Caravelli e Mantovano rispondano davanti al giudici penale

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Ci dica cosa è andato a fare in Libia. Tiri fuori le carte. Accetti di andare a processo davanti a un giudice penale (non solo civile), dove non sono ammessi segreti e omissioni. E dove si devono ascoltare i testimoni. E poi ci dica: chi aveva avvertito i libici prima della scarcerazione?

C’è aria nuova nei servizi segreti. Sono cambiate molte abitudini. La prima novità l’abbiamo fatta notare ieri su questo giornale: sembra che invece di occuparsi di prendere i criminali si occupino di come evitare che i criminali siano imprigionati. E vabbè. La seconda novità è che il loro nuovo strumento di azione è la querela. Querelano un po’ tutti. Ora ci sono due cose note a chiunque: la prima è che la querela – quando a sporgerla è una autorità politica o dello Stato – è uno strumento di intimidazione (io ne so qualcosa: è infinito l’elenco dei magistrati celebri che mi hanno querelato proprio con lo scopo di intimidirmi e spingermi a non denunciare i loro comportamenti); la seconda cosa nota è che i servizi segreti sono pericolosi e forti, e possono colpirti in vari modi. Anche molto sleali o violenti. Il combinato disposto di queste due constatazioni dice che non è una bella cosa finire nel loro mirino. Di conseguenza ricevere una querela dagli 007 non fa piacere e desta qualche preoccupazione.

Prima i servizi segreti hanno presentato un esposto contro il Procuratore di Roma, creando un assoluto precedente. Ieri hanno querelato me e il giornalista del Foglio Luca Gambardella. E anche questo è un inedito. Perché ci hanno querelato? Perché Gambardella ha scoperto che il 28 gennaio, proprio nel giorno nel quale Giorgia Meloni annunciava al “globo terracqueo” che aveva ricevuto un avviso di garanzia per l’evasione del killer Almasri, proprio quel giorno il capo dei nostri servizi segreti era in Libia a trattare con i capi di Almasri. E siccome Gambardella ha scoperto questa cosa, e l’ha scritta sul Foglio, noi, sull’Unità l’abbiamo riportata molto vistosamente. Perché a noi, che siamo ingenui – e poi veniamo dalla Prima Repubblica, che era un regime democratico – quello che è successo con l’evasione di Almasri e con la presenza dei nostri servizi segreti a Tripoli il 28 gennaio, sembra una ragione assoluta di immediate dimissioni di tutto il governo.

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Oggi l’Italia – grazie al comportamento del governo e degli 007 – si trova ad essere uno Stato complice dei tagliagole libici ricercati dalla Corte penale internazionale, e protagonista di un numero incredibile di illegalità. Che uno scandalo di questo genere – altro che Tangentopoli – passi senza conseguenze è spaventoso. Oggi, lo sappiamo con certezza, diversi migranti sono stati torturati nei campi libici, sotto l’autorità di Almasri. Oggi, probabilmente, alcuni migranti sono stati uccisi nei campi libici. Oggi, certamente, in quei campi, molte donne sono state stuprate. Forse anche dei bambini. Esiste una corresponsabilità italiana? L’impegno del governo per fare evadere Almasri e sottrarlo alla Corte penale è o no una forma di complicità nei delitti dei libici? La presenza in quei giorni del capo degli 007 alla corte dei tagliagole non è uno scandalo mondiale?

E invece il capo degli 007 ci querela. Ma non dice che non è vero che lui il 28 gennaio era a Tripoli a inciuciare coi libici. No: conferma. Ha confermato davanti al Copasir, sembra, e ora difficilmente può rimangiarsi la sua confessione. Era lì. Non farebbe bene, allora, almeno a tacere, o, meglio, ad ammettere che il suo comportamento è stato inaccettabile e che ora in qualche modo bisognerà riparare? No. Caravelli, invece, gradasso, ci querela e il sottosegretario Mantovano va in suo soccorso. Mantovano, invece di spiegare perché Caravelli era a Tripoli, e a dirci se lui lo sapeva e se aveva informato la premier (immagino di no) va in aiuto di Caravelli e accusa la stampa libera di calunnia. Perché? Perché la stampa sostiene che Caravelli avrebbe informato i libici sui mandati di cattura contro i colleghi di Almasri. Non è vero? Benissimo, andiamo a processo. Però Caravelli mostri coraggio: trasformi la causa civile in causa penale. Andiamo davanti a una corte e lì lui si attenga all’obbligo di rispondere a tutte le domande, a mostrare le carte, i verbali, ad ascoltare i testimoni politici. E così potremmo finalmente, senza più segreti, affrontare la questione dei rapporti tra i gangster libici e i governi italiani.

Sarebbe viltà non fare così. E la viltà non è un difetto che possa toccare un militare. Sarebbe un trucco misero. Se accusi uno di calunnia – come ha fatto Mantovano – devi essere disposto a discutere tutto in un’aula di giustizia, non vi pare? E intanto dovresti anche – magari con l’aiuto di Mantovano – rispondere a un paio di domandine. La prima è questa. Ma come mai l’aereo dei servizi segreti che doveva consentire l’evasione di Almasri è decollato da Roma per raggiungere Torino circa sei ore prima dell’ordinanza che scarcerava Almasri? Chi aveva informato i servizi che Almasri sarebbe stato scarcerato mentre era ancora in corso la seduta dei giudici della Corte d’appello? Caravelli non può sfuggire a queste domande. E poi un’altra domanda: come mai in Libia hanno iniziato a festeggiare prima che Almasri fosse scarcerato? Chi aveva avvertito i libici? Non credo che possa averlo fatto Almasri, perché spero che in carcere non avesse un cellulare. E allora? È stata una autorità italiana perché nessun altro sapeva o prevedeva. Quale autorità? Caravelli è il capo dei servizi segreti, non dovrebbe avere difficoltà a scoprirlo.

E infine c’è il caso Paragon. Dice il governo che i servizi segreti disponevano di Paragon – e ancora ne dispongono – ma non lo usavano per spiare giornalisti e attivisti. Bene. Facciamo che ci crediamo. Ma i servizi segreti fanno o no azione di controspionaggio? Credo che sia un loro compito. Forse il più importante. E allora come mai non sapevano e non sanno chi stava spiando i giornalisti e gli attivisti, tra i quali il nostro Luca Casarini? Forse non funzionano molto bene. Salvo quando volano in Libia.



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