Il Bilancio della Difesa degli Stati Uniti nel 2025 – Analisi Difesa

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Il bilancio del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per l’anno fiscale 2025 tocca un nuovo record, sfiorando 900 miliardi di dollari. Si conferma la tendenza a un continuo aumento che dura ormai da dieci anni. Cioè da ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, ma in sincronia con le conseguenze della rivolta di piazza Maidan a Kiev e, dall’altra parte del mondo, con la progressiva crescita del contenimento della Cina.

Oltre agli investimenti nel rinnovo delle forze nucleari, nel recuperare il terreno perduto nel campo degli ipersonici o nella difesa antimissile, spicca l’attenzione al mantenimento di adeguate quantità di mezzi operativi, vietando la radiazione di vari aeroplani e unità navali datati. La guerra russo-ucraina sembra aver rammentato al Pentagono che la quantità conta e che per fare numero occorre protrarre il più possibile la vita operativa di sistemi d’arma collaudati e affidabili. Un occhio di riguardo è stato garantito al settore delle biotecnologie, forse sulla base dell’eredità del Covid-19 e nel timore che qualche avversario del futuro possa rimettere in discussione i bandi internazionali contro le armi biochimiche.

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Al suo insediamento ufficiale, il 20 gennaio 2025, il presidente statunitense Donald Trump si è ritrovato fra le mani uno strumento militare che, sulla spinta delle sfide degli ultimi anni, è tornato in prepotente crescita, quasi come al tempo della classica Guerra Fredda. Mai la spesa militare americana era stata così alta, perlomeno in cifre assolute. Certo occorre anche tenere conto della reale proporzione col PIL degli Stati Uniti, cresciuto in certi periodi assai più del relativo aumento delle spese del Pentagono.

Ma fa comunque impressione la cifra di 895 miliardi di dollari siglata nel National Defense Authorization Act (NDAA) 2025, che dopo i passaggi al Congresso è stato infine firmato, e trasformato definitivamente in legge, dal presidente uscente Joe Biden il 23 dicembre 2024.

La richiesta iniziale emanata l’11 marzo 2024 dal Dipartimento della Difesa era di 849,8 miliardi di dollari. Poi è lievitata nei successivi passaggi nelle commissioni Difesa di Camera e Senato USA, finchè è stata votata nella versione finale alla Camera lo scorso 11 dicembre per 281 a 140 e al Senato il 18 dicembre per 85 a 14.

Nel 2024 la spesa militare statunitense era arrivata a 886 miliardi e nel 2023 era stata di 820 miliardi. Un aumento consistente, dovuto alle conseguenze strategiche del primo anno di guerra russo-ucraina, rispetto agli esercizi 2021 e 2022, in cui si era passati da 753 a 777 miliardi.

E’ bene precisare che le cifre sono da intendersi comprensive non solo degli stanziamenti per il Dipartimento della Difesa USA, ovvero il Pentagono propriamente detto, ma anche di quelli relativi alla sicurezza nazionale che ricadono sotto la competenza del Dipartimento dell’Energia, a cui negli Stati Uniti è affidato il programma di sviluppo e manutenzione delle armi nucleari. Risalendo ancora più indietro, si nota che, nel complesso, le spese USA per la Difesa sono risalite a partire dal 2015, dopo una breve fase di diminuzione che durava dal 2011.

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Non a caso, dopo che, mentre emergeva sempre più la minaccia cinese nel Pacifico, ci si rendeva conto a Washington che lo slittamento dell’Ucraina fuori dalla sfera d’influenza russa, nel 2014, con la conseguente occupazione russa della Crimea e l’apertura della ferita mai rimarginata delle secessioni dei territori russofoni di Lugansk e Donetsk, lasciavano intendere l’approssimarsi, presto o tardi, di una sfida con Mosca.

Certo, l’aumento di per sé delle spese militari non basta da solo, ma occorre anche puntare sul materiale umano. Ecco perché il neo-insediato segretario alla Difesa dell’amministrazione Trump, il generale Pete Hegseth, ha diffuso al Pentagono, il 29 gennaio 2025, un memorandum sulla costituzione di una “task force” che sovrintenda al rafforzamento delle capacità di combattimento dei militari americani sulla base del merito e dell’iniziativa personale.

Un modo di reagire a una certa politicizzazione delle forze armate dettata dalle regole del politically correct care all’uscente amministrazione democratica, che avrebbe portato a carriere “costruite” in base a vere e proprie quote razziali, religiose o relative a generi e preferenze sessuali.

Nel presentare la sua idea di una “Restoring America’s Fighting Force” Task Force, Hegseth ha spiegato: “Per garantire gli obbiettivi del Dipartimento della Difesa relativi al provvedere a forze militari che dissuadano la guerra e mantengano la sicurezza della nazione, il dipartimento promette che tutte le decisioni sull’assunzione, promozione e selezione del personale saranno basate sul merito, sulle necessità della nazione e, in ultimo, sui desideri degli individui”.

Nel suo mirino, ci sono i vari uffici per la “diversità, equità, inclusione, gender”, che per la nuova amministrazione repubblicana non rappresentano che un fardello minante l’efficienza e la meritocrazia delle forze armate americane. Hegseth ha stabilito che entro il 1° marzo 2025 gli venga presentato dalla “task force” un primo rapporto, seguito il 1° giugno da un rapporto finale.

 

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Scoraggiare gli sfidanti

Il neo-segretario alla Difesa Hegseth ha anche chiosato: “La missione del Dipartimento è vincere le guerre della nazione. Per farlo, dobbiamo avere una forza da combattimento letale”.

Proseguire il rinnovo dell’arsenale strategico nucleare americano è tra i principali punti del bilancio del Pentagono per il nuovo anno, così come altri settori che mirano a mantenere una quota di vantaggio di cui ancora gli Stati Uniti godono, ma non si sa ancora fino a quando, sui competitori globali.

Se anche il divario fra America, da un lato, e Russia e Cina, dall’altro, è diminuito negli ultimi anni, dati i progressi delle due potenze eurasiatiche, Washington è decisa a ogni costo, letteralmente, a ripristinare un sufficiente margine di sicurezza, tenendo conto anche della dimensione della quantità, in modo da garantire che, nel caso peggiore, gli USA siano in grado di sostenere due guerre, ovvero una guerra globale su due fronti distinti, ipoteticamente uno nel Pacifico e uno nell’arco Europa-Medio Oriente, non diversamente da quanto accaduto fra il 1941 e il 1945 col loro coinvolgimento nella Seconda Guerra Mondiale.

Nel presentare il piano 2025, il segretario alla Difesa uscente Lloyd Austin ha così riassunto lo spirito delle richieste d’investimento poi approvate dal Congresso: “Il bilancio ci porrà in una postura migliore per dissuadere aggressioni contro gli Stati Uniti o contro i nostri alleati e partners, preparandoci anche a prevalere in un conflitto. Continuerà a forgiare una forza congiunta più resiliente e un moderno ecosistema della difesa, costruito per le sfide alla sicurezza del XXI secolo. Inoltre rafforzerà la ineguagliabile rete globale di alleanze e amicizie che magnificano la nostra potenza e fanno avanzare la nostra sicurezza”.

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Parole da cui si evince la perdurante tendenza verso una integrazione di reparti e sistemi d’arma, sia in modo trasversale, all’interno delle stesse forze armate americane, sia in senso esteso, tra le forze USA e quelle degli alleati, secondo i concetti di “rete” e, in particolare, quell’inusitato “ecosistema della difesa” che sembra indicare, a imitazione degli ecosistemi naturali, una estrema varietà di forme reciprocamente interdipendenti fra loro.

Austin ha poi aggiunto: “Dobbiamo continuare a investire in capacità difensive all’avanguardia e progredire con nuovi concetti operativi tra i vari dominii. Da sistemi cibernetici avanzati a migliorate capacità spaziali, a una triade nucleare modernizzata”.

Il budget 2025 viene a trovarsi nel pieno di un processo in corso di ammodernamento dell’arsenale nucleare statunitense che è cruciale soprattutto, ma non solo, nel settore dei missili balistici intercontinentali con base a terra, ossia gli ICBM.

La Sezione 1511 della legge di bilancio Difesa 2025 cita esplicitamente “la crescita rapida e senza precedenti dell’arsenale nucleare della Cina”, il fatto che “la Russia possiede, e manterrà per il prevedibile futuro, il maggior arsenale nucleare della Terra”, oltre alle minacce da parte di Corea del Nord e Iran. Sulla base di questi presupposti, l’NDAA prevede che entro il 31 marzo 2025 il segretario alla Difesa e il segretario all’Energia presentino alla Commissioni Difesa di Camera e Senato un aggiornamento della dottrina di postura strategica degli Stati Uniti.

Nel complesso, per il rinnovo dei principali sistemi d’arma del deterrente strategico USA il budget 2025 prevede circa 22,2 miliardi di dollari. Di essi, 3,9 miliardi sono destinati al finanziamento del nuovo ICBM in sviluppo da parte della Northrop Grumman, l’LGM-35 Sentinel, che finalmente dovrebbe rimpiazzare i vetusti Boeing LGM-30G Minuteman III, operativi fin dal lontano 1970, seppure spesso revisionati e aggiornati.

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Considerando la superiorità quantitativa della Russia negli armamenti nucleari e il sostanziale “mistero” che avvolge il reale numero degli ordigni della Cina, che sta scavando apparentemente centinaia di silos (probabilmente, parte veri, parte “civetta”) per ICBM, gli Stati Uniti intendono mantenere alta la loro soglia di deterrenza facendo in modo che la transizione dal Minuteman III al Sentinel avvenga gradualmente, senza una diminuzione, anche temporanea, del numero dei vettori.

Perciò, la Sezione 1515 della legge esprime la “proibizione della riduzione degli ICBM degli Stati Uniti”, specialmente vietando di “ridurre o prepararsi a ridurre la quantità di missili dispiegati a meno di 400”.

Di più, la Sezione 1516 prevede la “preparazione del possibile dispiegamento di ICBM addizionali”, quantificati in “fino a 450 Sentinel operativi”. L’LGM-35 Sentinel non è stato ancora testato come prototipo e la sua data di prevista entrata in servizio, abbinata alla ristrutturazione dei silos di lancio già attivi per i Minuteman III in North Dakota, Montana, Wyoming e Nebraska, che lo accoglieranno, è via via slittata dal 2027 al 2030.

Inoltre il costo medio previsto per esemplare del nuovo missile è lievitato da 118 a 162 milioni di dollari. Essendo quindi prevedibili ritardi e rallentamenti nella graduale sostituzione dei Minuteman coi Sentinel, gli americani hanno curato che ciò avvenga senza lasciare dei “vuoti”, tenendo ogni Minuteman attivo fino all’ultimo minuto, prima di essere sostituito da un Sentinel.

Le maggiori spese previste dal budget 2025 per l’arsenale strategico riguardano comunque il programma dei sottomarini SSBN classe Columbia, che per quest’anno vale 9,9 miliardi di dollari, di cui almeno 45 milioni destinati a finanziare lo sviluppo del reattore nucleare che equipaggerà i nuovi battelli, studiato per consentire un’autonomia praticamente illimitata, senza rifornimenti, per tutta la vita operativa delle unità.

Si tratta del reattore S1B dell’istituto Knolls Atomic Power Laboratory, che promette di funzionare per circa 40 anni ininterrottamente. La classe Columbia è prevista in 12 unità che dovrebbero iniziare a sostituire i sottomarini classe Ohio dall’ottobre 2030. Attualmente è in corso nei cantieri General Dynamics Electric Boat di Groton, in Connecticut, la costruzione della prima unità, l’USS District of Columbia, iniziata con l’impostazione dello scafo il 4 giugno 2022.

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Della seconda unità, lo Wisconsin, è stata autorizzata fin dal settembre 2023 la costruzione, che doveva iniziare fisicamente nel 2024, ma è in ritardo sulla tabella di marcia, data la complessità del progetto, mentre del terzo battello si sa solo che è stato annunciato col nome Groton, ma non è stato ancora ufficialmente ordinato dalla US Navy.

Direttamente connesso col rinnovo della linea degli SSBN americani è l’aggiornamento dei missili balistici da essi lanciabili in immersione, i collaudati Lockheed Martin UGM-133A Trident D5, a cui la legge di bilancio assegna 1,8 miliardi di dollari. Si tratta delle “modifiche” note come D5LE e D5LE2, laddove LE sta per “Life Extension”, che dovrebbe assicurare l’impiego di questi vettori a bordo delle unità Columbia addirittura fino al 2084.

 

Testate nucleari e ali volanti

Il Congresso ha approvato fondi per 5,3 miliardi di dollari allo scopo di proseguire la costosa acquisizione del nuovo bombardiere strategico “invisibile” ai radar Northrop Grumman B-21 Raider, erede del B-2 Spirit e, come esso, foggiato ad ala volante, come un’immensa manta.

Il B-21 rappresenta per gli Stati Uniti la possibilità di attuare attacchi convenzionali, ma anche nucleari, in profondità nei territori avversari come parte della risposta flessibile garantita dalla componente aerea della triade nucleare. E tutto al prezzo di una vulnerabilità limitatissima, rispetto agli altri aerei da bombardamento strategico mantenuti in servizio, dal vecchio ma efficace B-52 (nella foto sotto) al B-1B (questo però limitato negli ultimi anni ai soli ruoli convenzionali) al menzionato B-2.

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Certo, è ancora lontano l’obbiettivo di una prima linea composta dai previsti 100 Raider, considerando che il prezzo medio per esemplare è stimato sui 700 milioni. Ma al primissimo prototipo di B-21, che ha debuttato in volo il 10 novembre 2023 a Palmdale, in California, è seguito nel 2024 il completamento di altri due esemplari.

Attorno al gennaio 2025 era ancora solo il primo B-21 (nella foto sotto) a essere sottoposto a collaudi di volo, con una media fra uno e due missioni aeree alla settimana, dalla base di Edwards, mentre gli altri due velivoli vengono per ora utilizzati in test a terra. I fondi destinati al Raider nel 2025 serviranno in parte per portare in volo anche il secondo e terzo esemplare, nonché per proseguire il cosiddetto LRIP, o Low Rate Initial Production, produzione iniziale a basso ritmo, mettendo in cantiere altri tre esemplari.

Accoppiata al B-21 e agli altri bombardieri nucleari dell’US Air Force, è la gestazione del nuovo missile da crociera aviolanciato a lunga gittata, per cui vengono stanziati 833 milioni di dollari.

Si tratta del sistema noto con la sigla LRSO, o Long Range Stand Off weapon, che la RTX, alias Raytheon, sta studiando anticipandone il nome operativo in AGM-181. Un “cruise” nucleare che sostituirà i vecchi AGM-86 ALCM, in linea dal 1982, e che dovrebbe avere un raggio d’azione, una volta sparato dall’aereo-madre, di almeno 2400 km, con una testata termonucleare W80 da 150 kilotoni.

Sul programma LRSO, la Sezione 1522 della legge recita: “Entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge (ovvero entro il 23 marzo 2025, n.d.r.) il segretario all’Air Force, in coordinamento col comandante dell’US Strategic Command e il comandante dell’Air Force Global Strike Command sottoporrà alle commissioni Difesa del Congresso un piano che preciserà le attività programmate e la tempistica delle risorse per garantire che non meno di due stormi di bombardieri dell’Air Force siano preparati a operare, mantenere, conservare e porre in sicurezza l’LRSO entro la data in cui venga dichiarata la sua capacità operativa iniziale”.

Alla gestione delle testate nucleari, “cuore” dei vettori, e in particolare alla loro modernizzazione, sono destinati 5,2 miliardi di dollari. Oltre metà, 2,8 miliardi, vanno all’evoluzione di nuovi sistemi. Per citare solo alcuni dei progetti in corso, 1 miliardo costerà quest’anno lo sviluppo della testata W87 Mod.1, nuova versione della W87, portata avanti dal 2019 nei laboratori Lawrence Livermore e di cui nell’ottobre 2024 è stato annunciato il completamento del primo “nocciolo” di plutonio.

Con potenza stimata in 475 kilotoni, la W87 Mod.1 dovrebbe equipaggiare dal 2030 le ogive dei missili Sentinel. Oltre 455 milioni vanno a favore di un’altra testata, la W93, di potenza ancora non dichiarata, che i laboratori di Los Alamos stanno realizzando dal 2023 e che verrà imbarcata sui Trident D5 dei sottomarini Columbia nel prossimo decennio. Meno gravoso economicamente, ma non meno cruciale, è il rinnovo delle ultime versioni della bomba termonucleare tattica aviolanciata B61, fulcro della forza atomica assegnata ai cacciabombardieri dell’US Air Force e di quelle aviazioni alleate della NATO comprese nel “nuclear sharing”, dunque anche l’Aeronautica Militare Italiana.

Della bomba, ormai compatibile anche con trasporto e sgancio da parte del velivolo F-35, si stanno realizzando due programmi di conversione. La B61-12, realizzata a partire dal 2021, deriva dalla conversione delle vecchie B61-4, ha una potenza modulabile fra soli 0,3 e 50 kilotoni, e quest’anno assorbirà 27,5 milioni di dollari. La B61-13, ultima nata della famiglia, viene invece ricavata ammodernando le precedenti B61-7, arriva a un massimo di 340 kilotoni e richiede nel 2025 soli 16 milioni.

La guerra russo-ucraina ha dimostrato la necessità di riserve numericamente importanti, dato l’alto tasso di perdite, protratte nel tempo in un conflitto ad alta intensità e di lunga durata che il corso degli eventi ha dimostrato possibile nel mondo di oggi e anche in futuro.

Ciò è tanto più sentito in aviazione, dato che ogni singolo velivolo concentra in sé un altissimo valore finanziario che è da ammortizzare, si può dire, “spremendo” ogni cellula fino all’ultima ora di volo.

La NDAA 2025 stabilisce, alla Sezione 138, in 1.101 caccia il livello minimo di forza tattica di prima linea e pronto impiego da mantenere (Minimum Primary Mission Aircraft Inventory), con enfasi sulla esplicita “proibizione” della radiazione di cacciabombardieri F-15E Strike Eagle.

Per prevenire la diminuzione della flotta di Strike Eagle, attualmente 219 esemplari, con necessari interventi laddove richiesti, sono stati stanziati 19 milioni di dollari. Divieto assoluto anche di rinunciare a uno solo dei 183 costosi intercettori F-22 Raptor in servizio, sostenuti con circa 58 milioni.

Gli unici caccia dell’USAF di cui l’NDAA consente la radiazione sarebbero 36 F-15 della vecchia versione C e soli 3 F-16. Nel campo dell’appoggio tattico ravvicinato, viene ribadita l’irrinunciabilità, per ora, al vecchio e coriaceo A-10, di cui viene garantito, per ora, il mantenimento di almeno 96 esemplari operativi. Il capitolo dell’A-10 è spinoso per l’US Air Force, poiché il loro ritiro totale è previsto attorno al 2028-2029, con rimpiazzo della loro “nicchia” operativa da parte dell’F-35, che però si teme non sia adatto, soprattutto come robustezza intrinseca a colpi diretti, per un ruolo a bassissima quota e a diretto contatto col campo di battaglia.

Fra le nuove acquisizioni si segnalano 18 F-15EX Eagle II, l’evoluzione avanzata dell’F-15 per sfruttare ancora la cellula, al prezzo di 1,9 miliardi, che si aggiungono agli 8 esemplari finora consegnati, su un programma totale di 104 unità.

Dell’F-35, invece, è stato rivisto un po’ al ribasso, l’acquisto per il 2025, sembra a causa di una strozzatura nel processo di aggiornamento dei complessi software dei computer di bordo, non ultimi i sistemi di controllo del radar, al nuovo standard Technology Refresh 3 (TR3) tanto che il Pentagono sta trattenendo 5 milioni di dollari per ogni esemplare come autotutela per il fatto che la Lockheed Martin non sarebbe stata in grado di garantire una piena operatività degli esemplari aggiornati entro il 2025.

Di fatto la prevista richiesta di 68 nuovi F-35 per le forze armate USA, pari a ben 12,4 miliardi di dollari, ripartiti in 42 F-35A per l’USAF, più 13 F-35B e 13 F-35C per US Navy e US Marine Corps, è stata rivista in 58 unità, dieci in meno, specificati in 42 F-35A per l’USAF, 9 F-35B per i Marines e 9 F-35C per la Marina.

Sempre nell’ambito della disponibilità numerica di aeroplani da caccia e da attacco tattico, la Sezione 134 della legge impegna il segretario dell’Air Force “a presentare entro il 1° luglio 2025 alle commissioni Difesa del Congresso un piano di sostentamento e ricapitalizzazione” dei 25 squadroni di aerei da combattimento dell’Air National Guard, la sezione aeronautica della Guardia Nazionale, che vede così valorizzato il suo ruolo di riserva in caso di conflitto esteso ad alta intensità di azioni e ad alto rischio di perdite.

L’importanza del conservare aeroplani datati, ma ancora preziosi, data la lentezza delle sostituzioni con eredi più moderni, viene rimarcata nella fattispecie del celebre velivolo radar da sorveglianza AWACS Boeing E-3 Sentry, di cui la Sezione 131 vieta esplicitamente “il ritiro, la preparazione al ritiro e l’immagazzinamento se queste azioni portano la flotta di E-3 a scendere sotto i 16 esemplari”.

Il totale di E-3 operativi nell’USAF è di 21 unità e la legge spiega anche che il ritmo della loro dismissione dipenderà da quando sarà disponibile il nuovo E-7 Wedgetail, che pur essendo già in servizio come AWACS presso alcuni alleati degli Stati Uniti, non è ancora stato adottato dall’USAF, essendo il piano di ordinazioni per 26 esemplari non ancora approvato definitivamente, con entrata in servizio prevista non prima del 2027.

 

Il dominio dei mari

Per la Marina statunitense, l’NDAA 2025 conferma gli investimenti atti ad aumentare gradualmente, per la metà del XXI secolo, l’entità della flotta in modo da poter rivaleggiare sul piano quantitativo, oltre che qualitativo, con la Cina, la cui flotta schiera 370 unità navali, fra vascelli di superficie e subacquei, da combattimento, fra grandi e piccole, senza contare le navi ausiliarie e la peculiare forza di pescherecci militarizzati utile a Pechino per “mostrare la bandiera” nelle acque contese, ponendo paletti di “fatti compiuti”, nonché per attuare operazioni speciali o di intelligence.

Dati aggiornati a dicembre 2024 indicano che la US Navy conta attualmente 296 navi, e sottomarini, da combattimento. Dopo una lieve diminuzione iniziale dovuta alla dismissione di vecchie unità, che porterebbe a 283 le navi operative per il 2027, i piani a lungo periodo prevedono un incremento che vedrebbe dal 2030 superare le 300 unità.

Per il 2043 si dovrebbero superare le 355 navi, mentre nel 2054, anno-limite del piano, la US Navy arriverebbe a schierare almeno 381 navi con equipaggio umano, alle quali si aggiungerebbero 134 navi-drone senza equipaggio, di superficie o sommergibili, il che porterebbe a 515 il numero totale di “piattaforme navali” degli Stati Uniti, comprendendo quelle robotiche.

Solo con questo piano di lungo respiro Washington può sperare di mantenere virtualmente il dominio dei mari e degli oceani, con libertà di transito verso tutti i continenti, riuscendo nel contempo a tenere relativamente “imbottigliata” la flotta cinese nelle acque asiatiche comprese fra quel continente e le sue cinture insulari.

La spesa stanziata nel 2025 per l’acquisizione di nuove navi è di oltre 32 miliardi di dollari, a cui per inciso si aggiungono 16 miliardi destinati ad acquistare 75 nuovi aerei ed elicotteri per i reparti della US Naval Aviation.

Fra i principali esempi, circa 1,3 miliardi sono assegnati alla prosecuzione dei lavori di approntamento della prima fregata della nuova classe Constellation, l’omonima nave siglata FFG-62 che sta prendendo forma ai cantieri di Marinette, in Wisconsin, dell’industria Fincantieri Marinette Marine, la ex-Marinette Marine acquistata nel 2009 dal gruppo italiano Fincantieri. L’impostazione della chiglia s’è avuta il 12 aprile 2024 e la consegna della nave, inizialmente stimata per il 2026, avverrà più realisticamente nel 2029, data la complessità di modifiche in corso d’opera.

Tanto che la NDAA, alla Sezione 122, specifica che “il segretario alla Difesa dovrà certificare alle commissioni Difesa del Congresso l’approvazione finale dei disegni tecnici funzionali da parte dell’autorità tecnica” come condizione vincolante dell’effettiva spesa dei fondi assegnati al progetto.

La classe Constellation è strutturata su scafi da 6700 tonnellate, lunghi 151 metri, armati con vari tipi di missili fra cui l’antiaereo RIM-174 Standard SM-6 e l’antinave, nonché da attacco a obbiettivi terrestri, Naval Strike Missile sviluppato dalla ditta norvegese Kongsberg. Oltre alla capoclasse in costruzione, altre cinque unità sono state ordinate, ma il totale previsto è di 20 fregate.

Nel rafforzamento della US Navy è ancora importantissima la classe di cacciatorpediniere Arleigh Burke, di cui tuttora sono in servizio tutte le 74 unità operative via via a partire dal 1991. Attualmente ci sono ulteriori 10 di queste navi da 9000 tonnellate in costruzione, in varie fasi di avanzamento, più altre 15 autorizzate per il futuro.

Per il longevo programma, che in pratica costituisce da solo, come numero di unità, il 25% della flotta combattente USA, il Pentagono riceverà 7 miliardi di dollari. Per la cronaca, fra le nuove Arleigh Burke, quelle di imminente entrata in servizio sono la DDG-124 Harvey C. Barnum Jr., prevista in linea già da maggio 2025, e la DDG-127 Patrick Gallagher, che entrerà in formazione nella primavera 2026.

Fra i perni della potenza USA, restano indiscutibili le portaerei e l’aviazione imbarcata, quindi l’NDAA 2025 ne specifica centralità alla Sezione 130: “Le portaerei sono una pietra angolare della capacità degli Stati Uniti di proiettare la loro potenza e forza”.

E viene rimarcata l’importanza di tutelare la base industriale implicata nella manutenzione delle portaerei esistenti e nella costruzione di quelle nuove, consistente in “2000 compagnie in 44 Stati”. La US Navy dispone attualmente di 11 portaerei operative, tutte a propulsione nucleare, di cui 10 della classe Nimitz, più la Gerald Ford, capostipite dell’omonima nuova classe.

La CVN-78 Gerald Ford, impostata fin dal 2009 e varata nel 2013, è entrata in servizio nel 2017 e attualmente sono in fase di realizzazione altre tre unità della classe Ford, per le quali quest’anno si stanziano 2,3 miliardi di dollari. La più avanzata, con entrata in servizio programmata, salvo intoppi, entro questo 2025, è la CVN-79 John Kennedy, impostata nel 2015, varata già nel 2019 ai cantieri Huntington Ingalls e ormai completa.

Nei medesimi cantieri è stata posta nel 2022 la chiglia della CVN-80 Enterprise, terza “carrier” a portare questo glorioso nome dopo quella della Seconda Guerra Mondiale e quella che fu la prima a motore atomico. Lo scafo della Enterprise dovrebbe essere varato il prossimo autunno, a novembre 2025, poi il completamento e l’entrata in servizio si stimano per il 2029.

Nei cantieri di Newport, invece, nel 2025 dovrebbero svolgersi i lavori preparatori per impostarvi, a gennaio 2026, la CVN-81 Doris Miller, il cui varo si prospetta nel 2029 e l’operatività nel 2032.

Contando anche le unità future in programma, le portaerei tipo Ford saranno in totale 10. Il ritmo di rimpiazzo fra le unità classe Nimitz e Ford dovrebbe, secondo il Congresso USA, permettere alla US Navy di mantenere una linea complessiva di 11 portaerei fino al 2036, poi con un’altalena provvisoria tra 10 e 11 unità nel periodo 2037-2046.

Per l’espansione della US Navy prosegue anche l’ambizioso programma dei sottomarini da attacco classe Virginia, di cui attualmente sono in servizio 23 esemplari, a partire dal capoclasse, SSN-774 Virginia, in squadra dal 2004.

Ci sono 10 unità in costruzione e l’obbiettivo finale prevede di arrivare a 66 di questi battelli che con i loro siluri e missili da crociera Tomahawk avrebbero il primario ruolo di paralizzare il traffico navale nemico, insidiandone le flotte e strangolandone i commerci.

Per la decina di sottomarini Virginia fisicamente in cantiere in questo periodo, il 2025 vede impegnati 8,2 miliardi di dollari. Molto presto, ad aprile 2025, dovrebbe diventare operativo l’SSN-797 Iowa, varato nel giugno 2023, a cui dovrebbe seguire a ruota, probabilmente nel 2026, l’SSN-798 Massachusetts, varato nel febbraio 2024.

Fra le peculiarità della nuova legge di bilancio della Difesa, il Congresso intende controllare da presso lo stato dell’arte della cantieristica navale americana, curando scrupolosamente che sia in grado di soddisfare le richieste della US Navy, intuibilmente anche quelle impreviste in caso di emergenza nazionale, ovvero una guerra mondiale.

Alla Sezione 125, infatti, si richiede che entro 180 giorni dall’entrata in vigore dell’atto, ovvero entro il 23 giugno 2025, “il segretario alla Marina sottoponga alle commissioni Difesa del Congresso un rapporto che analizzi i fornitori dei componenti per navi di superficie” e che questo rapporto venga ripetuto a cadenza annuale fino al 2029.

 

Cingoli e munizioni

Le forze di terra statunitensi, sulla base delle lezioni del conflitto russo-ucraino, vedranno implementate le acquisizioni di veicoli corazzati, specialmente quelli da fanteria, per assicurare la capacità di avanzata e infiltrazione delle proprie truppe sotto fuoco ad alta intensità, nonché i piani per ripristinare stock di munizioni bastanti per scenari ad elevato consumo delle stesse.

All’US Army, ad esempio, sono stati destinati 515 milioni di dollari per incrementare di 81 esemplari la dotazione dei nuovi veicoli cingolati AMPV, alias Armored Multi-Purpose Vehicle, derivazione su progetto della britannica BAe Systems dell’M2 Bradley, essenzialmente privato della torretta e in parte riprogettato.

La versione base, siglata M1283, è integrata da una serie di varianti specializzate, da soccorso medico sul campo a posto comando mobile. Dopo i primi prototipi apparsi fra 2016 e 2020, la vera produzione di serie è iniziata nel 2023, quando il primo esemplare operativo è stato consegnato alla 1° Brigata Corazzata della 3a Divisione di Fanteria di Fort Stewart, in Georgia. Attualmente sono stati realizzate circa 276 unità di questo mezzo corazzato di cui si prevede di arrivare a 2.900 unità per rimpiazzare i vecchi M113.

Prosegue anche il programma dell’M10 Booker, quello che di fatto sembra più un carro armato medio-leggero che un “cannone d’assalto per appoggio alla fanteria”, come è stato denominato ufficialmente dal Pentagono.

L’NDAA gli assegna 460 milioni di dollari, e attualmente è in corso la produzione del primo lotto, di 96 esemplari, il primo dei quali consegnato nel febbraio 2024. Ma il vero servizio operativo dovrebbe iniziare a fine 2025 con un battaglione di 33 Booker inquadrati nell’82a Divisione Airborne a Fort Liberty (l’ex-Fort Bragg) e suddivisi in tre compagnie.

I piani a lungo termine per questo cingolato prodotto dalla General Dynamics Land Systems prevedono di arrivare a 504 M10 Booker, che certo non possono pensare di proporsi come alternativa ai carri da battaglia M1 Abrams, di cui peraltro è allo studio la nuova variante M1E3 con architettura modulare, forse ispirata anche dal programma russo T-14/T-15 Armata.

Il Booker, con un peso di 42 tonnellate, si avvicina alla fascia degli MBT (Main Battle Tank) leggeri, ma avendo in torretta un cannone M35 da 105 mm la sua capacità di ingaggiare carri pesanti, per potenza e distanza, è per ora insufficiente.

Non sembra però impossibile che, in un secondo tempo, si ipotizzi di sfruttare l’M10 come piattaforma in parte riprogettabile per accogliervi un cannone da almeno 120 mm, considerando che armi da 125 mm sono imbarcate su carri russi, come il T-90, che per dimensioni e peso sono poco diversi dal carro leggero USA.

Ciò potrebbe consentire all’America di disporre di un numero di tank “ausiliari” meno costosi dei grossi Abrams, dovessero presentarsi scenari di scontri campali estesi in cui occorra puntare sulla quantità e non solo sulle qualità intrinseche del mezzo. Un M10 Booker, d’altronde, è meno ingombrante e meno pesante di un Abrams.

Può quindi essere più flessibile in una varietà di teatri operativi caratterizzati da lande boscose, colline, strade strette, città fittamente edificate, ponti dalla limitata portata in tonnellate. Del resto, a riprova del nuovo accento posto sui numeri, a beneficio dell’esercito USA sono stati stanziati 2,7 miliardi di dollari per il settore del munizionamento, sia in termini di acquisizioni, sia di riorganizzazione ed efficientamento del settore.

Per fare solo gli esempi principali, circa 200 milioni di dollari vanno a finanziare nuovi proiettili da mortaio nei calibri 60, 81 e 120 mm. Per le munizioni dei cannoni dei carri armati nei calibri 105 e 120 mm, si parla di 378 milioni.

Per le granate d’artiglieria, il totale stanziato è di 266 milioni, fra i quali la maggior frazione, ovvero 171 milioni, spetta all’inflazionato calibro da 155 mm, i cui pezzi scarseggiano nei magazzini essendo stati forniti in profusione all’Ucraina da oltre due anni e mezzo per alimentare i cannoni e obici di fornitura occidentale. Ammontano invece a 71 milioni gli investimenti in nuove scorte di munizioni d’artiglieria di precisione, ad esempio del noto tipo M982 Excalibur, ad alette estensibili e guida GPS e inerziale.

Fra i sistemi missilistici terra-terra affidati all’US Army, spicca il Long Range Hypersonic Weapon (LRHW) Dark Eagle di Lockheed Martin, per cui nel nuovo bilancio si spenderanno 744 milioni di dollari. Considerato che il prezzo medio per singola unità è stimato in 41 milioni, significa un’acquisizione potenziale di almeno 18 esemplari.

Del missile, composto da un booster e da una testata planante ipersonica con velocità terminale superiore a Mach 5, cioè oltre 6.000 km/h, è iniziata una produzione limitata destinata a reparti operativi dal 2023 e rappresenta una prima riduzione delle distanze fra USA e asse Russia-Cina nel campo degli ipersonici.

Avendo una gittata di oltre 2.700 chilometri, è in sostanza un missile a medio raggio e conferma il nuovo confronto Washington-Mosca dopo che nel 2019 gli americani si sono ritirati dal trattato INF che vietava i vettori a medio raggio, di fatto facendo decadere il trattato. Proprio a causa dell’accresciuta tensione con la Russia, gli USA hanno annunciato che schiereranno in Germania dal 2026 alcune batterie di LRHW Dark Eagle, quasi in una riedizione della corsa agli “euromissili” del lontano 1983.

 

Scudi stellari

La US Space Force si integrerà maggiormente con la difesa antimissile del Nordamerica acquisendo dalla Missile Defense Agency il controllo del grande radar di terra LRDR, o Long Range Discrimination Radar, in corso di sperimentazione alla base di Clear e per la cui gestione sono previsti 100 milioni di dollari.

L’USSF programma di attuare inoltre, nel 2025, fino a 18 lanci di satelliti in orbita, a vario titolo, per il programma National Security Space Launch, di cui 11, al costo di 2,4 miliardi di dollari, direttamente con razzo vettore Vulcan della United Launch Alliance, la joint-venture fra Lockheed Martin e Boeing, e i restanti 7 lanci col Falcon 9 della Space X di Elon Musk.

L’impegno non è da poco, se si pensa che ogni lancio di un vettore Vulcan costa circa 100 milioni. Fra i lanci militari previsti nel 2025, ma ancora senza una data precisa, si segnala un Navigation Technology Satellite 3, o NTS-3, che è un prototipo per una prossima generazione di satelliti di navigazione per migliorare il sistema GPS.

Verranno poi immessi in orbita geostazionaria, a 36.000 km di quota, il settimo e ottavo esemplare dei sistemi noti come GSSAP, o Geosynchronous Space Situational Awareness Program, satelliti segreti, dai dati classificati, per la sorveglianza di tutti i satelliti, propri e dei potenziali avversari, orbitanti attorno alla Terra.

Sviluppati da Orbital Sciences Corporation e Northrop Grumman, peserebbero circa 700 kg e hanno una certa capacità di manovre, anche per avvicinarsi in rendez-vous a osservare da vicino coi loro sensori altre navicelle, come uno di essi ha fatto nel 2022 con un satellite cinese.

Almeno due lanci, catalogati USSF 112 e USSF 114 sono totalmente “classificati” e potrebbe trattarsi di satelliti spia oppure perfino di esperimenti “top secret” di satelliti “ispettori” o “killer” con cui gli Stati Uniti tentano di recuperare terreno sui noti lanci di satelliti russi in grado di inseguire e forse di danneggiare fisicamente quelli altrui. Anche la loro orbita, come fascia di quota e come inclinazione, non è preannnunciata, potendo dare indizi sul tipo di missione.

Il bilancio 2025 finanzia inoltre 4 satelliti del nuovo sistema Next-Generation Overhead Persistent Infrared (NG OPIR) per l’allarme missilistico e spaziale mediante rilevamento di traccia infrarossa, moderna incarnazione della dinastia dei satelliti di preallarme SBIRS, anch’essi all’infrarosso. Il sistema verrà integrato con il Resilient Missile Warning and Missile Tracking (MW/MT), di cui Space Force ha ordinato 6 esemplari. Il primo NG Opir verrebbe lanciato nel dicembre 2025 dal poligono di Cape Canaveral, mentre i lanci degli MW/MT si avrebbero nel 2026-2027.

La vitalità spaziale delle forze armate americane e in particolare della dedicata US Space Force si spiega ovviamente con la necessità di reagire in tempi realistici al crescere della minaccia soprattutto da parte della Russia in fatto di missili balistici con testata ipersonica planante Avangard e anche della prospettata riesumazione dei sistemi FOBS, per il bombardamento frazionato orbitale.

Continuano peraltro le prove dei nuovi satelliti HBTSS, ovvero Hypersonic and Ballistic Tracking Space Sensor, di cui due prototipi, costruiti da Northrop Grumman ed L3 Harris, da febbraio 2024 navigano su orbita bassa e quasi circolare con apogeo di 1.004 e perigeo di 992 chilometri.

Concepiti per rilevare non solo missili balistici, ma anche i temuti veicoli di rientro atmosferico ipersonici. La panoplia di rilevamento spaziale migliorerà le capacità di intercettazione dei sistemi antimissile a protezione del Nordamerica e e anche, a livello tattico, delle truppe americane nei vari teatri di rischieramento.

Nel campo della difesa antimissile 2,7 miliardi sono destinati allo sviluppo del Next Generation Interceptor, il nuovo missile antimissile appaltato a Lockheed Martin e destinato a sostituire i GBI, Ground Base Interceptor, di fattura principalmente Raytheon e Boeing, attualmente schierati nelle basi della difesa antibalistica di Fort Greely, in Alaska, e di Vandenberg, in California.

Rispetto al precedente razzo intercettore, un tri-stadio che accelera un EKV, cioè l’Exoatmospheric Kill Vehicle destinato a cozzare contro la testata nemica in discesa verso l’atmosfera, distruggendola per sola energia cinetica, il nuovo progetto prevede un missile bi-stadio che accelera al culmine della traiettoria un EKV dotato di propri motori a razzo, in pratica integrando EKV e terzo stadio in un’unica macchina.

Dopo l’iniziale concorrenza di Northrop Grumman, il programma NGI è stato affidato a Lockheed nell’aprile 2024 e i primi obbiettivi consistono in una serie iniziale di 21 esemplari. Dovrebbe iniziare a sostituire i GBI a partire dal 2030.

Per estendere, anche geograficamente, la difesa antimissile continentale, l’NDAA 2025 ha fra l’altro messo nero su bianco il proposito di realizzare una terza base di lancio di missili intercettori. Poichè Fort Greely e Vandenberg sono situate nella fascia occidentale degli Stati Uniti, sul versante rivolto alla Siberia e all’Asia Orientale, s’è pensato giustamente a un sito anche nelle vicinanze della costa orientale USA.

Nella prima bozza della legge, la Commissione Difesa della Camera ha esplicitamente chiesto nella Sezione 1633 di porre rampe antibalistiche a Fort Drum, una base dell’US Army situata nello Stato di New York, a poca distanza dalla frontiera canadese e dal lago Ontario.

Il Senato non si è espresso direttamente sull’argomento, ma nel testo finale, alla Sezione 1642, pur stornando il riferimento a Fort Drum, per non vincolare l’ipotesi e tenere aperta la porta ad altre opzioni di schieramento, si è comunque sancito che la terza base antimissile strategica si farà.

Si legge nella Sezione 1642: “Non più tardi del 31 dicembre 2030 il direttore della Missile Defense Agency stabilirà un terzo sito continentale di intercettori pienamente operativo sulla costa orientale degli Stati Uniti. Il direttore stabilirà tale sito in una località ottimizzata per supportare la difesa del territorio metropolitano USA dalle emergenti minacce di missili a lungo raggio”.

Il che significa sia ordigni provenienti dal continente eurasiatico tramite una rotta artica angolata verso la East Coast, sia ordigni lanciati da sottomarini posizionati in Atlantico.

E’ interessante ricordare che prosegue lo sviluppo di una difesa antiaerea e antimissile specifica per le basi americane dell’isola di Guam (nella foto sopra), che diverrebbe uno dei maggiori avamposti in una guerra fra USA e Cina. Al cosiddetto Guam Integrated Air and Missile Defense System il budget attuale concede 515 milioni di dollari.

Il sistema consiste in una versione speciale dell’apparato radar e da intercettazione Aegis Ashore, la versione terrestre dell’Aegis già operativa in Europa nelle basi statunitensi di Deveselu, in Romania, e di Redzikowo, in Polonia. Il sistema in preparazione a Guam si basa su un nuovo radar che comprende componenti dei sistemi usati nei siti antimissile continentali di Alaska e California, a cui sono asserviti lanciatori terrestri per missili Standard SM-3 Block IIA.

Un primo felice collaudo è stato svolto il 10 dicembre 2024, quando per la prima volta le difese dell’isola hanno captato e abbattuto un non meglio specificato “missile balistico a medio raggio” sganciato in volo da un aereo da trasporto C-17. L’ordigno ostile è stato centrato a circa 320 km di distanza a Guam, confermando la validità di questa difesa avanzata che dovrebbe far dormire sonno tranquilli alla guarnigione americana rispetto al pericolo costituito da missili balistici cinesi, anche ipersonici.

 

Guerra biologica?

Sarà perché è ancora fresco il ricordo della pandemia Covid-19, che dal 2020 al 2022 monopolizzò l’attenzione del mondo, venendo sorpassata, letteralmente, solo a causa dello scoppio della guerra russo-ucraina, ma nonostante i trattati internazionali ufficialmente la proibiscano, la possibilità della guerra biologica seguita ad aggirarsi come un fantasma la cui esistenza ben pochi ammettono.

Non deve quindi stupire che il 25 gennaio 2025 il maggior servizio segreto statunitense, la CIA, abbia diffuso una nota ufficiale in cui, ritornando sull’origine della pandemia, la considera possibile frutto, anche se con “scarsa sicurezza”, di un incidente di laboratorio nella città cinese di Wuhan, noto epicentro del contagio, allineandosi quindi alla ricostruzione già da tempo avallata dall’FBI e dal Dipartimento dell’Energia.

Recita il dispaccio dell’agenzia con sede a Langley: “La CIA valuta con scarsa sicurezza che un’origine della pandemia di Covid-19 correlata alla ricerca sia più probabile di un’origine naturale sulla base delle segnalazioni disponibili. Il giudizio è basato su un livello di scarsa sicurezza e la CIA continuerà a valutare qualsiasi nuova segnalazione di intelligence credibile disponibile o informazione open source che potrebbe cambiare la sua valutazione”.

Tali posizioni si inquadrano perfettamente con l’indirizzo dato dal bilancio 2025 del Pentagono, che dedica varie voci al problema della sicurezza biologica degli Stati Uniti, certamente ponendo l’accento sugli aspetti difensivi, ma lasciando il campo libero a possibili interpretazioni anche in campo offensivo, ipoteticamente a scopo di deterrenza.

La Sezione 907 dell’NDAA è molto esplicita in tema di “revisione della postura di biodifesa”. Stabilisce che, in due scadenze prefissate, ovvero entro il 31 dicembre 2026 e il 31 dicembre 2029, il segretario alla Difesa faccia rapporto alle commissioni di Camera e Senato sugli aggiornamenti della postura.

E recita, fra le altre cose: “Ogni rapporto deve includere la strategia corrente e le capacità del Dipartimento della Difesa nel proteggere le forze armate USA da incidenti biologici e l’abilità di gestirli e, se necessario, combattere e vincere in un ambiente di minaccia biologica. E deve includere cambiamenti alla politica, alla legge o acquisizioni necessarie per implementare l’efficacia delle capacità di biodifesa del Dipartimento”.

Il bilancio assegna, ad esempio, 230 milioni di dollari allo “sviluppo avanzato” di programmi di difesa biologica e chimica, 84 milioni allo sviluppo di “sistemi operazionali” e 215 milioni al “monitoraggio situazionale” biochimico.

La Sezione 236, inoltre promuove la creazione, entro il dicembre 2025, di un “programma pilota” volto a perfezionare a breve termine dimostrazioni “di utilizzo dell’intelligenza artificiale in applicazioni di biotecnologia per la sicurezza nazionale”.

Il programma pilota avrà una durata di almeno 5 anni, durante i quali, almeno una volta l’anno, il segretario alla Difesa relazionerà alle commissioni del Congresso lo stato d’avanzamento delle sperimentazioni.

E’ evidente che il connubio fra intelligenza artificiale e ricerche biologiche rappresenterà un notevole moltiplicatore di efficienza, consentendo ai militari statunitensi di analizzare, sequenziare ed eventualmente ricombinare DNA di batteri, virus e spore con una rapidità inaudita. Significherebbe ad esempio, poter trovare un antidoto in tempi brevissimi all’attacco biochimico di nemici statali o terroristici. Ma anche, eventualmente, passare alla controffensiva con mezzi analoghi.

E’ vero che, idealmente, la risposta degli Stati Uniti ad un acclarato attacco di massa di tipo biologico o chimico alle loro forze armate, o peggio ancora alla loro popolazione civile, viene attualmente concepita in termini di pesantissimi attacchi convenzionali oppure nucleari.

Qualora, tuttavia, la dirigenza di Washington dovesse ritenere preferibile in futuro un tipo di risposta più simmetrica e flessibile, magari in uno scenario internazionale di degradazione dei vigenti trattati, sarebbe vitale la capacità di realizzare in poco tempo un munizionamento biochimico. Capacità che potrebbe essere studiata per essere mantenuta di fatto latente, ma sempre pronta al dispiegamento, nei casi più disperati.

La Sezione 237, del resto, stabilisce: “Entro un anno dall’entrata in vigore della legge di bilancio del Pentagono (ovvero entro il dicembre 2025, n.d.r.), il segretario alla Difesa, di concerto col sottosegretario alla Difesa per la Ricerca e l’Ingegneria, il sottosegretario alla Difesa per le Acquisizioni e il Sostentamento e i segretari dei singoli dipartimenti militari, debbano sottomettere alle commissioni Difesa di Camera e Senato una tabella di marcia su ricerca, sviluppo, test e valutazione di requisiti in fatto di biotecnologie per il Dipartimento della Difesa”.

Fra gli altri punti salienti del capitolo c’è l’identificazione dei “requisiti di sviluppo biotecnologico” e delle relative “priorità nella sicurezza nazionale”, nonché, in base alle priorità, la richiesta di definire come l’Office of Strategic Capital e la Defense Advanced Research Projects Agency, ovvero la famosa DARPA, “cuore” della ricerca avanzata militare americana, intenderebbero concretamente agire investendo nei progetti biologici prescelti.

Il Congresso chiede inoltre di venire informato delle necessità del Dipartimento alla Difesa in fatto di personale specializzato nella ricerca biologica, curando in sostanza che il Pentagono conti su un numero sufficiente di esperti nei vari settori di questo campo.

Foto: US DoD, USAF, GDLS e Lockheed Martin

 



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