Nel corso della Seconda Guerra Mondiale le forze armate italiane parteciparono alla campagna sul fronte orientale, contro l’Unione Sovietica, dal 1941 al 1943. Il nostro Paese inviò prima un corpo di spedizione, il CSIR, e poi una vera e propria armata, l’ARMIR. Complessivamente, combatterono in Russia circa 230.000 soldati italiani, che però erano subordinati alle forze armate tedesche e non ebbero un ruolo militare particolarmente rilevante. Nell’inverno del 1942-43 l’ARMIR, male equipaggiata e male armata, fu travolta dalla controffensiva russa. La ritirata fu disastrosa: circa 85.000 soldati morirono o furono catturati dai sovietici; i superstiti furono rimpatriati nel mese di marzo. La campagna di Russia si rivelò perciò un fallimento catastrofico ed ebbe conseguenze psicologiche e politiche molto profonde sul nostro Paese.
La campagna italiana in Russia
Perché gli italiani hanno combattuto in Russia
Il fronte orientale è stato il fronte più importante, in termini di forze impiegate, della Seconda guerra mondiale: la sconfitta subita dai nazisti in Russia fu determinante per le sorti più generali del conflitto. Il ruolo delle forze armate italiane fu secondario sul piano militare, ma importante dal punto di vista politico. Mussolini iniziò a valutare la possibilità di partecipare a una eventuale guerra tra Germania, alleata dell’Italia, e l’Unione Sovietica sin dalla primavera del 1941. Germania e URSS erano legate da un patto di non aggressione, ma appariva evidente che la Germania fosse intenzionata a rompere il patto e invadere il territorio sovietico. L’attacco tedesco, denominato operazione Barbarossa, iniziò il 22 giugno 1941: la Germania invase l’URSS con una poderosa forza, composta da circa 3.500.000 soldati, con l’obiettivo di occupare tutta la Russia europea entro la fine dell’anno.
Mussolini, che non era stato né consultato né avvisato da Hitler, decise immediatamente di mandare un corpo di spedizione a dare man forte ai tedeschi. Ordinò perciò di costituire il CSIR, Corpo di spedizione italiano in Russia, composto da circa 62.000 uomini. Gli storici si sono interrogati a lungo sulla scelta di Mussolini, in considerazione del fatto che la partecipazione alla guerra sul fronte russo era un colossale errore strategico, che comportò la sottrazione di truppe agli altri fronti. Inoltre, l’esercito italiano era male equipaggiato e le poche decine di migliaia di soldati del CSIR potevano avere ben poca influenza sull’esito delle operazioni militari.
La scelta di Mussolini era politica: temeva che, agli occhi di Hitler, si rafforzassero altri Paesi, come Romania, Ungheria, Finlandia – che avevano inviato contingenti numerosi e meglio equipaggiati in Russia, al fianco dei tedeschi – e che l’Italia perdesse il ruolo di principale alleato della Germania nazista. Inoltre, l’ostilità per il “bolscevismo”, come era chiamato il comunismo sovietico, era una delle componenti ideologiche fondamentali del fascismo e del nazismo; prendere parte allo scontro era indispensabile per avere un ruolo importante nel Nuovo ordine mondiale che sarebbe stato instaurato dopo la vittoria. I tedeschi, dal canto loro, non avevano interesse alla partecipazione italiana e Hitler non mostrò alcun entusiasmo per l’offerta del suo alleato, ma non poté rifiutarla.
Le operazioni militari: dal CSIR all’ARMIR
Il CSIR, giunto in Russia nel luglio del 1941, fu aggregato alla 11a armata tedesca e impiegato nel settore meridionale del fronte. Era subordinato alle forze armate della Germania, ma ebbe un ruolo importante nella conquista della città di Stalino (oggi Doneck), in Ucraina. I tedeschi, nel frattempo, condussero una poderosa avanzata e giunsero alle porte di Mosca, senza riuscire però a conquistare la città. In inverno, le forze sovietiche lanciarono una controffensiva, che costrinse le truppe germaniche a retrocedere di molti chilometri. Il CSIR mantenne le posizioni.
L’anno successivo il numero di soldati italiani aumentò: Mussolini voleva contribuire in misura maggiore alla guerra contro l’URSS e, a differenza del 1941, anche i tedeschi, dopo aver subito la controffensiva russa, si mostrarono interessati all’aumento della partecipazione italiana. Nell’estate del 1942 giunsero al fonte altri due corpi d’armata italiani, uno dei quali composto da alpini. Insieme al CSIR già presente nel territorio sovietico, i due corpi formarono l’ARMIR, Armata italiana di Russia, agli ordini del generale Italo Gariboldi, composta da circa 230.000 uomini. L’ARMIR fu impiegata nel supporto alle operazioni dell’esercito tedesco, che nel 1942 lanciò una offensiva lungo due direttrici: una verso la città Stalingrado e una verso il Caucaso. Le truppe italiane si schierarono presso il fiume Don a supporto dell’alleato.
Il dramma della disastrosa ritirata in Russia
L’attacco tedesco a Stalingrado, com’è noto, fallì e rappresentò l’inizio della fine per la Germania hitleriana. In novembre, l’Armata Rossa scatenò la prima offensiva, denominata operazione Urano, travolgendo due armate rumene e accerchiando la VI armata tedesca a Stalingrado. Il 16 dicembre, dopo aver respinto un tentativo tedesco di contrattacco, l’esercito sovietico lanciò una nuova offensiva sul Don, nota come operazione Piccolo Saturno, e travolse una parte dell’ARMIR, che iniziò a indietreggiare. In gennaio, un ulteriore attacco russo investì il corpo d’armata alpino, costringendolo alla ritirata.
Le condizioni delle truppe italiane erano disperate: i soldati non erano equipaggiati per affrontare l’inverno russo e tantomeno avevano la possibilità di competere sul piano militare con l’Armata rossa. La ritirata fu perciò disastrosa: circa 85.000 soldati morirono o furono catturati e dei prigionieri, solo 10.000 ritorneranno in Italia alla fine della guerra. Dopo la sconfitta, i resti dell’ARMIR ripiegarono in Bielorussia e in marzo furono rimpatriati in Italia.
La memoria
La campagna di Russia segnò profondamente le forze armate italiane e contribuì a suscitare sentimenti antigermanici, perché i soldati accusavano l’esercito tedesco di averli abbandonati. La sconfitta, inoltre, contribuì a far precipitare il consenso per il regime fascista, che aveva inviato soldati male equipaggiati e male armati in uno scenario difficile come quello russo. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, gli eventi del fronte orientale sono stati raccontati da romanzi e libri di memorie e sono rimasti un elemento importante della memoria collettiva italiana.
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