Il Sud appeso a un Pnrr nel Paese dei salari bassi

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di Giovanni Vasso





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Il Nord non crescerà più di tanto e il Sud resta appeso a un Pnrr. Senza gli investimenti del Piano, secondo gli analisti Svimez, il Mezzogiorno – che non cresce più a ritmi superiori alle altre aree del Paese così come era accaduto negli ultimi due anni, 2024 compreso (+0,8% contro 0,6%) – vedrebbe crescere, ancora di più, il divario con il Settentrione. Un Paese che, in fondo, non cresce più nemmeno tanto: i dati fanno ipotizzare una crescita risicata del Pil dello 0,7 per cento quest’anno e dello 0,9 percento nel 2026. Numeri che collocherebbero l’Italia in fondo alla graduatoria della crescita dei Paesi più industrializzati. Sempre che i dazi annunciati da Donald Trump restino solo sulla carta e non si traducano in una realtà capace di conculcare, ancora di più, le speranze di rilancio dell’Italia. Se dovessero entrare in vigore le tariffe Usa, per il Nord, che proprio dall’export trarrebbe la sua rinnovata forza di traino economico, sarebbero dolori. Anche perché è proprio in quest’area del Paese che si concentra il 70% della produzione industriale. Che, come ha svelato l’Istat in un report pubblicato nella giornata di ieri, s’è appena lasciata alle spalle un’annata nerissima: -3,5%. Nei guai ci sarebbero settori cruciali, divenuti negli anni simbolo del Made in Italy come l’automotive, il comparto tessile, l’abbigliamento, la pelletteria e gli accessori. Il ministro all’Industria Adolfo Urso ha commentato il tracollo affermando che si tratta di una “crisi europea” e non solo italiana e, in audizione alla Commissione attività produttive alla Camera, ha puntato il dito su quanto sta avvenendo, ad esempio, in Germania affermando, al contempo, di voler fare dell’Italia la seconda manifattura europea.

Dal punto di vista della vitalità del turismo, spiegano da Svimez, il Lazio si affida al Giubileo per vedere moltiplicarsi le sue entrate mentre Lombardia e Trentino sperano nell’effetto positivo delle Olimpiadi invernali del ’26. Per quanto riguarda i servizi, che rappresentano una voce fondamentale della crescita prevista per i prossimi anni, l’Italia non vanterebbe un comparto davvero all’avanguardia (solo il 20% dei market services sia al Nord che al Sud sono legati ai Kis, ad alto livello di competenza) e la produttività dei servizi resta zavorrata da gap allo stato incolmabili. Il sistema si regge sul (solito) delicato equilibrio a spese dei lavoratori i cui salari risultano tra i più bassi d’Europa. Insomma, tutto il gioco si regge su paghe scarne e imparagonabili rispetto a quelle degli altri Paesi Ue. E, allora, non risulta sorprendente più di tanto il fatto che i giovani inizino a scappare via anche, se non soprattutto, dalle città del Nord. Come riporta il Sole 24 Ore, la Fondazione Nord-Est riferisce che tra il 2011 e il 2023 un esercito di 266mila giovani tra i 18 e i 34 anni ha abbandonato il Settentrione alla ricerca di una vita migliore, di un lavoro più gratificante all’insegna di paghe dignitose e condizioni più umane.  

La gara delle Regioni verso la crescita, infine, conferma l’ascesa inarrestabile dell’asse del Nord-Est: il Veneto punta a una crescita dell’1,2% per il 2025, seguito dalla Lombardia all’1,1% e dall’Emilia Romagna all’1%. Male Puglia e Molise (+0,5%), peggio l’Umbria (0,2%); il mezzo flop della Liguria (+0,4%) attesta la “fine” del vecchio triangolo industriale Milano-Torino-Genova a favore dell’asse che guarda alla Mitteleuropa e all’Est. Infine la vicenda consumi: al Nord, secondo le previsioni Svimez, le famiglie l’aumento delle spese rispetto a quelle del Sud sarà (almeno) doppio. Ciò a causa dell’indebolimento delle politiche per le famiglie, che impatterebbero più al Mezzogiorno che nel Settentrione e, soprattutto, perché la riforma dell’Irpef, insieme all’intervento sul cuneo fiscale, avvantaggeranno i redditi dei lavoratori dipendente, che sono in maggioranza proprio nel Centro-Nord. Al Sud rimane il Pnrr e i progetti di centralità mediterranea. E perciò il dg Luca Bianchi chiede di “accelerare l’attuazione del piano da cui dipende il 60% della crescita, e sostenere con politiche industriali attive le imprese innovative sono le chiavi per non rassegnarsi al ritorno alla normalità di un Paese a due velocità” mentre il presidente Svimez Adriano Giannola riassume in poche frasi lo scenario: “Due aspetti emergono dalle previsioni Svimez: si riapre il divario tra Nord e Sud, dopo 2 anni in cui il Mezzogiorno, grazie al Pnrr, aveva vissuto una stagione di normalità. E anche la ripresa del Nord, trainata dall’export, rischia gli effetti della mina Trump. Per il meridione la strada praticabile resta cavalcare l’opportunità mediterranea”.


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