La proprietà dello spazio cosmico e i satelliti di Musk

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Luigi Ferrajoli, presidente di Costituente Terra, ha di recente contestato l’appropriazione privata dello spazio cosmico sopra l’atmosfera terrestre.

Ferrajoli, filosofo del diritto (allievo di Norberto Bobbio), afferma con forza il carattere pubblico dello spazio, sulla base del Trattato sulle attività nello spazio extra-atmosferico, concluso a Washington il 27 gennaio 1967 e ratificato da moltissimi Stati, tra cui gli Stati Uniti e l’Italia.

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L’art. II del Trattato così stabilisce: “Lo spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, non è soggetto ad appropriazione da parte degli Stati, né sotto pretesa di sovranità, né per utilizzazione od occupazione, né per qualsiasi altro mezzo possibile”.

Lo spazio cosmico sopra l’atmosfera non sarebbe dunque soggetto ad appropriazione da parte di singoli Stati: a maggiore ragione non può essere soggetto ad appropriazione da parte di soggetti privati.

Ci si riferisce ovviamente a Elon Musk e alla sua società SpaceX, che, collocando in orbita la costellazione di satelliti “Starlink” per le comunicazioni e per l’accesso a internet (al momento, i satelliti in orbita sarebbero 6.874), avrebbe realizzato una “appropriazione privata dello spazio pubblico extra-atmosferico”.

Appropriazione, conclude Ferrajoli, in contrasto col trattato internazionale del 1967 e con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 (che chiama «patrimonio comune dell’umanità» le aree di alto mare e le loro risorse), che al contrario disegnano un vero e proprio “frammento di demanio planetario”, vietandone l’utilizzazione e il controllo da parte dei privati.

Ora, la qualificazione di demanio esprime in effetti il carattere di proprietà universale dello spazio cosmico, così come nell’ordinamento nazionale italiano sono di proprietà e uso universale di tutti i beni individuati come demaniali.

La peculiarità di questo demanio è che non ha confini, quindi è controllabile dai singoli Stati solo indirettamente, cioè attraverso il controllo delle attività a terra che conducono all’invio di satelliti nello spazio.

In proposito, l’art. VI del Trattato del 1967 così prevede:
Gli Stati contraenti assumono responsabilità internazionale per le loro attività nazionali nello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, siano esse condotte da Organi governativi o da Enti non governativi, e garantiscono che le attività stesse saranno condotte conformemente alle norme formulate nel presente Trattato”.

Gli stessi Stati Uniti dispongono di una legislazione completa sulle autorizzazioni ai lanci nello spazio.

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Per un panorama della normativa attuale
https://www.difesa.it/assets/allegati/46666/as_smd_04_-_liporace.pdf

Per una ricognizione dell’evoluzione della normativa sullo spazio extra-atmosferico:
file:///C:/Users/avvda/Downloads/8.+Impaginazione_Redigonda.docx.pdf

Tra l’altro, nell’ordinamento statunitense è stato istituito l’apposito Office of Space Commerce, all’interno della National Oceanic and Atmospheric Administration, per promuovere l’industria spaziale nazionale e coordinare le politiche spaziali come parte delle attività spaziali del Dipartimento del Commercio.

C’è da ritenere, quindi, che i numerosissimi lanci effettuati dalla società di Musk siano stati autorizzati dall’autorità competente degli Stati Uniti.

È dunque avvenuta l’appropriazione privata dello spazio cosmico, ma con l’approvazione degli Stati Uniti: si direbbe quindi una “yankeizzazione” di quello spazio.

La storia forse si sta ripetendo, come nell’Ottocento con i robber-baron.

E l’Unione europea?

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Ha adottato nel 2022 le direttive 2555 e 2557, applicabili anche alle attività nello spazio.

La 2555 disciplina i controlli e la vigilanza dei singoli Stati dell’Unione sui fornitori di servizi di telecomunicazione. Sono soggetti a essa anche i soggetti che non sono stabiliti nell’Unione, ma offrono servizi nell’Unione. Questi sono tenuti a designare un rappresentante nell’Unione (art. 26).

La 2557 disciplina i settori critici cioè le attività dalle quali possono derivare incidenti che possono “perturbare in modo significativo, o che perturba[no], la fornitura di un servizio essenziale, inclusi i casi in cui si ripercuote negativamente sui sistemi nazionali che salvaguardano lo Stato di diritto” (art. 2).

La direttiva prevede che i soggetti individuati come critici siano autorizzati a operare dagli Stati e a informarli sugli incidenti.

Tra i soggetti critici sono individuati i seguenti: “Operatori di infrastrutture terrestri possedute, gestite e operate dagli Stati membri o da privati, che sostengono la fornitura di servizi spaziali, esclusi i fornitori di reti pubbliche di comunicazione elettronica quali definite all’articolo 2, punto 8), della direttiva (UE) 2018/1972” (tabella allegata alla direttiva).

Quest’ultima definizione consiste in: “rete di comunicazione elettronica, utilizzata interamente o prevalentemente per fornire servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, che supporta il trasferimento di informazioni tra i punti terminali di rete”.

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Il discrimine tra le due categorie di attività sta dunque nell’offerta al pubblico dei servizi.

L’appropriazione dello spazio cosmico può sembrare inevitabile finché si fonda, in definitiva, sulla supremazia militare degli Stati Uniti, che legittima tale Stato ad autorizzare senza limiti lanci di satelliti privati.

E tuttavia, se l’Unione Europea esistesse, come soggetto politico internazionale, potrebbe certamente attenuare le conseguenze dell’approvazione, applicando gli istituti giuridici di controllo sulle attività operate dalle reti di satelliti.

Dario Sammartino

Svolge l’attività di avvocato soprattutto nel campo del diritto amministrativo.
Ha così vissuto i rapporti con le pubbliche amministrazioni la professione sia dalla parte dei cittadini sia (in misura minore) da quella degli enti; rimane ottimista sulla funzione sociale dell’avvocato amministrativista.



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