«La Cina imporrà le tariffe sui prodotti statunitensi e presenterà reclamo all’Organizzazione mondiale del commercio in risposta alla mossa unilaterale degli Usa. Gli aumenti tariffari americani sono un tipico esempio di unilateralismo e protezionismo commerciale»: questa è la formulazione usata per annunciare la risposta di Pechino a Washington, nella guerra dei dazi, da Global Times, tabloid in inglese legato al Quotidiano del Popolo, giornale ufficiale del Partito comunista cinese. Cosa ha deciso la Cina dopo che Trump ha imposto, da ieri, dazi del 10 per cento per tutte le merci provenienti dalla grande potenza asiatica? Tariffe del 15 per cento sul carbone e sul gas naturale liquefatto. Stangata del 10 per cento su petrolio, macchinari agricoli, automobili di grossa cilindrata e pick-up americani. Non solo: la Cina ha inserito Pvh (colosso della moda di cui fanno parte brand molto popolari nel Paese come Calvin Klein e Tommy Hilfiger) e Illumina Inc, società specializzata in biotecnologie, nella black list delle «entità non affidabili». L’accusa è di aver «violato i principi del mercato, interrotto gli scambi commerciali regolari con le aziende cinesi e adottato misure discriminatorie». Pvh era già sotto inchiesta in Cina per aver rifiutato di rifornirsi di cotone dallo Xinjiang per la vicenda dell’etnia musulmana degli Uiguri. Ultimo provvedimento: indagine su Google per violazione delle norme sull’antitrust, anche se in realtà, come ha potuto verificare chiunque viaggi a Pechino o Shanghai, i servizi del gigante di Mountain View in Cina sono bloccati. Non ci sono dubbi che la mossa cinese, nel suo complesso, sia una risposta al provvedimento sui dazi di Trump. Il presidente Usa, dopo che in campagna elettorale aveva promesso addirittura tariffe del 60 per cento, si è fermato al 10, usando come pretesto la diffusione della piaga del Fentanyl in Usa: secondo la Casa Bianca, Pechino non contrasta la circolazione di precursori chimici utilizzati per produrre questo tipo di droga. La partita a scacchi in corso tra Xi Jinping e Donald Trump, i due veri leader del mondo, riguarda anche lo stop all’esportazione, deciso dal governo cinese, di 25 minerali rari, alcuni essenziali per l’elettronica. Nella lista, ad esempio, c’è il tungsteno, utilizzato nell’industria aerospaziale. La Casa Bianca ha annunciato come «imminente» una conversazione telefonica tra Trump e Xi Jinping. Alcune indiscrezioni avevano prospettato che sarebbe avvenuta ieri. Ma il Wall Street Journal, citando un funzionario Usa, ha spiegato che il colloquio non sarebbe avvenuto in tempi così brevi. E Trump ha detto: «Non ho fretta di parlare con Xi». Comunque, la prospettiva di un dialogo tra Washington e Pechino ha lasciato il campo all’ipotesi che si ripeta lo stesso copione visto per Messico e Canada. Il presidente Usa impone i dazi, inizia una rapida trattativa in cui la rispettiva controparte fa delle concessioni – vere o di facciata – alla Casa Bianca e il provvedimento viene sospeso. Nel caso della Cina, però, la partita è quella decisiva.
MISURA
Secondo tutti gli osservatori, sia Washington sia Pechino, per ora, hanno usato le armi leggere, senza effetti devastanti. La trattativa comincia adesso, la Cina con le scelte mirate di ieri ha inviato un messaggio al presidente Usa sintetizzabile con un «parliamone». Ora l’attenzione si sposta sull’Europa, visto che Trump ha promesso analoghe iniziative anche nei confronti delle merci provenienti dalla Ue. Nell’Unione si stanno consolidando due posizioni. C’è chi dice: prepariamoci a rispondere. E chi invece frena e sostiene: dobbiamo trattare. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, dice: «Con gli Usa saremo pronti per i difficili negoziati ove necessario. E per trovare soluzioni ove possibile. Ma renderemo chiaro che proteggeremo sempre i nostri interessi ogni volta che sarà necessario». Marc Ferracci, ministro francese dell’Industria, avverte: «Non si entra in un negoziato facendo concessioni, serve prepararsi al peggio». Adolfo Urso (ministro del Made in Italy) chiede invece di trattare con Trump: «L’Ue deve instaurare subito un dialogo costruttivo con Washington». Victor Orban, presidente ungherese, esponente di spicco di quella destra europea Mega (Make Europe Great Again) richiamata l’altro giorno da Musk: «Ursula von der Leyen isola la Ue, con Trump bisogna trattare».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link