Bologna, i racconti dei camerieri e di chi denuncia sfruttamento nella città del cibo: «Tante ore per pochi euro, cacciati dopo le proteste»

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di
Giorgio Pirani

Con nuove inchieste e un documentario Libera è tornata a raccontare i problemi del boom sotto le Due Torri dopo le inchieste che hanno scoperchiato anche le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività

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Si riaccendono i riflettori sullo sfruttamento dei lavoratori nella ristorazione a Bologna, con le inchieste pubblicate online dall’associazione Libera anche con un documentario che denunciano irregolarità nei contratti, turni massacranti di lavoro e titolari violenti e sessisti. Inchieste che hanno scatenato il dibattito negli ultimi giorni; per Confesercenti «Bologna non è la patria dell’illegalità», ma Libera ha replicato sottolineando la radicata diffusione del fenomeno. Ci sono però molte testimonianze di giovani che hanno lavorato o stanno lavorando nel settore della ristorazione e che evidenziano evidenti problemi.

Il commento sessista e la replica: «Poi non mi hanno più chiamata»

«Lavoravo a chiamata e prendevo 40 euro a servizio, c’erano casi in cui però lavoravi sia a pranzo che a cena e finivi a fare anche 14 ore al giorno, ma non ti davano soldi in più». Il problema però era il titolare, un personaggio conosciuto in città e che gestisce diversi locali nel centro storico: «Una persona terribile e manipolativa, che ha smesso di chiamarmi dopo aver risposto ad un suo commento sessista che mi ha fatto durante una pausa da lavoro. Quando andai un giorno a prendere le cose che erano rimaste nel mio armadietto mi fermai a prendere un caffè, mi vide e disse che dovevo pagarlo. Lo mandai a quel paese e me ne sono andata».




















































Solo 6 mesi, ma ancora oggi ricorda con grande rabbia: «Sono ancora arrabbiata per quello che ho subito, molto più adesso che prima. Se mi capiterà di nuovo una situazione del genere denuncerò».

«Turni per fare male alle persone, non vedevo più gli amici»

Giovanni racconta: «Il primo lavoro che ha trovato nella ristorazione è stato in una catena di locali, ma è stato anche l’ultimo: «L’’ambiente sembrava sano, ma il declino è stato quasi immediato. Avevamo un giorno a settimana libero ma che non prevedeva mai un weekend, la vita privata ad una certa è stata completamente annichilita».

Capitava di dover cenare dopo il turno, ma che poteva accadere alle 2 o 3 di notte: «Durante eventi particolari capitava di smontare verso le 4 del mattino e riattaccare poi la mattina alle 11. Erano turni fatti per fare male alle persone».

Tutte cose che hanno avuto conseguenze sulla sua salute mentale e fisica: «Tra stress e sforzo fisico ho perso molti chili, poi il non vivere più molto a casa e non vedere gli amici è stato il punto più basso, così mi licenziai. Azioni legali? Ci ho pensato ma temevo le conseguenze».

«Prendevo 5 euro l’ora, pesano i commenti dei clienti»

Luisa, 27 anni, lavora in un ristorante del centro: «Ho un contratto part-time ma alla fine faccio 40 ore a settimana con straordinari e festivi non pagati. I turni li sappiamo sempre all’ultimo e non sono nemmeno fissi, quindi si arriva ad un punto in cui la tua vita gira attorno solo a questo lavoro. Non posso dire nemmeno che voglio un giorno libero, bisogna sempre stare sull’attenti». 

A pesare per Luisa sono anche i commenti sessisti dei clienti: «Vieni vista come la persona che serve e basta, c’è quello che ti schiocca le dita o ti chiama amore e tu devi accettarlo per forza, si può pensare siano cose piccole ma col tempo queste cose pesano».

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Prima di questo lavoro aveva lavorato in una baracchina gestita in maniera occulta da Saverio Giampà, imprenditore calabrese arrestato a luglio per intestazione fittizia di società e tentata estorsione: «Prendevo 5 euro l’ora, il titolare mi rimandava continuamente il contratto è capitato di fare anche 12 ore al giorno di lavoro. Dopo aver chiesto insistentemente un contratto mi hanno mandato via dicendomi che 5 euro da dove venivano loro era tantissimo».

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3 febbraio 2025

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