da giudice faceva arrestare i torturatori libici

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Nel 2017, da presidente della Corte d’Appello di Roma, aveva confermato l’arresto di un ex luogotenente dell’esercito ed ex capo dell’Agenzia di sicurezza interna in Libia, accusato di crimini efferatissimi come la tortura dei prigionieri politici. Oggi, con Almasri, le cose sono andate diversamente.

«Per questi motivi la Corte ordina che Mohamed Khaled Al-Tulhami, nato nel 1942 in Libia, sia sottoposto alla misura della custodia in carcere». Era il 17 novembre del 2017. Alfredo Mantovano, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ricopriva il ruolo di presidente della Corte d’Appello di Roma. E in quella veste ha firmato l’arresto di un ex luogotenente dell’esercito ed ex capo dell’Agenzia di sicurezza interna in Libia, accusato di crimini efferatissimi come la tortura dei prigionieri politici.

Oggi col caso Almasri sembra di assistere a un déjà-vu. Dal finale capovolto. La vicenda è nota. Lo scorso 19 gennaio il generale libico Almasri è stato arrestato a Torino su mandato della Corte dell’Aia. Due giorni dopo la Corte d’Appello di Roma non ha convalidato l’arresto a causa di un cavillo giuridico che il ministro della Giustizia Carlo Nordio, avvisato sin da subito dell’arresto, poteva sanare.

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Il vizio di forma però è rimasto e Almasri è stato rimpatriato su un volo di stato, gestito dai servizi segreti. Per questa faccenda il guardasigilli, insieme alla premier Giorgia Meloni, al ministro Matteo Piantedosi e allo stesso Mantovano, è indagato dalla procura capitolina guidata da Francesco Lo Voi, attualmente “inviso” al governo e all’intelligence nostrana.

Il caso Al-Tulhami

2017-2025. Due faccende analoghe, due decisioni opposte. Otto anni fa, l’allora ministro della Giustizia, Andrea Orlando, trasmetteva «al procuratore generale della Corte d’appello di Roma – si legge negli atti giudiziari – la richiesta della Corte penale internazionale de L’Aia tesa a ottenere l’arresto» di Mohamed Khaled Al-Tulhami, su cui dal 2013 pendeva un mandato d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità.

Il militare «ha avuto il ruolo di eseguire gli ordini di Gheddafi tesi ad arrestare, detenere, effettuare incursioni, sorvegliare, indagare, vigilare, torturare prigionieri politici», riportano le carte. Così la Corte d’Appello presieduta da Alfredo Mantovano ha ordinato l’arresto dell’ex luogotenente libico, morto nel 2021.

Anche oggi, per Almasri, doveva andare così. Sarebbe bastato che il ministero della Giustizia chiedesse alla Corte d’Appello di Roma, tramite il procuratore generale, di convalidare l’arresto e disporre la custodia cautelare in carcere in vista dell’estradizione.

Ma tant’è, e gli interrogativi non possono che essere molteplici. Come mai il ministro Nordio non ha sanato il vizio di forma con cui la Corte d’Appello ha scarcerato Almasri? Perché il guardasigilli non ha mai risposto alla procura che aveva inviato a via Arenula il fascicolo ventiquattro ore prima della liberazione del torturatore? E ancora, perché dal Viminale è poi arrivato l’ordine di espulsione? Perché Almasri è stato rispedito in Libia con un Falcon 900?

Bufera Lo Voi

Tutte queste domande rimangono tuttora senza risposta, anche dopo che i ministri Nordio e Piantedosi hanno relazionato sul caso in parlamento. E per di più i retroscena che emergono sulla vicenda non aiutano a fare chiarezza: una bozza di atto che poteva evitare la scarcerazione del torturatore libico sarebbe stata preparata dagli uffici del ministero della Giustizia, dove nulla si muove senza il permesso dell’ex forzista e capa di gabinetto di Nordio, nonché fedelissima del sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove, Giusi Bartolozzi. Perché il ministro non l’ha firmata?.

Il clima è incandescente. Del resto, dopo la notifica dell’avviso di iscrizione sul registro degli indagati per la vicenda della liberazione del generale libico Almasri la stessa premier ha pubblicamente “denunciato” il procuratore capo Lo Voi, contro cui si sono scagliati anche i servizi.

Il Dis ha infatti presentato un esposto contro Lo Voi davanti alla procura guidata da Raffaele Cantone. E lunedì 10 febbraio i pm della città umbra iscriveranno il fascicolo contro il magistrato palermitano.

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Lo Voi è accusato dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza di aver diffuso le informazioni segrete ricevute proprio dai servizi, nell’ambito di un’indagine avviata a seguito di una denuncia del capo di gabinetto della presidente del Consiglio, Gaetano Caputi per l’appunto, contro il direttore di Domani e alcuni dei suoi giornalisti, per aver pubblicato un’inchiesta sui suoi affari e conflitti d’interessi.

Nell’esposto del Dis contro il procuratore capo è stata segnalata l’ipotesi di violazione dell’articolo 42 comma 8 della legge 124 del 2007, perché la procura di Roma in qualità di destinataria delle informative riservate avrebbe dovuto adottare le necessarie cautele per evitarne l’indebita diffusione. Non finisce qui. I consiglieri laici di area centrodestra del Csm spingono per l’apertura di una pratica contro il pm.

«Risulta essere stato compromesso proprio l’affidamento, da parte delle Agenzie, circa l’effettiva tutela del segreto degli atti trasmessi in Procura», scrivono non a caso i consiglieri Bertolini, Eccher, Bianchini, Giuffrè e Aimi.

Sempre lunedì le procura di Milano e Palermo dovrebbero inoltre ricevere le denunce dei giornalisti e attivisti italiani spiati dallo spyware israeliano Graphite. Sul caso Paragon ha detto la sua Matteo Salvini, collegando i servizi italiani alla vicenda. Nel frattempo si attendono risposte da Meloni, silente su questa questione ma anche e soprattutto su quella del torturatore Almasri. Vicenda giudiziaria decisa in maniera diametralmente opposta a quella, analoga, di circa dieci anni fa. Cos’è cambiato da allora?

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