Anna Foa, Il suicidio di Israele, un richiamo a percorrere la stretta via della pace

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“Il suicidio di Israele” di Anna Foa può essere un’ottima occasione di lettura per chi volesse riprendere dalle origini  le fila  dell’attuale conflitto israelo – palestinese. In una rigorosa sintesi di poco più di novanta pagine l’autrice ripercorre le principali tappe della formazione dello Stato di Israele, le guerre che subito dopo la sua istituzione ha combattuto contro il mondo arabo, le occasioni di pace perdute da entrambe i contendenti, i principali snodi storici che hanno forgiato l’identità ebraica. Poiché, come confessa in premessa Anna Foa, questo libro nasce  “dal dolore per l’eccidio del 7 ottobre e per quello per i morti e le distruzioni della guerra di Gaza … lo stesso dolore per gli uni e per gli altri” dedica la parte finale del testo a un profondo ragionamento su quello che definisce “Il suicidio di Israele”, sulle attuali posizioni politiche in campo che lasciano intravedere una via stretta  per la pace, ma l’unica percorribile.  Non a caso l’autrice comincia la storia di Israele dalla nascita del sionismo, proprio per chiarirne la complessità  oggi che il termine sionismo viene spesso associato a quello di colonialismo. Ritiene necessario “analizzare da vicino l’ideologia sionista e le sue trasformazioni dalla seconda metà dell’Ottocento alla nascita dello stato di Israele, il rapporto con la diaspora, i nessi con l’espansione coloniale europea e quelli con la distruzione nazista degli Ebrei d’Europa”. Il sionismo ha una lunga storia già prima della nascita dello Stato di Israele e sarebbe più appropriato parlare non di sionismo, ma di sionismi, tanto che non c’è accordo, fra i suoi interpreti,  sulla sua data di nascita. Chi assume il 1862, quando Moses Hess pubblica il suo “Roma e Gerusalemme”, chi il 1882 con la prima emigrazione dalla Russia, o ancora il 1896 con la pubblicazione da parte di Theodor Herzl di “Lo stato ebraico”.

Le molte sfaccettature del sionismo  sotto vari aspetti creano una frattura con la diaspora. Il sionismo assume una posizione critica verso la diaspora che viene criticata come  oppressione e servitù, con il rifiuto di conseguenza dell’idea di emancipazione che in molti stati  dell’Europa Occidentale aveva portato all’assimilazione degli ebrei con gli altri cittadini; pone un progetto politico statale che precedentemente non aveva fatto parte della costruzione teorica e filosofica del mondo ebraico; propone una vera e propria rivoluzione culturale. Tuttavia l’idea di creare un territorio autonomo per gli ebrei non implicò subito che quel territorio fosse la terra da cui era partita la diaspora. Si pose presto la riflessione che quel territorio era abitato e  anche chi in seguito  si orientò verso l’idea della Palestina non ignorava che portare avanti quel progetto avrebbe comportato problemi con gli arabi.  Tuttavia fino alla dichiarazione di Balfur del 1917 sul “focolare per gli ebrei”, non si era ancora manifestato un movimento nazionalista arabo in opposizione alla vendita di terre agli ebrei e dunque a una loro emigrazione. Le cose si complicarono quando con la Conferenza di Parigi la Gran Bretagna, non rispettando gli accordi stabiliti in cambio dell’appoggio arabo in guerra, designò Faysal re dell’Iraq e pose la Siria sotto protettorato francese. Il nazionalismo arabo, che aveva avuto come centro  la Siria si spostò dunque in Palestina.

L’autrice ci conduce attraverso le complesse vicende storiche che conducono alla proclamazione dello stato di Israele e alle successive guerre, ma poi pone la questione di quali snodi storici abbiano determinato l’identità degli ebrei, quelli immigrati a Israele e quelli della diaspora. Molto importante è stata nel giovane stato, appena uscito dalla guerra del 1948, la”legge del ritorno” nel 1950 in base alla quale i confini del mondo ebraico si allargavano potenzialmente a tutto il mondo, potendo ricevere tutti gli ebrei una doppia cittadinanza.  Subito dopo l’ istituzione dello Stato di Israele per chi lo guidava non fu facile, di fronte ai molti problemi da affrontare, operare per l’assimilazione  dell’Yishuv, l’insediamento ebraico più antico in Israele, e i sopravvissuti della Shoah. Negli anni Cinquanta le destre si contrapposero lungamente ai laburisti di Ben Gurion che veniva accusato di non essersi abbastanza impegnato per salvare gli ebrei dalla Shoah. Secondo l’autrice Ben Gurion, da parte sua, seppe condurre magistralmente nel 1961 l’operazione del processo Eichmann, per unificare il Paese e rafforzarne l’identità. Quel processo non fu solo un processo al criminale di guerra Eichmann, ma alla Shoah, che venne assunta come memoria e parte fondante  della storia sia di Israele che della diaspora. Da allora i termini Israeliani e Ebrei cominciarono ad essere assimilati sia sul piano linguistico che nella percezione del mondo non ebraico. Altri  eventi hanno avvicinato Israele e la diaspora. Negli anni Settanta il terrorismo palestinese aveva colpito gli israeliani,  come era avvenuto a Monaco nel 1972 ; dagli anni Ottanta invece furono colpiti indiscriminatamente obiettivi israeliani ed ebraici, come avvenne a Roma nel  1982 con l’attentato alla Sinagoga o nel 1980 a Parigi di fronte alla Sinagoga di rue Copernic, nel 1982 con  l’ attentato al ristorante ebraico Chez Goldenberg o ancora nel 1994 a Buenos Aires.

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L’identità ebraica si era lentamente modificata rispetto all’ impronta europea anche per le migrazioni del 1948 e del1967 in fuga dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Queste migrazioni comportarono un conflitto antropologico e di classe con la vecchia élite askenazita, laburista e legata all’esperienza dei kibbutzim, mentre i nuovi immigrati erano poveri e considerati arretrati. Significativa fu anche la migrazione dall’ex Unione Sovietica negli anni Novanta di oltre un milione di persone. Avevano un’educazione laica e un alto livello di istruzione particolarmente scientifico. Essi diedero un grande contributo allo sviluppo economico e tecnologico dello Stato. Un altro elemento importante dell’identità ebraica è  la religione. In realtà in Israele convive una strana mescolanza di laicismo e religione che vivono spesso in mondi separati con una spaccatura che influenza anche la politica. All’epoca della fondazione Ben Gurion, laico convinto, aveva  stretto un patto con i religiosi, per non spaccare il Paese, convinto che la spinta religiosa si sarebbe presto esaurita. Questa previsione non si è avverata, anzi i sionisti religiosi, fanatici della grande Israele data da Dio al popolo ebraico, si sono moltiplicati e rafforzati.

Oggigiorno molte critiche vengono mosse all’attuale governo per l’acquiescenza non solo  verso i sionisti religiosi, ma anche verso gli ultraortodossi. Anche l’identità degli ebrei della diaspora è mutata nel tempo. Alla nascita dello Stato i legami con Israele e l’interesse per le sue vicende erano fortissimi. Fino agli anni Ottanta sia la diaspora europea che quella americana avevano una fisionomia specifica; oggi l’ebraismo europeo appare privo di progettualità politica o culturale e privo di autonomia rispetto a Israele, mentre mantiene una sua forza e influenza la diaspora americana. Per quanto riguarda l’identità palestinese invece l’autrice mette in evidenza  particolarmente la tragica esperienza della Nakba del 1948 e il regime militare di attraversamento di frontiere e check point messo in atto dopo il 1949 con la linea non ufficiale di confine, la  cosiddetta linea verde, e più tardi con la costruzione del muro. Le identità dei due popoli sono simili e contrapposte, entrambe connotate dalla dimensione “della catastrofe e del trauma”.   Foa si domanda se “… lo sarà per sempre o esiste una possibilità di dialogo anche per identità e memorie? Ma è possibile conciliare la memoria con la giustizia nel momento in cui una delle due vittime è anche vittima dell’altra, come nel caso dei palestinesi?”

Anna Foa guarda con preoccupazione e orrore ai fanatici religiosi che oggi in Israele vogliono realizzare la grande Israele o ricostruire Il Terzo Tempio (il secondo è quello distrutto nel 70 d.C.), a politici come Bev Gvir e Smotrich che sostengono gli insediamenti dei coloni nella West Bank. Punta il dito su quella che è una contraddizione fin dall’inizio tra Stato ebraico e Stato democratico e che è necessario sciogliere se si vuole uscire da questa situazione di guerra. Israele deve scegliere se essere uno Stato democratico, che offre pari cittadinanza a tutti i cittadini, come affermato, pur con qualche ambiguità, nella dichiarazione d’indipendenza o lo Stato che sogna la grande Israele o lo Stato degli ebrei e solo degli ebrei come dichiara la legge varata da Netanyahu nel 2018. Secondo l’autrice quello che sta perseguendo in questo momento il governo israeliano è un vero e proprio suicidio  contro cui molti al suo interno lottano, finora senza successo e senza  molto aiuto da parte degli ebrei della diaspora. Quanto sta avvenendo può essere una catastrofe non solo per Israele, ma per tutto il mondo ebraico, considerando che l’antisemitismo per varie ragioni non è mai del tutto morto. La strategia di Israele di rispondere colpo su colpo non appare vincente, sarà necessario arrivare a dei compromessi per giungere, se non proprio a una pace, almeno a una convivenza. Foa conclude dicendo che non possiamo dare per scontato che l’odio lasciato dai traumi dei massacri e della guerra cesserà un giorno, ma non c’è altra strada che questa.

 

Anna Foa, Il suicidio di Israele, 2024 Laterza

 


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