Nel 1926, lo scultore rumeno Constantin Brâncusi dovette trasportare una sua scultura fino agli Stati Uniti d’America e, per farlo, la smontò, separando la base dalla scultura vera e propria. I funzionari doganali non accettarono che Bird in Space, la scultura, fosse un’opera d’arte, rispondendo a Brâncusi che era in realtà soltanto un oggetto comune. Come conseguenza, gli imposero di pagare le tasse doganali. Nessuno avrebbe mai pensato di fare qualcosa di simile con un quadro del Tiziano.
Ma allora: esiste forse una definizione di arte? Una definizione assoluta e valida in ogni tempo e in ogni luogo? Qualcosa che possa aiutarci a distinguere in questi casi? L’occasione si presentò nel 1964, quando Andy Warhol espose una indistinguibile riproduzione delle celebri scatole di spugnette abrasive Brillo, presentandole come opere d’arte. Grazie al fatto che le presentò in quel modo, lo divennero. La questione è alquanto simile: perché quelle precise Brillo Box sono opere d’arte e, invece, quelle rinvenibili nei supermercati no? Il critico d’arte e filosofo Arthur Danto accolse la sfida lanciata da Warhol e cercò di elaborare una definizione di “opera d’arte”.
Che cos’è un’opera d’arte? Per Danto, riassumendo, l’opera è caratterizzata da aboutness ed embodiment. L’aboutness è l’essere a-proposito-di qualcosa, l’embodiment è l’essere “incarnato” in un oggetto. Un’opera d’arte è, dunque, per Danto, un oggetto a proposito di qualcosa. A queste due caratteristiche il filosofo ne aggiunge poi altre, come l’obbligo di contestualizzarsi in una storia dell’arte o l’obbligo di presentare il contenuto in un certo modo. Il punto fondamentale, però, resta lo stesso: è permesso a qualsiasi cosa di essere un’opera, basta che ci sia una adeguata spiegazione a giustificarlo. Per tutti noi, prima o poi, è arrivato l’incontro con un’opera che ci ha lasciati spiazzati.
Abbiamo pensato: “Ma perché quella cosa è un’opera?” Dopo qualche sguardo confuso, ci siamo sicuramente gettati a leggere la didascalia, ansiosi di sapere cosa volesse dirci l’autore. Probabilmente abbiamo pensato: “Se non capiamo il lato artistico dell’opera, forse sarà proprio quel testo scritto a lato del quadro o della statua a spiegarcene il significato!” Queste esperienze, comuni oggi alle visite nei musei di arte contemporanea, mostrano come la spiegazione sia parte integrante dell’opera. Danto direbbe che l’aboutness è il motivo per cui è così importante quella didascalia: semplicemente, è perché quella stessa spiegazione è metà dell’opera stessa.
Nonostante le riflessioni di Danto, si può davvero dare una definizione di opera d’arte? Nessuno metterà in dubbio che le opere oggi abbiano uno stretto rapporto con la loro spiegazione, ma questo non ci assicura che, allora, la definizione di Danto sia una definizione assoluta. La sua tesi è, infatti tremendamente limitata: non considera l’insieme di esperienze artistiche che non troviamo nei musei; non considera l’arte popolare (le opere devono riferirsi a una storia dell’arte); si fonda solo sull’esperienza artistica che abbiamo nell’occidente contemporaneo, situandosi dunque fuori dal tempo e fuori dallo spazio; si limita al modello di fruizione artistica che possiamo chiamare “museale”, dove noi osserviamo delle opere nei musei. A nostro avviso, più che gettarsi alla ricerca di una definizione, è più fecondo riflettere sulla natura dell’esperienza artistica. Come sostiene John Dewey: l’arte è una intensificazione dell’esperienza, ferma lo scorrere quotidiano dell’esperienza e lo concentra in un momento che viene esperito in un modo potentemente più significativo.
L’esperienza artistica, dunque, ha sede anzitutto nella nostra esperienza e può derivare anche da qualcosa che non risiede nella storia dell’arte. La definizione di Danto sorge dalla storia dell’arte e dalla critica artistica, ma si separa dalla vita1. L’arte deve essere ricollegata all’esperienza che abbiamo nel mondo, esperienza che veniva esclusa dalla definizione di Danto, la quale considera solo le caratteristiche estetiche degli oggetti artistici.
La definizione di Danto è uno strumento efficacissimo nelle mani della critica artistica, ma non riesce a elevarsi a definizione universale. Parafrasando Wittgenstein: una volta salita la ripida scala della ricerca della definizione, ci rendiamo conto che, forse, questa ricerca è meglio lasciarla.
NOTE
1. Questa intuizione di Dewey viene seguita poi da Heidegger nel suo saggio L’origine dell’opera d’arte (1950) e da Gadamer in Verità e Metodo (1960).
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Francesco Marcuzzo
Nato a Conegliano, ha sempre avuto due grandi passioni: la musica e la filosofia, che lo hanno portato nel 2021 a diplomarsi in Violino in Conservatorio e, nel 2022, a laurearsi in Scienze Filosofiche. Gli piace molto mescolare le due cose occupandosi di estetica. Lavora come musicista e insegnante in scuole pubbliche e private, ha fondato insieme a degli amici l’Ensemble Palladio con il quale organizza concerti. Nel tempo libero lo troverete sicuramente a leggere, a giocare a qualche bel videogioco, a cucinare con la sua ragazza o a comprare strumenti musicali di cui nemmeno conoscevate l’esistenza.
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