La nomenclatura delle operazioni di acquisizione con indebitamento o leveraged buyout (LBO), se si eccettuano i riferimenti alla fusione ex art. 2501 c.c., e il d. lgs. n.142 del 4 agosto 2008, deriva da interventi ministeriali, giurisprudenza e prassi dell’Agenzia delle Entrate. Di tali disposizioni e pronunce suppletive non si coglie il proprium se non le si ancora alle raccomandazioni dell’OCSE in tema, soprattutto, di transfer pricing. Le LBO determinano, infatti, transazioni infragruppo o tra entità collegate sussunte a strategie di mercato e risparmio fiscale complesse, che coinvolgono anche le tematiche legate al transfer pricing. Di qui l’interesse per le precisazioni dell’amministrazione finanziaria, cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze demanda la delimitazione tra operazioni lecite e violazione dei principi, nazionali e internazionali, che reggono le dinamiche tra imprese. A tal proposito, l’articolo 9 del decreto m.e.f. del 14 maggio 2018 stabilisce il principio per cui la determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo o tra entità collegate deve rispettare le condizioni di mercato che reggerebbero i rapporti tra imprese indipendenti in circostanze assimilabili. Si tratta, come detto, di una ripresa delle Linee Guida dell’OCSE sul Transfer Pricing per le Imprese Multinazionali e le Amministrazioni Fiscali, che enfatizzano proprio l’importanza di tali analisi comparative, nel tentativo di scongiurare deviazioni dal principio di libera concorrenza al fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali ed economici. Il decreto afferma espressamente la necessità da parte dell’amministrazione finanziaria di dare applicazione ai criteri stabiliti dall’OCSE, monitorando gli aggiornamenti delle dette linee guida. L’Agenzia delle Entrate, di fatto, aveva avuto modo di intervenire sul tema già in epoca precedente, con la Circolare 6/E del 2016, nella quale viene analizzata la questione della deducibilità degli interessi passivi, la subordinazione delle transazioni tra entità collegate alle condizioni di mercato e l’analisi della loro consistenza economica. Successivamente, emetteva il principio di diritto n.1 del 29 gennaio 2019 in tema di valutazione anti-abuso del re-investimento nell’ambito di un’operazione di fusione. Infine, le Risposte a interpello n.22/2024 e n.251/2024 hanno fornito, la prima, chiarimenti sulla gestione delle perdite fiscali e l’impatto della fusione societaria sul regime di consolidato fiscale, mentre la seconda su un’operazione di fusione nascente da previa acquisizione per fini di riorganizzazione aziendale. Gli interventi dell’Agenzia delle Entrate si inscrivono nella tendenza ad avallare la prassi tributaria internazionale che avrebbe poi fatto da sfondo al d.lgs. n. 209/2023 di riforma della fiscalità.
1. La Circolare 6/E del 2016 e le operazioni LBO
La Circolare 6/E del 2016 dell’Agenzia delle Entrate affronta la questione delle operazioni di acquisizione con indebitamento o Leveraged Buyout (LBO) con particolare riferimento ai possibili risvolti elusivi della deduzione degli interessi e del riporto delle perdite nel bilancio della società veicolo[1].
Giova riassumere la configurazione presa in considerazione nello specifico.
L’operazione, come avviene nella maggior parte dei casi, è diretta da un fondo di private equity[2], che costituisce una società, con capitale in parte proveniente da debito, in parte fornito dal fondo sotto forma di prestiti ai soci (shareholder loan). Non è raro il caso che il fondo stesso partecipi all’operazione apportando capitale proprio.
La società così costituita funge da società veicolo o Special Purpose Vehicle (SPV), diretta ad acquisire partecipazioni in una società targetche possa vantare consistenti flussi di cassa. Acquistata la target, la SPV utilizza tali flussi di cassa per ripagare il debito. A loro volta, gli investitori possono trarre vantaggio dalla percezione di interessi più vantaggiosi di quelli consueti, così come dalla vendita della target, una volta che il debito sia stato estinto o considerevolmente ridotto. Inoltre, la deducibilità degli interessi passivi abbatte l’imponibile della SPV.
Ora, tale struttura ha attirato l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate in quanto si può prestare a condotte fiscalmente abusive qualora, per esempio, la contabilizzazione di talune spese o la deduzione degli interessi passivi non risponda al principio di inerenza ex art. 109, comma 5, TUIR: “Le spese e gli altri componenti negativi di reddito sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”, il che non avviene, avverte l’Agenzia, quando le spese accessorie o other fee, come commissioni di gestione (management fees), consulenze strategiche o costi amministrativi o di supporto tecnico forniti dal fondo o da società affiliate siano addebitate dal fondo alla società target per servizi che non risultano effettivamente collegati all’attività della società stessa o siano di ammontare sproporzionato rispetto al loro reale apporto all’economia dell’ente. In tali casi, pertanto, tali costi e spese non potranno essere considerati deducibili ai fini dichiarativi. Lo stesso dicasi per l’indeducibilità degli interessi passivi, quando il debito contratto non è effettivamente utilizzato per l’acquisizione della target, ma destinato ad altre attività[3].
Un altro caso è quello di una SPV che si fonde con la società target in perdita al solo fine di riportare le perdite fiscali e ridurre il reddito imponibile. In tal caso, la società target non soddisferebbe il test di vitalità economica richiesto dall’articolo 172, comma 7, del TUIR, in quanto non ha attività economiche rilevanti o prospettive di crescita che giustifichino l’acquisizione e la fusione, con conseguente esclusione dal calcolo del reddito imponibile[4].
In proposito rileva anche l’articolo 10-bis della legge 212/2000 (Statuto del contribuente) in tema di abuso del diritto fiscale, derivante dall’utilizzo di strumenti giuridici per ottenere indebiti vantaggi fiscali, ciò che si verifica, appunto, quando non sussistano valide ragioni economiche, se non il risparmio fiscale tout court, a sostegno dell’operazione.
Le precisazioni contenute nella Circolare mostrano una significativa corrispondenza con le Linee Guida OCSE sul transfer pricing, con l’accento posto sulla necessità che tutte le transazioni infragruppo, inclusi i finanziamenti, siano analizzate secondo il principio di libera concorrenza (arm’s length principle), il che trova corrispondenza nell’art. 110, co.7 TUIR in tema di aderenza dei tassi di interesse al principio del valore normale, ossia il valore che sarebbe concordato tra parti indipendenti in condizioni comparabili.
Le linee guida OCSE specificano che il valore normale deve essere determinato utilizzando metodi di transfer pricing riconosciuti, come il metodo del prezzo comparabile, del costo maggiorato o del margine netto.
Ne deriva che quando il tasso di interesse non è congruo o le condizioni del finanziamento sono anomale, si potrà riqualificare il prestito come apporto di capitale, in una con la indeducibilità degli interessi, che saranno trattati fiscalmente come dividendi.
Dall’atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate emerge che le operazioni di LBO in sé stesse non determinano abuso fiscale, quando se ne possa dimostrare e documentare la finalità, e si possa suffragare la vitalità economica della società target.
2. Dal Leveraged Buyout al Merger Leveraged Buyout: il principio di diritto n.1/2019
Dopo l’acquisizione per indebitamento, spesso si procede a una fusione tra la SPV e la società target, in quanto ciò permette di integrare le strutture operative, riducendo duplicazioni di costi e migliorando la gestione finanziaria. La fusione consente poi di consolidare le perdite fiscali della target e di trasferire il debito contratto dalla SPV, sfruttando eventuali vantaggi fiscali derivanti dalla deducibilità degli interessi passivi[5].
Nel Principio di diritto n. 1 del 2019, l’Agenzia delle Entrate analizza un’operazione di Merger Leveraged Buy-Out (MLBO) in relazione al principio di abuso del diritto fiscale, ex art. 10-bis della Legge 212/2000 (Statuto del contribuente).
Si tratta, anche qui, di operazioni che non determinano un abuso del diritto di per se stesse considerate. Ma se la fusione è motivata unicamente da ragioni fiscali e la società target non ha generato ricavi significativi nei due esercizi precedenti alla fusione o le perdite eccedono il patrimonio della stessa, tali fattispecie non supererebbero il test di vitalità economica ex art. 172, co.7, TUIR, creando così i presupposti di una contestazione da parte del fisco.
A fortiori, in questo tipo di operazioni, il tasso di interesse applicato deve rispettare il principio di libera concorrenza ex art. 110, co. 7, TUIR: un tasso eccessivo potrebbe portare alla riqualificazione degli interessi come dividendi, rendendoli non deducibili.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate si è soffermata sul re-investimento del capitale ottenuto dalla cessione di quote della società target nella SPV che quelle quote aveva acquistato.
Perché non si configuri un abuso del diritto, il reinvestimento deve essere sostenuto da valide ragioni economiche e avere una sostanza economica reale. Non si deve quindi trattare di un mero passaggio circolare di denaro. Il re-investimento può essere diretto al coinvolgimento del socio-reinvestitore nelle scelte strategiche per rafforzare la SPV, attraverso l’acquisizione delle rimanenti azioni della target. L’effettivo incremento patrimoniale della SPV è invece da escludere quando “non appare ravvisabile alcun vantaggio economico addizionale diverso da quello fiscale legato alla creazione artificiosa di base ACE”. Pur essendo stato abrogato l’ACE, il principio enunciato dall’Agenzia delle Entrate rimane indicativo della volontà di contrastare operazioni volte a ottenere soltanto un vantaggio fiscale, con una mera restituzione o ‘riciclo’ del denaro senza un incremento patrimoniale reale.
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3. Merger Leveraged Buyout e abuso del diritto
La Risposta n. 22/2024 analizza il trattamento fiscale relativo al riporto delle perdite e alla deducibilità degli interessi passivi in un’operazione MLBO.
Nella fattispecie, la società capogruppo Alfa dirige la costituzione della SPV Beta per acquisire la target Zeta. Beta si fonde successivamente con Alfa.
Alcuni soci di Zeta vendono le proprie azioni a Beta e una parte delle liquidità ricevuta viene reinvestita nella SPV, contribuendo a finanziare ulteriormente l’operazione. Quando Beta viene fusa per incorporazione in Alfa, l’unificazione delle posizioni fiscali consente di consolidare perdite fiscali, eccedenze ACE e interessi passivi.
Tralasciando le eccedenze ACE, che attengono a un regime, come si è detto, abrogato e la cui disciplina riguarda solo la gestione delle pratiche pendenti, il riparto delle perdite e la deducibilità degli interessi, ripropongono, pur al variare della struttura d’insieme, le medesime questioni viste sopra: si discute la possibilità di riportare le perdite fiscali maturate da Beta a seguito degli interessi passivi sul debito contratto per l’acquisizione di Zeta.
L’Agenzia sussume la questione al dettato dell’articolo 172, co. 7, del TUIR, in base al quale, come si è visto in precedenza, il riporto delle perdite fiscali di una società coinvolta in una fusione è subordinato all’esito positivo del test di vitalità economica: la società deve dimostrare di avere generato ricavi o sostenuto spese per lavoro subordinato pari ad almeno il 40% della media degli ultimi due esercizi e le perdite riportabili non possono eccedere il patrimonio netto della società.
L’Agenzia ha riconosciuto che le perdite fiscali di Beta derivano esclusivamente dagli interessi passivi maturati sul debito contratto per l’acquisizione della società target Zeta. Tali perdite, quindi, non sono attribuibili ad attività improduttive o a schemi elusivi, bensì a operazioni strettamente legate alla funzione economica della SPV.
Pur trattandosi di una SPV priva di attività operative proprie, la vitalità economica di Beta può essere verificata in relazione alla sua funzione specifica di strumento per l’acquisizione: il flusso di ricavi futuri della società target Zeta è considerato come l’elemento di supporto economico dell’operazione.
L’Agenzia afferma che, in tali casi, il test di vitalità non deve essere applicato in modo rigido, ma consentaneo con la natura dell’attività della SPV.
Anche per Alfa, la mancanza di costi per il personale è stata considerata fisiologica data la natura di holding della capogruppo. L’Agenzia ha, infatti, ritenuto che l’attività economica di Alfa non avesse subito depotenziamenti e che la fusione rispondesse a logiche economiche legittime.
Allo stesso modo, la fusione non interrompe il consolidato fiscale di Alfa: le posizioni soggettive maturate nel periodo interinale e dal momento dell’acquisizione sono state considerate compatibili con la normativa vigente.
Nella Risposta a interpello n.251/2024, l’Agenzia delle Entrate, sempre in tema MLBO, ha analizzato il caso di una società Alfa, che, in collaborazione con un partner Gamma realizza una joint venture finalizzata alla riorganizzazione di una società target Delta.
L’operazione viene condotta costituendo una HoldCo in comproprietà tra Alfa e Gamma e perfezionando l’acquisizione della target Delta attraverso una società veicolo (BidCo) con un finanziamento derivante in parte da debito in parte da equity.
Si procede poi ad una fusione tra BidCo e Delta con trasferimento del debito alla società operativa attraverso il meccanismo del debt push-down.
I chiarimenti offerti dall’Agenzia delle Entrate hanno, anche in questo caso, avallato l’operazione, confermando la deducibilità degli interessi passivi derivanti dal finanziamento per l’acquisizione della target e la non abusività dell’operazione ai sensi dell’articolo 10 bis l. 212/2000 (Statuto del contribuente).
L’inerenza degli interessi passivi è stata riconosciuta in vista del collegamento diretto del finanziamento all’acquisizione e successiva riorganizzazione della società target. L’operazione non risulta, dunque, abusiva, in quanto fruisce di giustificazione economica, poiché la transazione è funzionale al progetto di espansione del business tramite la joint venture e il mutamento del controllo della target.
In entrambe le risposte, l’Agenzia ha riconosciuto la fusione inversa[6] come una prassi consolidata delle operazioni MLBO, poiché consente di posizionare efficacemente il debito nella società target, servendosi di un’unica entità giuridica.
L’abuso del diritto fiscale è, dunque, scongiurato nella misura in cui il trattamento fiscale degli interessi passivi deducibili rispetti le condizioni imposte dall’art. 96 TUIR, per cui tali interessi sono limitati all’ammontare degli interessi attivi maturati nello stesso periodo d’imposta e l’eccedenza è deducibile solo fino al 30% del Rol (Risultato Operativo Lordo), ovvero il margine operativo netto derivante dall’attività caratteristica della società.
Il richiamo all’art. 96 TUIR dimostra la preoccupazione dell’Agenzia delle Entrate per le operazioni che generano eccessivo indebitamento delle imprese, non solo per garantire la congruità dei costi finanziari con la capacità operativa della società, ma anche, e soprattutto, per scongiurare pratiche elusive.
4. Verso una nuova visione delle acquisizioni per indebitamento
Le operazioni MLBO hanno rappresentato negli ultimi anni un terreno complesso e delicato di analisi fiscale.
L’Agenzia delle Entrate ha evidenziato l’importanza della sostanza economica e del rispetto delle norme anti-abuso in queste operazioni.
Dalla Circolare 6/E del 2016 fino alle recenti Risposte a interpelli del 2024, si delinea un’evoluzione che mira a distinguere strutture legittime da operazioni elusive.
Con la Circolare 6/E del 2016, l’Agenzia delle Entrate ha posto le fondamenta per l’analisi delle operazioni LBO/MLBO, enfatizzando tre aspetti centrali:
- Principio di inerenza (articolo 109 TUIR): gli interessi passivi sul debito contratto per finanziare l’acquisizione sono deducibili solo se correlati all’attività economica della società target.
- Divieto di abuso del diritto (articolo 10-bis l.212/2000): le operazioni prive di sostanza economica e finalizzate esclusivamente al risparmio fiscale possono essere riqualificate e sanzionate.
- Riporto delle perdite fiscali (articolo 172, co. 7, TUIR): Il riporto è subordinato al rispetto del test di vitalità economica e al limite del patrimonio netto.
Come si è visto, è possibile cogliere l’eco delle linee guida OCSE in tema di libera concorrenza e sostanza economica nelle operazioni di finanziamento infragruppo e in quelle, correlate, di trasferimento del prezzo.
Nel Principio di diritto n. 1 del 2019, l’Agenzia si è concentrata sul tema del flusso circolare di denaro nelle operazioni MLBO. Si è chiarito che:
- La creazione artificiosa di una base ACE attraverso il reinvestimento circolare dei soci venditori costituisce abuso del diritto.
- Per essere legittime, le operazioni devono apportare nuove risorse finanziarie al sistema e avere una giustificazione economica concreta.
L’operazione, pertanto, può essere contestata se il flusso di denaro appare privo di effetti economici reali ed è finalizzato esclusivamente a ottenere vantaggi fiscali.
Le Risposte n. 22 e n. 251/2024 segnano un ulteriore passo avanti nell’analisi delle operazioni MLBO. In queste risposte, l’Agenzia delle Entrate adotta un approccio che favorisce l’analisi caso per caso, distinguendo tra:
- Operazioni legittime:
- Strutture che dimostrano valide ragioni economiche, come il miglioramento operativo, il rafforzamento patrimoniale della target o la realizzazione di progetti imprenditoriali.
- Perdite fiscali e interessi passivi deducibili se derivanti da costi effettivi e funzionali all’acquisizione.
- Operazioni elusive:
- Schemi artificiali che non introducono valore economico reale e si limitano a sfruttare meccanismi fiscali, come il riporto di perdite senza sostanza economica.
L’itinerario tracciato dell’Agenzia delle Entrate dal 2016 al 2024 evidenzia la necessità di vagliare i confini tra ottimizzazione fiscale legittima e abuso del diritto in operazioni di finanza strutturata.
Ci pare di poter trarre la conclusione che l’atteggiamento complessivo dell’Agenzia, anche per l’innegabile intreccio tra le iniziative imprenditoriali nazionali e l’ambito globale delle operazioni, riveli una maggiore attenzione ai casi specifici e al contesto d’insieme. Conseguentemente, si intravede un passo indietro rispetto a una rigida applicazione delle norme e a una certa sfiducia a priori rispetto alle attività che coinvolgono entità estere, del resto sempre meno ghettizzabili come minacce per l’erario e ormai divenute insostituibili partner dell’imprenditoria nazionale, anche nella legittima ricerca del risparmio fiscale.
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