Napoli è una città magnetica ma c’è anche attrattività per aziende e multinazionali che negli ultimi anni hanno deciso di investire, provando a rallentare la fuga di cervelli nel nord del paese o all’estero. Perché Napoli è considerata una città «ricca di talenti» ma «deve evitare di piangersi addosso», provando a cavalcare cultura e innovazione senza rinnegare i propri tratti tipici che sempre più spesso tende a racchiudere nei soliti stereotipi, vera croce e delizia del Mezzogiorno. È quanto emerso nel secondo appuntamento del RifoClub Napoli, andato in scena il 29 gennaio all’hotel Romeo.
Nel dibattito – moderato da Eugenio Izzo e introdotto da Gabriella Colucci, presidente Arterra Bioscience – hanno portato la loro testimonianza manager e proprietari di società che hanno puntato quasi a occhi chiusi sul capoluogo campano, raccogliendo dopo qualche anno risultati importanti anche grazie a strumenti legislativi come la Zes unica o i finanziamenti europei, che hanno accelerato il processo di insediamento: da Simona Ali (market team manager di Booking) a Raffaele D’Orsi (managing director di Accenture Technology), passando per Lucrezia Labbadia (che cura i rapporti istituzionali della multinazionale farmaceutica svizzera Novartis) e Giovanni Vaia (presidente Btinkeeng, rientrato a Napoli dopo un decennio in Veneto da ricercatore).
«Attrattività significa creare le condizioni per portare valore ai talenti e ai clienti», sottolinea D’Orsi di Accenture che, con una serie di dati, cristallizza il successo della società di consulenza strategica americana che ha una sede in città dal 2001. «All’epoca decidemmo di puntare su Napoli perché c’era un ottimo settore universitario dal quale attingere e lanciare talenti, ma non nascondo che ci sono state diverse criticità. Ve lo ricordate il film “Benvenuti al Sud” con la poliziotta che chiedeva a Bisio “Chi te lo fa fare di andare a Napoli?”. Ecco, noi ci presentavamo con questa etichetta quando dovevamo convincere i clienti di tutta Italia. Poi, negli anni, è andata sempre meglio e oggi abbiamo 4.150 talenti (3mila fissi e 1.000 esterni) anche se in città abbiamo al massimo 2-3 clienti». Per D’Orsi, la vera differenza rispetto alle altre sedi italiane e all’estero di Accenture è legata alla capacità delle persone presenti sul territorio e alla loro voglia di rivalsa. Non a caso «noi siamo presenti in tutta Europa ma il centro più rilevante, per volumi di produzione, è quello di Napoli».
Altra realtà d’eccellenza è la sede Novartis a Torre Annunziata, che nel 2023 ha prodotto 8 miliardi di compresse «esportate in Cina, Giappone e Usa», spiega Labbadia. Che aggiunge: «All’inizio abbiamo dovuto lottare contro il pregiudizio dell’azienda ma poi con fatti, coraggio e lungimiranza abbiamo dimostrato che la sede partenopea ha fatto grandi cose». Le compresse prodotte nello stabilimento partenopeo vengono esportate in 118 paesi del mondo. Qual è la chiave per creare stabilità dopo le agevolazioni iniziali? «Quello che serve è far sì che questi elementi diventino parte strutturale del sistema per porre radici e creare sviluppo e innovazione». Occorre dunque migliorare il «coordinamento tra istituzioni politiche, senza scontri tra quelle nazionali, regionali e locali, ma con un’unica coesione perché l’intento deve essere quello di favorire lo sviluppo» e «lavorare sulla semplificazione dell’iter burocratico, altrimenti imprenditori e multinazionali vanno altrove, dove ci sono regole più fluide».
Anche per Booking, rappresentata da Simona Ali, la chiave «è sapersi ascoltare». L’azienda e-commerce del settore dei viaggi ha scelto di aprire una sede a Napoli sia per la «bellezza del territorio» e il relativo boom turistico degli ultimi anni, sia per avviare collaborazioni con le università «per far toccare con mano cosa significa lavorare in questo ambito». Secondo Vaia di Btinkeeng, Napoli è «una città creativa e la bellezza del posto ci ispira», ma allo stesso tempo vanno migliorate le relazioni tra gli attori in campo. «In Veneto c’è più networking tra imprenditori, qui invece c’è più individualismo, pensiamo di essere più furbi, invece fare rete crea valore».
Chiusura finale dedicata allo smart working, che va sempre bilanciato perché «la creatività va alimentata quotidianamente con il confronto e l’interazione. Non smetterò mai di facilitare il rientro parziale dei giovani sul luogo di lavoro perché non si può stare sempre a casa», taglia corto D’Orsi.
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