La scorsa settimana in Libano è stato formato un nuovo governo, dopo poco più di tre settimane di negoziati fra i politici libanesi. Non era scontato: per decenni la formazione di ogni governo libanese è stata una faccenda complicata che richiedeva molti mesi di tempo per concludersi, e a volte non si concludeva affatto. Il paese era senza un governo dal 2022.
A questo giro invece le cose sono andate spedite. Il nuovo presidente eletto il 9 gennaio, Joseph Aoun, ha nominato un nuovo primo ministro, Nawaf Salam, il 13 gennaio e l’8 febbraio Salam ha annunciato la formazione del nuovo governo, con 24 ministri.
Ci sono due fattori che spiegano questa velocità. Il primo è che il movimento politico e militare Hezbollah (che in arabo significa “il partito di Dio”), che dominava anche con la violenza la politica libanese, è stato indebolito da uno scontro diretto con Israele cominciato il 7 ottobre del 2023 e poi aumentato d’intensità a settembre del 2024.
Gli israeliani hanno individuato e ucciso con bombardamenti aerei la maggior parte dei leader di Hezbollah, incluso il più importante, Hassan Nasrallah, e anche il suo più probabile successore Hashem Safieddine. L’intelligence israeliana è anche riuscita a piazzare micro cariche di esplosivo all’interno di una grossa partita di cercapersone che poi ha venduto attraverso intermediari a Hezbollah, che ha provveduto a distribuirli a migliaia di miliziani. Quando l’intelligence israeliana ha attivato le micro cariche e le ha fatte esplodere nelle tasche degli uomini di Hezbollah l’effetto è stato devastante, anche dal punto di vista psicologico e d’immagine. Il gruppo libanese non è mai stato così in difficoltà come oggi.
Inoltre in Siria il regime del presidente Bashar al Assad è finito e anche questo contribuisce alla crisi di Hezbollah, che aveva rapporti proficui con il regime siriano.
Il secondo fattore è l’intervento diretto dell’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump nella formazione del governo libanese. La vice inviata speciale statunitense per la Pace in Medio Oriente, Morgan Ortagus, venerdì (il giorno prima dell’annuncio del nuovo governo) era a Beirut, la capitale del Libano, e ha detto che la partecipazione di Hezbollah in qualsiasi forma al nuovo esecutivo libanese sarebbe stata “una linea rossa” per gli Stati Uniti, da non superare. Al colloquio con il presidente Aoun, Ortagus indossava un anello con la Stella di David, simbolo di Israele, e ha detto: «Siamo grati al nostro alleato Israele per avere sconfitto Hezbollah». Nella capitale quel giorno ci sono state alcune proteste da parte di simpatizzanti del gruppo, che hanno bruciato copertoni di automobili nelle strade.
L’ostacolo maggiore nella formazione di un governo in Libano è la spartizione obbligatoria dei ruoli fra le minoranze del paese: il presidente dev’essere sempre un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita, il presidente del parlamento un musulmano sciita e il capo dell’esercito un druso. Non sono regole scritte nella Costituzione, ma furono stabilite dall’accordo di Taif che nel 1989 mise fine a 15 anni di guerra civile libanese. A queste regole se ne sono aggiunte altre, che sono come incrostazioni politiche che nessuno ha voglia di togliere: il ministro delle Finanze deve essere sciita e nominato da Nabih Berri, capo del movimento sciita Amal, il ministro della Sanità deve appartenere al movimento politico-militare sciita Hezbollah e il ministro degli Esteri deve essere cristiano.
Questa volta le regole sono state rispettate meno rispetto al passato e a pagare il prezzo politico è stato Hezbollah. La diminuzione del potere militare del gruppo è diventata anche una diminuzione del suo potere politico.
Il ministro delle Finanze nel nuovo governo, Yassin Jaber, è considerato vicino a Hezbollah, in aperta contraddizione con il veto degli Stati Uniti. Ma Hezbollah non può più contare sul potere che gli era dato dalla regola dei due terzi, che fa funzionare il governo libanese. La regola dice che per le decisioni più importanti, come approvare il budget dello Stato oppure entrare in guerra, sono necessari i voti dei due terzi del Consiglio dei ministri. Il che equivale a dire che chi dispone di un terzo dei ministri più uno può bloccare le decisioni più importanti. Adesso Hezbollah non ha più un terzo più uno dei ministri libanesi, come invece succedeva nei governi passati.
Un incontro del nuovo governo del Libano, l’11 febbraio 2025 (Lebanese Presidency press office via AP)
Il nuovo governo dovrà subito gestire due faccende cruciali. La prima è il ritiro a partire dal 18 febbraio delle forze di terra israeliane dal sud del Libano, secondo l’accordo di cessate il fuoco dello scorso 27 novembre che prevede il ritiro di Hezbollah a nord del fiume Litani. A ridosso del confine con Israele dovranno andare i soldati dell’esercito libanese, che finora non hanno dato prova di grande efficienza. La seconda faccenda è la gestione dei fondi internazionali per la ricostruzione dopo i bombardamenti israeliani.
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