L’Italia fabbrica di ignoranti. Prospera l’analfabetismo di ritorno. Il paese viaggia verso un futuro incerto e grigio. – Il blog di Carlo Franza

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Il 58° Rapporto Censis presenta un’Italia che versa in una crisi culturale profonda, per non dire profondissima. L’Italia ormai è divenuta una fabbrica di ignoranti nel vero senso della parola; ve lo dice non un esterno, ma un professore che ha creduto per mestiere da sempre nel sapere, nella cultura, nell’insegnamento e nell’università. Il Rapporto traccia un quadro preoccupante, mettendo in evidenza una profonda crisi culturale. Ne viene fuori il Paese degli ignoranti, caratterizzato da gravi carenze culturali e attraversato da crescenti sentimenti anti-occidentali. La crisi del ceto medio, e l’affondamento dei valori occidentali che da millenni ci incorniciano e da sempre pilastro delle democrazie liberali, è al centro dell’analisi. Ecco dunque un’Italia che è un paese di ignoranti. Ultimamente addirittura un intellettuale come il collega Odiffredi, remando contro questo dato, si è scagliato contro la Riforma Gentile, quando questa riforma ha mostrato negli anni una preparazione di eccellenza in tutto il mondo.  Il quadro della nazione Italia è pessimo, è come se il paese si fosse imbarbarito, è certo che la globalizzazione ha fatto il suo corso negativo. I redditi reali sono calati del 7% rispetto anche a vent’anni fa, e l’85% degli italiani pensa   senza se e senza ma che è difficile migliorare la sua posizione. Si stanno perdendo valori tradizionali come la democrazia, l’europeismo e l’atlantismo; addirittura il 66% degli italiani attribuisce all’Occidente responsabilità forti riguardo i conflitti globali, e solo il 31% sostiene l’aumento l’aumento di spese militari voluto dalla Nato. Scendiamo nel dettaglio, perché il quadro desolante tracciato nel 2024 dall’Istituto di Ricerca Socioeconomica Censis ci fa sapere che un italiano su due non sa quando l’uomo è sbarcato sulla Luna, non sa quando è caduto Mussolini, e addirittura in che anno è avvenuta la Rivoluzione francese.  Resta da dire che la cultura generale è a quota zero. Gli italiani non sanno nulla di nulla, eppure di questi italiani taluni siedono oggi in cattedra, altri sono medici negli ospedali, altri sono avvocati  che spesso non sanno scrivere una relazione, altri sono giornalisti che non scrivono mai e non si aggiornano, altri sono preti che al di là di qualche nozione teologica non vanno, e si e no hanno letto la Bibbia, altri sono inseriti in posti statali e parastatali e stentano a parlare e a fare un discorso corretto. Sembrerebbe che molti, moltissimi, non conoscono informazioni di storia elementare. Ecco perché il rapporto Censis è stato denominato “La fabbrica degli ignoranti”, lasciando emergere scenari inquietanti sui livelli di preparazione culturale di giovani e meno giovani: il 49,7% degli italiani non sa indicare correttamente l’anno della Rivoluzione francese, il 30,3% non sa chi è Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), per il 32,4% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo, una persona su tre tra gli intervistati pensa che Eugenio Montale sia stato un presidente del Consiglio, che Giuseppe Verdi sia l’autore dell’Inno d’Italia; per il 6,1% il sommo poeta Dante Alighieri non è l’autore delle cantiche della Divina Commedia. Non si studia più e non si legge più. Qualche esempio sui risultati della formazione scolastica e sul livello di cultura generale: “per quanto riguarda il sistema scolastico, non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano: il 24,5% degli alunni al termine delle primarie, il 39,9% al termine delle medie, il 43,5% al termine delle superiori (negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente all’80,0%). Dati spaventosi. Le scuole e le università sono diventate diplomifici e si è detto che un diplomato della Finlandia ne sa più di un laureato italiano.  E badate bene, tutto ciò oggi esiste anche per il malevolo uso -abnorme- dei social, che lascia invece apparire uno sfumato impianto culturale della società contemporanea. Tutto ciò si chiama analfabetismo di ritorno, in quanto gli italiani sanno leggere e scrivere rispetto agli anni Cinquanta del Novecento ma non capiscono e non comprendono quello che leggono. In Italia circa il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Uno dei dati peggiori d’Europa. Non si tratta tanto di non saper leggere e scrivere, come si intende normalmente, l’analfabetismo funzionale consiste nell’incapacità di comprendere e usare le informazioni che si incontrano nella vita di tutti i giorni, a causa delle non sufficienti abilità nella lettura e comprensione del testo, e nel calcolo. Gli analfabeti -vale a dire quelli che non sanno leggere, scrivere e firmare in senso stretto- sono ormai una minoranza quasi irrilevante (260.000, si pensa tra le fasce più anziane della popolazione), mentre i laureati sono 8,4 milioni, il 18,4% tra tutti gli italiani con più di 25 anni (nel 2011 non si andava oltre il 13,3%). Emerge nel complesso un tasso medio di cultura insufficiente, a giudicare dalle informazioni registrate dal Censis: “La mancanza di conoscenza di base -è spiegato nel focus- rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”. I gradi di preparazione fanno acqua un po’ in tutte le direzioni. L’istituto di ricerca CENSIS attivo dal 1964 certifica “una preoccupante incapacità di collocare correttamente sulla carta geografica le città straniere”. Per esempio «il 23,8% degli italiani non sa che Oslo è la capitale della Norvegia, mentre il 29,5% non sa che Potenza è il capoluogo della Basilicata, che il principale fiume della Puglia è l’Ofanto, che il Canton Ticino è in

Svizzera”. Enorme perplessità arriva anche “dalle difficoltà di calcolo, perché il 12,9% degli italiani non sa che la moltiplicazione di 7 per 8 dia come risultato 56”; “E l’ignoranza regna sovrana anche in merito ai meccanismi istituzionali”, scrive ancora il Censis, perché “Più di un italiano su due (il 53,4%) non attribuisce correttamente il potere esecutivo al Governo, bensì al Parlamento o alla magistratura”. Ecco questa è l’Italia, si mostra con un panorama pietoso. Le carenze formative si traducono, inevitabilmente, nel rapporto con la realtà: “mentre si discute di egemonia culturale, per molti italiani si pone invece il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire (del resto, per il 5,8% il ‘culturista’ è una ‘persona di cultura’). “Si intravede una condizione di ignoranza diffusa anche nel futuro prossimo, quando le giovani generazioni entreranno nella vita adulta e dovranno occupare posizioni di responsabilità”, scrive ancora il centro di ricerca.  E ancora sottolinea il 58° Rapporto Censis: “L’ignoranza è una minaccia per la democrazia”. Nel limbo dell’ignoranza vivono stereotipi e pregiudizi: il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica (si nasce criminali, insomma), e “per un italiano su dieci Islam e Jihad sono la stessa cosa”. L’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale”. D’altronde, è già ben noto che l’ascensore sociale, per gli italiani, nel Paese post boom economico, si è fermato ai nati nel 1971.

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L’unico sbarramento a questo panorama drammatico è la scuola, la cultura, come strumento per affrontare problemi complessi, crisi climatiche e crisi economiche, ma tutto con percorsi graduali e condivisi. Con gli slogan non si governa.  La politica ha il dovere di studiare e ricostruire una cultura capace di incrociare le grandi sfide che si dovranno fronteggiare. E’ difficile certo, ma primariamente necessario. Il rinnovamento culturale è quindi l’unica strada per ridare speranza e fiducia all’Italia; perché cultura è soprattutto fondamento di una società giusta, funzionante, al passo con i tempi.

Carlo Franza

 



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