Il centro studi di Confindustria: «L’export italiano è più esposto della media Ue al mercato Usa». Terzulli (Sace): «Se Trump decide di imporre nuovi dazi, l’impatto sull’export italiano al 2029 sarebbe di oltre 6 miliardi»
Dal 12 marzo gli Stati Uniti applicheranno dazi del 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio, da qualunque paese provengano. Lo ha annunciato nei giorni scorsi Donald Trump. La notizia non ha stupito dato che, già durante il suo primo mandato, il presidente americano aveva imposto dazi su entrambi i metalli. Dazi a cui l’Europa aveva risposto con tariffe contro i principali prodotti Usa importati nel Vecchio Continente.
La Commissione europea, pur ribadendo di essere impegnata in un «dialogo costruttivo» con gli Stati Uniti, ha già annunciato tramite un portavoce che l’Ue si opporrà «a barriere ingiustificate al commercio libero ed equo», mettendo in atto tutte le misure necessarie a proteggere i suoi interessi economici.
Nuova tornata di tariffe reciproche
Intanto giovedì, in un post scritto in maiuscolo sul suo social media Truth, Trump ha anticipato che verrà annunciata una nuova tornata di tariffe reciproche contro i Paesi che impongono dazi sulle importazioni statunitensi. L’obiettivo è pareggiare i conti con i Paesi che impongono tasse sui beni americani e risolvere così quelle che ritiene pratiche commerciali sleali. «Se loro ci tassano, noi tassiamo loro, allo stesso modo», ha detto il presidente nello Studio Ovale.
I costi per l’Italia
Trump ha ribadito più volte che anche le altre importazioni dall’Unione europea saranno colpite da nuove tariffe, che potrebbero costare diversi miliardi alle imprese italiane. Gli Stati Uniti sono la prima destinazione extra-Ue dell’export italiano di beni e di servizi. Nel 2024 le vendite di beni italiani negli Usa sono state pari a circa 65 miliardi, generando un surplus vicino a 39 miliardi, ricorda il centro studi di Confindustria. L’export italiano è più esposto della media Ue al mercato Usa: 22,2% delle vendite italiane extra-Ue, rispetto al 19,7% di quelle Ue. Secondo le simulazioni realizzate da Prometeia a novembre prima del voto americano, i costi aggiuntivi per l’Italia andrebbero da oltre 4 miliardi, ipotizzando un aumento di 10 punti percentuali solo sui prodotti che già sono sottoposti a dazi, fino a oltre 7 miliardi di dollari in caso di un aumento tariffario generalizzato di 10 punti. «Se Trump decidesse di imporre maggiori dazi rispetto a quelli già in vigore (60% per la Cina e 10% per gli altri partner commerciali), come promesso in campagna elettorale, gli effetti si inizierebbero a sentire dal 2026» spiega Alessandro Terzulli, capo economista di Sace. «L’impatto di questi ulteriori dazi sull’export complessivo italiano al 2029 sarebbe pari a 6,8 miliardi di euro, secondo le nostre stime», prosegue Terzulli.
I settori più esposti
Secondo un’analisi del centro studi di Confindustria tra i settori più esposti al mercato americano ci sono: le bevande (39%), gli autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto (30,7% e 34,0%, rispettivamente) e la farmaceutica (30,7%). «È attivata direttamente e indirettamente dal mercato Usa una quota significativa delle vendite totali del farmaceutico (17,4%) e degli altri mezzi di trasporto (16,5%). Seguono gli autoveicoli, i macchinari e impianti, gli altri manifatturieri, pelli e calzature. Per il totale manifatturiero, il peso degli Usa come mercato di destinazione è pari a circa il 7% delle vendite (5% da flussi diretti e il restante da connessioni indirette)», si legge nell’analisi. «Altri prodotti italiani per cui è rilevante il mercato americano, secondo i criteri di esposizione e surplus, comprendono anche mezzi di trasporto, macchinari e alimentari e bevande: settori merceologici con alta propensione all’export, per i quali la domanda statunitense si è rafforzata negli ultimi anni, quindi altrettanto potenzialmente uno strumento di negoziazione per l’amministrazione Usa».
L’impatto dei dazi su acciaio e alluminio
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, intervistato da Claudia Voltattorni, ha spiegato che i dazi su acciaio e alluminio «influiscono poco sui prodotti italiani. Gli Stati Uniti sono al 19° posto come Paese di destinazione dei nostri prodotti. Le esportazioni italiane di acciaio verso gli Usa si sono più che dimezzate tra il 2018 e il 2024: nell’ultimo anno sono state poco meno di 160mila tonnellate, in calo del 62% rispetto alle 420mila tonnellate del 2018». Le nostre esportazioni, ha aggiunto Urso «sono prevalentemente acciai speciali, prodotti di alto valore il cui prezzo consente comunque di superare la soglia imposta dai dazi. Anche le esportazioni di alluminio e semilavorati hanno registrato un calo del 21% tra il 2018 e il 2024. I dazi possono avere qualche contraccolpo sul mercato europeo ma piuttosto limitato almeno per quanto ci riguarda».
L’obiettivo dell’amministrazione Trump
Il segretario al Tesoro americano Scott Bessent, nei giorni scorsi ha spiegato che la finalità dei dazi è riportare la produzione manifatturiera negli Stati Uniti. «Fin dal suo insediamento Bessent aveva spiegato che i dazi hanno tre obiettivi principali: incentivare la produzione americana, far crescere le entrate per compensare i tagli delle tasse promessi in campagna elettorale, garantire agli Usa una forte leva negoziale», ricorda Terzulli.
Cosa possono fare l’Europa e l’Italia
Bruxelles ha lasciato intendere di essere disposta ad aumentare l’acquisto di gnl, commesse militari e prodotti agricoli statunitensi in cambio di relazioni più «distese» con il neopresidente. Tuttavia l’Ue si sta preparando anche alla linea dura. Come era già successo nel 2018, l’Unione europea potrebbe decidere di colpire prodotti come gli alcolici, in particolare whiskey e bourbon, ma anche Harley Davidson, suv e pick-up. L’Europa potrebbe poi rendere più difficile per le big del tech e come Microsoft e Tesla accedere agli appalti pubblici. Come extrema ratio, potrebbe decidere di attivare lo strumento anti-coercizione che consente alla Commissione di intraprendere azioni contro Paesi extra-europei, avvalendosi di misure che vanno dalle limitazioni commerciali alle restrizioni per investimenti e finanziamenti. Tuttavia il ricorso a questo strumento al momento è considerato eccessivo.
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