Export di armi italiane a 6,31 miliardi, ma il governo Meloni vuole ridurre la trasparenza sulle banche coinvolte
In Italia, ogni anno viene pubblicata una lista dei cosiddetti “istituti armati”, ovvero le banche che sostengono economicamente l’export di materiale bellico. Questa lista è parte della Relazione del governo al Parlamento sulle esportazioni di armamenti, ma potrebbe presto scomparire a causa di una proposta di modifica della legge 185 del 1990. Il governo guidato da Giorgia Meloni, con il ministro della Difesa Guido Crosetto tra i principali promotori, punta infatti a modificare questa legge attraverso una riforma che mira a ridurre la trasparenza nelle esportazioni di armamenti, eliminando, tra le altre cose, la sezione del rapporto al Parlamento che riporta i nomi delle banche coinvolte in queste operazioni. L’iniziativa ha suscitato critiche da parte di organizzazioni come Banca Etica e “Rete Pace e Disarmo”, che denunciano un passo indietro nella trasparenza finanziaria del settore bellico. Di conseguenza, la possibilità di monitorare questi finanziamenti potrebbe ridursi sensibilmente, rendendo più difficile comprendere il ruolo delle banche nel settore della difesa. L’ultimo rapporto disponibile, riferito al 2023, rivela che il valore delle esportazioni italiane di armi autorizzate è stato di 6,31 miliardi di euro, con una crescita del 19,3% rispetto all’anno precedente. I destinatari delle forniture sono stati ben 83 paesi, ma – come ha spiegato “Il Fatto Quotidiano” – il flusso di denaro gestito dalle banche non corrisponde esattamente a questi numeri, poiché i contratti spesso si sviluppano su più anni. Secondo il Ministero dell’Economia, nel 2023 le transazioni finanziarie legate all’export di armamenti hanno raggiunto gli 11,9 miliardi di euro, in calo rispetto ai 16,8 miliardi del 2022. Di queste operazioni, il 69% è stato gestito da tre banche principali: Unicredit, Deutsche Bank e Intesa Sanpaolo. Inoltre, l’86% delle garanzie e dei finanziamenti concessi al settore è stato negoziato da Unicredit, Bnp Paribas (succursale italiana) e Intesa Sanpaolo. In altre parole, la maggior parte del sostegno finanziario a questo settore proviene dalle due maggiori banche italiane, seguite da istituti stranieri come la tedesca Deutsche Bank e la francese Bnp Paribas.
Analizzando più nel dettaglio i finanziamenti, Unicredit ha erogato 1,33 miliardi di euro per esportazioni definitive di armamenti, seguita da Deutsche Bank con 804 milioni e Intesa Sanpaolo con 794 milioni. Anche altri istituti, sia italiani che stranieri, risultano coinvolti: Popolare di Sondrio (358,6 milioni), Bnl (304 milioni), Barclays Bank Ireland (162 milioni) e Crédit Agricole (77 milioni). Nella lista compaiono persino alcune banche pubbliche o partecipate dallo Stato, come Mcc (6,5 milioni), Sace (2,85 milioni) e Banca Mps (2,6 milioni). Anche Poste Italiane ha finanziato esportazioni per circa 313.000 euro. Inoltre, se si considerano anche le garanzie e i finanziamenti concessi o rinnovati nel 2023, per un totale di 5,46 miliardi di euro, emerge che Unicredit ha fornito 1,49 miliardi, Intesa 968,7 milioni, seguite da istituti francesi come Crédit Agricole (601 milioni), Bnp Paribas (571 milioni) e Société Générale (288 milioni). Tra le banche tedesche figurano Bayerische (270 milioni), Deutsche Bank (207 milioni) e Commerzbank (75 milioni). Il finanziamento dell’industria delle armi, tuttavia, non è un fenomeno esclusivamente italiano ed europeo, ma coinvolge, ovviamente, anche le principali banche mondiali. Secondo uno studio intitolato “Finance for War. Finance for Peace”, pubblicato a febbraio 2024 dall’Alleanza globale delle banche valoriali (Gabv) e Banca Etica, il settore bancario e i fondi di investimento supportano i produttori di armamenti con almeno mille miliardi di dollari a livello globale. La spesa militare mondiale, nel 2023, ha infatti raggiunto il record di 2.443 miliardi di dollari, come riportato dal Sipri di Stoccolma. Ad ogni modo, le banche statunitensi dominano il settore, con Vanguard in testa con 92 miliardi di dollari investiti in aziende produttrici di armi, seguita da State Street (68 miliardi) e BlackRock (67 miliardi). Quest’ultima, tra l’altro, detiene partecipazioni in Leonardo, il colosso italiano della difesa, e ha recentemente ricevuto il via libera dal governo Meloni per aumentare la propria quota oltre il 3%. Altri giganti finanziari americani, come Capital Group, Bank of America e JP Morgan Chase, figurano tra i principali investitori in armamenti. Anche le banche europee, seppur meno coinvolte rispetto a quelle americane, hanno una presenza significativa nel settore. Bnp Paribas ha investito 14 miliardi di dollari, Deutsche Bank 13 miliardi e Crédit Agricole 10 miliardi. Société Générale e Ubs seguono con 7 miliardi ciascuna, mentre Barclays ha investito 6 miliardi. Unicredit e Intesa Sanpaolo, rispettivamente con 4,4 e 2,1 miliardi di dollari, si trovano in posizioni più arretrate.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Foto © Imagoeconomica
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