Crac Popolare di Vicenza, Gianni Zonin vince in Corte costituzionale: sproporzionata la maxi-confisca da 963 milioni

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Ultim’ora news 4 febbraio ore 20

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L’obbligo di disporre la confisca di tutti beni utilizzati per commettere un reato societario, anche nella forma della confisca di beni di valore equivalente, può condurre a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati, ed è pertanto incompatibile con la Costituzione.

Con questa motivazione la Corte costituzionale, con la sentenza numero 7 depositata il 4 febbraio, ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’articolo 2641, primo e secondo comma, del codice civile. La questione è stata sollevata dalla Cassazione nell’ambito del processo relativo alla crisi della Banca Popolare di Vicenza.

In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto, a carico di quattro imputati top manager dell’istituto, fra cui il presidente Giovanni Zonin, la confisca di 963 milioni di euro, ritenendo l’importo corrispondente alle somme di denaro utilizzate per la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e della Bce. In particolare, il Tribunale aveva calcolato l’importo da confiscare sommando tutti i finanziamenti concessi a terzi dalla Banca popolare affinché acquistassero azioni della stessa banca, senza poi dichiarare tali finanziamenti secondo le modalità previste dalla legge.

I procedimenti in Corte d’appello e cassazione

In secondo grado, la Corte d’appello di Venezia aveva confermato in parte la responsabilità penale degli imputati, ma aveva revocato la confisca, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene sancito dalla Carta dei diritti fondamentali della Ue. Il procuratore generale aveva quindi proposto il ricorso alla Corte di cassazione, sostenendo che la Corte d’appello avesse erroneamente disapplicato l’articolo 2641 del codice civile, che impone al giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere, tra gli altri, i reati di aggiotaggio e di ostacolo alle funzioni di vigilanza, o comunque beni o somme di valore equivalente.

La Corte di cassazione, condividendo i dubbi della Corte d’appello circa la possibile sproporzione di una confisca di quasi un miliardo di euro a carico di quattro persone fisiche, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sull’articolo 2641 del codice civile, ritenendo necessario l’intervento della Corte costituzionale per statuire definitivamente sulla compatibilità o incompatibilità della norma con i principi costituzionali e, al tempo stesso, con i diritti stabiliti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

Il principio di proporzionalità

La Corte costituzionale ha, prima di tutto, osservato che la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato ha natura di vera e propria pena di carattere patrimoniale, che – in quanto tale – deve rispettare il principio di proporzionalità. Questo principio vieta, in particolare, che le pene patrimoniali risultino sproporzionate rispetto alle condizioni economiche dell’interessato, e in ogni caso alla sua capacità di far fronte al pagamento richiesto.

Una legge che è «strutturalmente suscettibile di produrre risultati sanzionatori sproporzionati, perché non consente al giudice di adeguare l’importo alle reali capacità economiche e patrimoniali delle singole persone fisiche colpite dalla confisca».

Per la Consulta la norma è «parzialmente incostituzionale»

La norma è stata così dichiarata «parzialmente incostituzionale». Spetterà al legislatore valutare se introdurre una nuova disciplina della confisca dei beni strumentali e delle somme di valore equivalente, nei limiti consentiti dal principio di proporzionalità, così come previsto in altri sistemi giuridici e nella stessa legislazione dell’Unione europea.

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Resta invece in vigore l’obbligo di confiscare integralmente i profitti ricavati dal reato, in forma diretta e per equivalente, a carico di qualunque persona – fisica o giuridica – che risulti effettivamente avere conseguito le utilità derivanti dal reato. Resta ferma, inoltre, la facoltà per il giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere il reato prevista in via generale dell’articolo 240 del codice penale, nel rispetto del principio di proporzionalità. (riproduzione riservata)



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