Prendiamo il caso di un anziano con demenza lieve, ancora in grado di eseguire alcune attività quotidiane, ma che necessita di incoraggiamento e supervisione. Un infermiere potrebbe aiutarlo a lavarsi fornendogli indicazioni verbali, lasciandogli il tempo di eseguire i gesti necessari e intervenendo solo se strettamente necessario. Questa modalità , che richiede pazienza e un approccio personalizzato, è considerata fondamentale per rallentare il declino cognitivo e motorio.
Caso due. Prendiamo lo stesso anziano con demenza lieve, ma facciamo intervenire un infermiere che lo sostituisce interamente nelle cure, eseguendo l’igiene personale o la nutrizione in sua vece.
La differenza? Nel primo caso l’infermiere dedica più tempo all’anziano, ma il suo lavoro di stimolazione cognitiva risulta difficilmente quantificabile e codificabile. Nel secondo caso, invece, il curante si limita a svolgere una serie di interventi clinici ben codificati che si traducono in un carico assistenziale maggiore. Il paradosso, allora, è evidente: più il personale stimola l’autonomia del paziente con una cura personalizzata, meno viene riconosciuto il lavoro svolto.
L’esempio illustra bene una dinamica nota nelle case per anziani del canton Ticino, soprattutto tra il personale curante. Dinamica che recentemente è finita sotto la lente del sindacato OCST che ha promosso uno studio dal titolo eloquente: «Il RAI-NH è in grado di quantificare tutto il lavoro che fai?».
«Il RAI-NH è uno strumento di valutazione utilizzato nelle case per anziani per determinare il livello di assistenza necessario per ciascun residente», spiega al CdT la curatrice del progetto Francesca Saltamacchia (OCST). Nato in Canada e adottato a livello internazionale, in Ticino il RAI-NH è impiegato non solo per scopi clinici, ma anche per stabilire la dotazione di personale curante in base ai bisogni registrati. Lo studio del sindacato – avverte Saltamacchia – mette in evidenza come il RAI-NH, pur essendo uno strumento utile, presenti criticità nella sua applicazione pratica. «Il problema principale è che non sempre riesce a riflettere correttamente la quantità e la qualità del lavoro svolto dal personale curante. Ciò porta a una sottostima dei bisogni assistenziali e, di conseguenza, a una dotazione di personale insufficiente».
A questa conclusione il sindacato è giunto partendo da una domanda e da un riscontro diretto tra gli operatori. I quali, sempre più spesso, lamentano una forte carenza di personale. «Essendo il RAI-NH impiegato per calcolare nelle case per anziani la dotazione di personale, abbiamo promosso un questionario tra i dipendenti per capirne meglio il funzionamento e il grado di conoscenza». Quello che emerge è che il RAI-NH non tiene conto di tutte le attività quotidiane che richiedono tempo e competenza. «Nascendo come strumento pensato per interagire con gli assicuratori malattia, il RAI-NH monitora bene tutta la parte che i curanti svolgono quando intervengono sugli aspetti clinici. Tuttavia, esiste un’altra dimensione del loro lavoro che riguarda il mantenimento delle competenze residue dei pazienti anziani, così come la prevenzione e la sfera sociale, che il RAI-NH non è adeguato a contabilizzare». Del resto, aggiunge Saltamacchia, «le case per anziani non sono piccoli ospedali, ma a tutti gli effetti le case dei residenti».
In un simile contesto medico-organizzativo, il sistema RAI-NH non solo rischia di accelerare il declino delle capacità cognitive degli anziani, ma influisce anche sulla gestione del personale. «L’approccio cognitivo – quello in cui il curante accompagna il paziente dedicandogli più tempo – finisce per sottostimare il fabbisogno di personale».
Dal questionario, spiega ancora Saltamacchia, è emersa anche una scarsa conoscenza dello strumento di valutazione (vedi box a lato) da parte dello stesso personale curante. Con quali conseguenze? «Il rischio per i pazienti è di ricevere meno cure di quelle necessarie perché i loro bisogni sono sottostimati nel sistema. D’altro canto – prosegue Saltamacchia – il numero di operatori assegnati a una struttura si basa sui dati raccolti. Se questi dati sono incompleti, la struttura ottiene meno risorse e il personale lavora in condizioni di maggiore stress». Il paradosso qui è completo: più l’infermiere si impegna a svolgere il proprio lavoro, meno si troverà nelle condizioni adeguate per farlo.
Eppure, non è solo una questione di compilazione corretta e di conoscenza dello strumento, spiega ancora la sindacalista. «Ciò che emerge, una volta analizzato a fondo il sistema di rilevamento RAI, è che non si tratta di uno strumento adeguato a tenere in considerazione tutta una sfera di bisogni dell’anziano e a riconoscere integralmente il lavoro svolto dai professionisti». Ne è nata la convinzione che il RAI-HN necessiti di importanti modifiche. «Il prossimo passo, ora, sarà di raccogliere le proposte del personale e di allargare la discussione per promuovere una modifica del sistema di valutazione». Tra le idee che il questionario ha già suggerito spicca quella di separare la valutazione clinica dal sistema di calcolo per la dotazione del personale, migliorando al contempo il riconoscimento del tempo impiegato al di fuori delle pratiche cliniche.
Il peso di questo sistema ricade direttamente sugli operatori sanitari, che si trovano a lavorare in condizioni sempre più difficili. Il 73% dei professionisti segnala di non avere tempo sufficiente per compilare correttamente il RAI-NH, il che si traduce in un carico di lavoro aggiuntivo che spesso viene svolto fuori orario. Inoltre, solo il 5% di chi compila il RAI riceve un’indennità per questa attività , nonostante il suo impatto sulla gestione delle strutture. Questa situazione ha conseguenze dirette sulla motivazione e sulla stabilità del personale. La crescente frustrazione porta a un turnover elevato. Molte case per anziani faticano a mantenere il personale qualificato, con un aumento delle dimissioni e difficoltà nel reclutamento. I dati mostrano che la carenza di personale è un problema sempre più pressante, aggravato dal fatto che il sistema RAI-NH, anziché facilitare il lavoro, spesso lo complica ulteriormente. Il 55% degli intervistati afferma di volter continuare: i motivi sono legati alla passione per questo lavoro. Il 44%, però, dichiara che la motivazione ideale per questa professione è diventato insufficiente. I dati dell’indagine mostrano inoltre che l’abbandono della professione non è legato unicamente al logorio fisico dovuto all’età , ma anche a una certa delusione nelle aspettative, tanto nei giovani quanto negli adulti. «Il personale intraprende questo lavoro con una certa aspettativa, ma con il tempo si accorge di non poter effettivamente esercitare la professione come avrebbe voluto». In questa valutazione – spiega la ricercatrice – il tempo da dedicare ai pazienti gioca un ruolo importante. «È una considerazione che torna molto spesso tra il personale e il più delle volte è all’origine del sentimento di frustrazione».
Uno dei problemi principali emersi dall’analisi riguarda la limitata conoscenza dello strumento da parte del personale curante. Il 68% degli operatori ha dichiarato di non aver ricevuto una formazione adeguata sul RAI-NH, mentre l’84% non ha affrontato il tema durante il proprio percorso scolastico. Questa mancanza di preparazione incide direttamente sulla qualità della compilazione del formulario, con il rischio di sottostimare i bisogni reali dei pazienti e, di conseguenza, di ridurre il personale assegnato alle strutture. Inoltre, solo il 27% degli intervistati afferma di avere tempo sufficiente per compilare correttamente il RAI, rendendo ancora più complessa la sua applicazione pratica.
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