di trasporto (-23,6%), le industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-18,3%) e metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-14,6%).
La priorità emerge subito con forza: pur avendo ben tenuto in asse i conti pubblici, il governo deve iniziare a pensare a come fare ripartire la macchina industriale italiana. I numeri sono cristallini: la produzione industriale è tornata ai livelli del 2020, ai tempi della pandemia da Covid-19 e del lockdown. Inaccettabile per un Paese come l’Italia, che risente certamente delle criticità affrontate dalla Germania ma che allo stesso tempo rischia di dover rinunciare a guadagni e quindi di dover sacrificare welfare state. La priorità non è dunque il green – anzi La transizione verde voluta da Bruxelles non ha soltanto fatto chiudere gli impianti Volkswagen, ma ha colpito duramente anche da noi – ma la concretezza, dalla pressione fiscale all’immarcescibile burocrazia.
Il tema dell’economia reale deve immediatamente passare in cima alle preoccupazioni del governo guidato dalla Meloni, chiamato a fare una scelta di campo. Anche perché è inutile sottolineare che il disastro della produzione industriale rischia di avere effetti catastrofici sui poveri. Come del resto accade con gli integralismi verdi: i ricchi patiscono poco e nulla, mentre i più poveri pagano il conto più salato.
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Altra mazzata per gli italiani arriva dal dossier energia, con costi da record. A gennaio 2025 il prezzo medio all’ingrosso è salito a 143 euro al MWh, segnando un aumento del 44 per cento rispetto a gennaio 2024, quando la media era di 99 euro al MWh. La tendenza al rialzo era già nota da ottobre, con il passaggio da 116 euro al MWh a 130 a novembre e 135 a dicembre. L’Italia purtroppo vanta il primato dei prezzi più alti: +25% rispetto alla Germania, +40% rispetto alla Francia, +48% rispetto alla Spagna e addirittura +226% rispetto alla Scandinavia.
Il ragionamento è semplice: i prezzi del gas influenzano in maniera marcata i costi dell’elettricità con il system marginal pricing. E le conseguenze per i consumatori e per le imprese sono visibili a occhio nudo. Secondo quanto reso noto da Nomisma Energie, il costo dell’energia è in rialzo del 28 per cento per le imprese nel 2025. In altri termini, l’aumento della spesa annuale per una media azienda è di oltre 65 mila euro rispetto al 2024. Una batosta anche per le microimprese. Secondo un approfondimento di Facile, riportato da Affari Italiani, un negozio con consumi annui di 75mila kWh per l’energia elettrica e 2mila Smc per il gas vedrà la propria bolletta passare da circa 12mila euro nel 2024 a oltre 16.600 euro nel 2025, con un rincaro superiore ai 4.500 euro. Il governo è al lavoro per contenere questi costi, ma c’è tanta strada da fare…
Franco Lodige, 13 febbraio 2025
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