Fondazioni, da Milano una bella cartolina firmata Carlo Messina

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È una bella cartolina milanese quella che ieri sera Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, ha invitato a Marco Gilli, Giovanni Azzone, Gilberto Muraro, Bernabò Bocca, Patrizia Pasini, Mauro Gola e poi a tutti gli altri presidenti di fondazione che sono azioniste del primo gruppo bancario italiano, per circa il 20% del capitale sociale.

È una cartolina che contiene molti, moltissimi zeri: Messina ha infatti portato a casa l’utile più alto di sempre, 9 miliardi di euro, e a quegli azionisti, i citati presidente di Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariplo, Fondazione Cariparo, Fondazione Cr Firenze, Fondazione Carisbo, Fondazione Cr Cuneo, ne spettano un bel po’, in ragione appunto delle quote detenute: dai 6,48% della compagnia torinese, al 5,4 della fondazione milanese e giù giù fino alla piccola Fondazione di Carpi.

La conferenza stampa

Ora non che i Gilli e gli Azzone avessero bisogno di ascoltare questo brillante romano classe 1962, una lunga carriera, tutta bancaria dopo la laurea in Luiss e quasi tutta nelle banche che negli anni hanno costruito l’intesa… di Intesa, non che i presidenti di Compagnia San Paolo e Fondazione Cariplo, dicevamo, avessero bisogno di ascoltare i dati dalla viva voce di Messina, ovviamente gli azionisti ricevendo previsioni, forecast, situazioni di ogni genere.  Certo è che, da ieri, il loro compito di grandi filantropi s’è fatto più ancor più sfidante: hanno più risorse per i loro territori e le loro comunità.

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Filantropia e Terzo settore, una prospettiva
e una sfida

Ed è, da ieri, anche una prospettiva più bella, per le centinaia e centinaia di realtà di Terzo settore che, dal citato grande Nord, fino a Gorizia o ad Ascoli Piceno, trovano in quelle fondazioni di origina bancarie risorse preziose per rispondere ai bisogni, per costruire inclusione, per trasformare quel pezzo di realtà affidato alla loro azione di operatori sociali, di volontari, di cooperatori.

Focalizzazione necessaria perché, sfogliando le cronache economico-finanziarie di oggi, troverete solo riferimenti all’utile monstre – anche la slide che accoglieva i giornalisti ieri recitava “Il miglior anno di sempre” – o agli apprezzamenti alla premier Giorgia Meloni, per il consenso internazionale raggiunto, avendo il ceo fatto questo passaggio: «Testimonio che ha un grande prestigio in questo momento nel contesto internazionale. Secondo me, dobbiamo cercare tutti di fare la nostra parte per mantenere questo Paese a un livello tale da poter consentire una leadership o di giocarsi una partita di salvaguardia dei nostri interessi nel contesto europeo».

Cronache finanziarie a caccia
di cavalieri bianchi e M&A

Oppure leggerete i giudizi sull’offerta pubblica di scambio del “governativo” Monte dei Paschi su Mediobanca, «un’operazione di mercato» ha chiosato Messina, e certamente troverete conto anche degli insistiti dinieghi dello stesso a scenari di acquisizione, anzi di M&A secondo l’acronimo celebratissimo “merger and acquisition”, fusione e acquisizione. Insistiti perché, a un certo punto, lo stesso Messina ha dovuto pure tagliare corto: «L’ho detto, non siamo un hedge fund, non facciamo acquisizioni, preferiamo crescere in questo modo», fino a precisare, forse tradendo un po’ stizza, a chi chiedeva di Mooney, la fintech partecipata da alcuni anni: «No, non sono interessato alla quota di Enel».

Troverete meno, l’aspetto sociale dell’azione di questa banca che, lo ripetiamo e lo ripeteremo fino alla noia, non ha eguali nel mondo: nelle conferenza stampa di non pare interessare mai troppo le platee dei cronisti finanziari, quasi bulimici per altri aspetti, alcuni dei quali hanno fatto tre domande per volta, quasi tutti intignati sul Risiko bancario (e assicurativo), in corso o che verrà.

Fra Risiko bancario e sicurezza nazionale

Non una domanda su a cosa serva oggi una banca così, che funziona in questo modo, in un’economia come quella italiana e in un Paese come il nostro.

Per esempio che valore abbiano quei «circa 70 miliardi di euro di nuovo credito a medio-lungo termine nel 2024, con circa 43 miliardi in Italia, di cui circa 38 erogati a famiglie e piccole e medie imprese»; oppure le «circa 3.100 aziende italiane riportate in bonis da posizioni di credito deteriorato nel 2024 e circa 144mila dal 2014, preservando rispettivamente circa 15.500 e 720mila posti di lavoro».

Messina la sua visione l’ha data, quando fioccavano i riferimenti appunto a Bpm e Mediobanca: «Ritengo che Intesa Sanpaolo oggi sia l’unico vero soggetto di sicurezza nazionale e finanziaria di questo Paese. Abbiamo 1,4 trilioni di euro di risparmio degli italiani e nessuna delle aziende di cui si parla in questi giorni ha una percentuale, ma nemmeno per una frazione, di quello di cui stiamo parlando. Quindi abbiamo una grande responsabilità con l’azienda di continuare a gestire correttamente in modo serio, in modo sostenibile questa banca».

Finanza milanese e banchieri romani

Unica uscita dallo schema, una domanda dichiarata “sociologica”, sulla romanità della gestione di Intesa Sanpaolo, letta come rivincita della finanza dell’Urbe, più vicina alla politica, su quella della Capitale morale. Osservazione che il ceo ha potuto dribblare con eleganza, ricordando di condividere gli stessi natali con un altro romanissimo manager di banca milanessima: Andrea Orcel di Unicredit.

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Insomma, molta attenzione per tutto, meno che per il sociale: dai Cavalieri bianchi possibili, in questa o quella offerta pubblica, al titolo tecnologico Palantir, che vola, fino ovviamente ai dazi trumpiani e i loro effetti sull’Italia, scenario su cui Messina ha recitato la parte dell’ottimista: «Accadrà che l’euro si svaluterà sul dollaro e quel che gli esportatori perderanno per le nuove tariffe doganali lo recupereranno così».

«Siamo il motore dell’economia sociale»

Tanto che a rivendicare il ruolo sociale della banca, alla fine, ha provveduto lo stesso ceo: «Siamo orgogliosi di essere il motore dell’economia sociale», ricordando poi che, oltre agli utili staccati in favore delle fondazioni-azioniste, c’è anche «una componente importante – e nessuna banca al mondo, nessuna banca nelle percentuali che facciamo noi – che è rivolta ai poveri, alle disuguaglianze, a lavorare per gli studenti, per chi ha prospettive di ingresso al mondo del lavoro. E parliamo di centinaia di milioni di euro che, ogni anno, destiniamo a questo».

Un’attività, quella sociale, cui sono dedicate mille persone: un addetto su cento dell’istituto, che resta uno dei più grandi datori di lavoro del Paese, con le 100mila persone che ci lavorano.

Nell’epoca in cui nel mondo finanziario ripiega tatticamente dalla E di Esg, vedere un grande bilancio con le S a posto non può lasciare indifferenti.

Nella foto di apertura, di Gian Mattia D’Alberto/Lapresse, Carlo Messina, consigliere delegato e ceo di Intesa Sanpaolo.

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