Il suicidio assistito è legge. Regionale, per ora, ma è legge: ed è la prima volta in Italia che un principio come quello costituzionale del diritto alla salute viene derogato per far spazio alla facoltà depenalizzata di chiedere e ottenere la morte medicalmente assistita come prestazione ordinaria garantita da sanitari delle istituzioni pubbliche, pur all’interno delle limitate condizioni dettate dalla Corte costituzionale.
Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato a larga maggioranza la proposta di legge di iniziativa popolare “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n.242/2019”. Un titolo che ne mostra la finalità di definizione dell’iter per la “morte a richiesta” – chi può ottenerla, chi esamina la richiesta, da chi è composto l’organismo territoriale competente, attraverso quali tappe e in che tempi si procede, chi si fa carico della spesa – ma che parte dal presupposto che si può ottenere l’aiuto al suicidio anche in mancanza ancora di una legge dello Stato, alla quale la Corte aveva rimandato senza riconoscere in alcun modo la competenza legislativa regionale. Proprio il punto della fonte – regionale e non nazionale – di una legge che nasce per dare uniformità ma finisce per creare situazioni diverse a seconda della Regione è il tallone d’Achille del provvedimento, destinato con ogni probabilità a essere impugnato dal Governo davanti alla stessa Consulta.
In un preambolo e sei articoli la legge toscana sul fine vita prende parzialmente le distanze dal progetto di legge di iniziativa popolare depositato in Toscana e in altre Regioni in fotocopia dall’Associazione Luca Coscioni, con un attivismo politico e militante che ha creato attorno alla norma un clima di attesa di un diritto negato e di urgenza per una prestazione sanitaria ritenuta indifferibile. Rigettata in altri quattro consigli regionali (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Lombardia), la legge mantiene il principio della morte assistita come «erogazione di una prestazione sanitaria suddivisa in più fasi» (preambolo) ma è stata modificata così da perdere una parte del suo esplicito carico ideologico di affermazione di un preteso “diritto di morire” (esplicitamente negato dalla Corte costituzionale, peraltro) e assumere le sembianze di una mera definizione dell’iter per morire tramite suicidio medicalmente assistito. L’effetto finale è la descrizione di una “burocrazia della morte” che stabilisce il modo per ottenere «la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile». Una deriva rispetto alla quale hanno preso posizione prima i vescovi della Conferenza episcopale toscana con una nota e poi il loro presidente cardinale Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena, in una intervista ad Avvenire.
Lo stesso Lojudice, a legge appena approvata, ha voluto esprimere il giudizio della Chiesa regionale: «Prendiamo atto della scelta fatta dal Consiglio regionale della Toscana, ma questo non limiterà la nostra azione a favore della vita, sempre e comunque – ha dichiarato il cardinale a nome di tutti i vescovi –. Ai cappellani negli ospedali, alle religiose, ai religiosi e ai volontari che operano negli hospice e in tutti quei luoghi dove ogni giorno ci si confronta con la malattia, il dolore e la morte dico di non arrendersi e di continuare ad essere portatori di speranza, di vita. Nonostante tutto. Sancire con una legge regionale il diritto alla morte non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti».
Tornando alla legge, i tempi (articolo 4) vengono definiti con precisione: venti giorni per la verifica dei requisiti per accedere al suicidio assistito, quattro perché la Asl competente convochi la Commissione per valutare l’istanza, otto perché la Commissione trasmetta la sua relazione al Comitato etico territoriale, che ha cinque giorni per trasmettere il suo parere alla Asl. E dopo tre giorni per comunicare «le risultanze del provvedimento di verifica dei requisiti» alla persona malata, e infine altri sette per «l’accesso al percorso finalizzato all’autosomministrazione» del farmaco per morire. Totale: 47 giorni dalla richiesta alla morte, termine tassativo di legge. E i costi? «Le prestazioni e i trattamenti» sono «gratuiti». Tempi contenuti entro un mese e mezzo, certi, e tutto gratis: se solo altrettanta solerzia fosse assicurata alle decine di migliaia di persone che hanno bisogno di esami specialistici, assistenza domiciliare e presidi sanitari forse non si avrebbe nessuna richiesta di suicidio assistito. Che tutto questo venga statuito da parte di un’articolazione dello Stato nel giorno in cui la Chiesa ricorda la Vergine di Lourdes e celebra la Giornata mondiale del Malato suona poi particolarmente impressionante.
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