Le ragioni di uno strumento giuridico nel volume, edito da Laterza, del magistrato Marcello Bortolato e del giornalista del �Corriere� Edoardo Vigna
Aben pensarci, la vera vittima del processo penale � la vittima stessa. Chi ha subito un reato, un torto, chi ha sofferto.
Eh s�, perch� il processo � un gioco a tre: la pubblica accusa, l’imputato e il giudice. La vittima non c’�. � vero, pu� costituirsi parte civile, ma cos� ottiene solo, nella migliore delle ipotesi, un risarcimento del danno subito. E invece la vittima pu� volere anche altro, qualcosa di pi� di un risarcimento: una riparazione.
Ma quando il processo � terminato, gli anni di carcere sono stati inflitti, le sbarre si sono chiuse alle spalle del colpevole, anche la vittima � condannata; e la sua pena � la �tirannia del dolore�, l’obbligo di pesarlo con l’unica bilancia degli anni di carcere inflitti al reo, mentre in aula scoppiano gli applausi alla lettura della sentenza, perch� vendetta � compiuta, o le urla di rabbia, perch� nessuna condanna � mai abbastanza. Il resto � silenzio, il dopo � silenzio: la vittima resta �vincolata all’irreparabile�, nell’impossibilit� di spiegare che cosa ha provato, perch� continua a non dormire la notte, ad aver paura, perch� proprio io, perch� quella mattina, che cosa diavolo gli sar� passato per il cervello a puntarmi in faccia una pistola, a prendermi a pugni, a saltarmi addosso, a farmi violenza?
Ecco, prima di leggere Oltre la vendetta (Laterza), il piccolo ma prezioso libro di Marcello Bortolato, un magistrato, ed Edoardo Vigna, un giornalista del �Corriere�, non avevo mai pensato alla �giustizia riparativa� dal lato della vittima. Sapevo, s�, che la riforma Cartabia ha introdotto questo nuovo istituto nel 2022, un programma che consente di mettere insieme intorno a un tavolo, ma solo se entrambi lo vogliono, la vittima e la �persona indicata come autore dell’offesa� (espressione abbastanza ampia da comprendere anche chi � indagato o imputato ma non ancora condannato, dunque anche a processo in corso), con l’obiettivo di �risolvere le questioni derivanti dal reato�. Ma pensavo che si trattasse in definitiva solo di un’ulteriore (e benedetta) norma tesa ad applicare il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena: in sostanza, una mano tesa al condannato. Magari in cambio di redenzione, di scuse, di contrizione.
E invece ho scoperto altre cose. La prima delle quali � che n� il pentimento n� il perdono sono richiesti. Se ci sono, meglio; ma lo scopo non � quello. � parlarsi, comunicare emotivamente, riconoscersi reciprocamente, trasformare una relazione violenta in una normale. Il caso pi� noto � quello di Agnese Moro, che ha partecipato con successo a un programma di giustizia riparativa con gli assassini del padre, ma non sappiamo se abbia mai perdonato, il perdono � un fatto privato, �che non si pu� chiedere a tutti e non tutti sono in grado di dare�. E d’altra parte bisogna evitare il rischio di un �buonismo� giudiziario, destinato a sconcertare l’opinione pubblica e a trasformarsi in paternalismo moralistico.
Non si pu� escludere infatti che un imputato punti solo a ottenere un beneficio, e infatti a chiedere l’accesso ai Centri e ai mediatori sono soprattutto loro, pi� che le vittime. Ma se poi la procedura non funziona, o la vittima non ci sta, il giudice potrebbe esserne condizionato, e dunque per gli insinceri � un’arma a doppio taglio.
In ogni caso, se la cosa non riesce si ferma tutto, e nessuno sapr� mai perch�. Se invece si raggiunge un accordo, questo comporter� �un impegno reciproco su qualcosa da fare o da dare, simbolico o materiale�. Una ferita sar� sanata. Il giudice potr� raccogliere l’esito positivo e concedere un’attenuante, o un beneficio se si tratta di un condannato gi� in carcere. Oppure no.
Non si tratta dunque di �giustizia riparatoria�, gi� prevista del resto nel nostro ordinamento attraverso risarcimenti, restituzioni, prestazioni a favore della comunit�, lavori di pubblica utilit� e cose del genere. �Riparativa� � un termine diverso da �riparatoria�, e dovrebbe evocare il �Restorative Justice� del diritto anglosassone, visto che � impossibile tradurre in italiano con �ristorazione� ci� che � anche �rigenerazione� e �ricostruzione�.
Ci risulta pi� facile comprenderne il fine, se applicato a vicende in cui appare possibile superare �lo scandalo della equiparazione�, mettere cio� allo stesso tavolo vittima e reo, nella speranza di �aggiustare il passato senza infliggere dolore nel presente�, per usare una frase di Martha C. Nussbaum. Nei grandi processi di riconciliazione nazionale, come quello del Sudafrica dopo l’apartheid o dell’Irlanda del Nord alla fine della trentennale guerra civile. O per una chiusura definitiva della stagione del terrorismo.
Ma ci sono anche molti altri casi in cui � intuitivo il vantaggio, e di conseguenza il beneficio, di una possibile �riparazione�. Pensiamo a reati di bullismo o di violenza tra adolescenti, ormai tanto insensati quanto frequenti. Pensiamo ai cosiddetti �reati senza vittima�, come lo spaccio di stupefacenti, o la guida in stato di ebrezza, in cui il colpevole pu� comunque chiedere di incontrare una vittima �surrogata�. Oppure ancora i casi in cui una vittima �aspecifica� di un delitto il cui autore non � stato mai individuato (un rapinatore, uno stupratore) pu� far comprendere al colpevole di un analogo reato il dolore provato, e ottenere in questo modo una qualche riparazione dell’offesa subita.
La �giustizia riparativa� � certo una strada impervia, difficile, a rischio di incomprensioni e fraintendimenti. � altrettanto sicuramente un salto di civilt�, perch� la parola �giustizia� non � un sinonimo di �vendetta�: forse la comprende, ma non vi si esaurisce.
12 febbraio 2025 (modifica il 12 febbraio 2025 | 11:02)
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