Valditara, la riscossa del contenutismo tagliato

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Il ministro Valditara vorrebbe passare per un restauratore ma anche per un riformatore. Che il latino, che vorrebbe far «tornare» alle medie, sia una «palestra di logica», come ha affermato, è discutibile e discusso; invece è facilmente dimostrabile che sia un argomento su cui amiamo tutti litigare. I litigi provocano discussioni, le discussioni aiutano a mantenere la visibilità del ministro che si trova in una posizione difficile (come tanti suoi predecessori): deve dare l’impressione di voler dare alla scuola una scossa salutare, e deve farlo a costo zero.

Purtroppo nessuno ha potuto chiedere quanto il governo avrebbe intenzione di stanziare per l’assunzione di nuovi insegnanti di latino alla scuola secondaria di primo grado. Il sospetto è che anche stavolta una massiccia discussione sulla centralità della cultura classica genererà un topolino: due o tre ore pomeridiane alla settimana, opzionali, magari a spese dei genitori. Quanto basta per creare classi di serie A e di serie B: non abbastanza per affrontare con metodo l’apprendimento di una lingua che poi al liceo si ricomincerà inesorabilmente da zero. Nel frattempo, però, ne abbiamo discusso: e discutendone, abbiamo dato la sensazione che il latino sia tornato di attualità.

Un “latino alle medie” del genere, a dire il vero, non è molto diverso da quello che tante scuole secondarie di primo grado includono già nella loro offerta formativa.

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Non si tratta nemmeno dell’unica proposta sbandierata come una novità, e che non lo è affatto: c’è quasi da ammirare l’astuzia del ministro, che avvertendoci che d’ora in poi a scuola si studieranno le poesie a memoria, lascia intendere ai giornalisti che a un certo punto avessimo smesso. No, non abbiamo mai smesso, ma da qui in poi sembrerà che le facciamo studiare perché ce lo ha chiesto il ministro, ed ecco un semplice esempio di come si può passare per riformatori a costo zero. Tutti i poeti italiani citati dal ministro (Saba, Govoni, Pascoli, Gozzano, Penna), non sono in effetti mai spariti dalle antologie scolastiche: aprirle per credere. Come sempre, chi crede di innovare la scuola arrivando da fuori ha in mente la scuola che ha frequentato lui: magari quella in cui “Verne e Stevenson” non erano ancora ammessi – e quindi si leggevano febbrilmente sotto il banco. Laddove oggi sono testi fin troppo antologizzati, e sempre più distanti dalla sensibilità dei giovani lettori – sarebbe davvero un triste paradosso se L’isola del tesoro diventasse una lettura obbligatoria, ma ne parleremo solo se succederà.

Nel frattempo annotiamo un dettaglio rivelatore: in molti casi le novità ventilate dal ministro Valditara sono state presentate dai giornali come «nuovi programmi», o «riforma dei programmi». Un termine, «programmi», che segnala la scarsa dimestichezza con la scuola di chi lo usa: è da più di trent’anni che i programmi a scuola non ci sono più. Al loro posto, appunto, ci sono le «indicazioni nazionali»: ma questa difficoltà ad accettare il termine non è un semplice errore, bensì l’indizio di una resistenza culturale che la destra di governo condivide con altri settori della pubblica opinione.

Se dobbiamo giudicare l’approccio della commissione ministeriale dalle anticipazioni della stampa (non abbiamo alternative), l’impressione è che si tratti di una riscossa del contenutismo ai danni della didattica delle competenze.

Il ministro crede molto in determinati contenuti – la Storia romana innanzitutto, alla quale ha dedicato lui stesso qualche libro – ed è evidentemente favorevole all’istituzione di un canone ufficiale di autori da leggere a scuola, qualcosa che non esiste a memoria di professore di ruolo. In mancanza di disposizioni ministeriali, erano i manuali scolastici a perpetuare con una certa inerzia un canone che i docenti e studenti, per comodità, continuano a chiamare «programma». Il canone letterario scolastico attualmente è il risultato di un inconsapevole patteggiamento tra insegnanti, studenti e genitori, intorno a testi che tutti ci aspettiamo di dover leggere a scuola (Omero in prima media, Dante in seconda, Manzoni in terza…) anche se le Indicazioni in effetti non li indicano. Gli insegnanti possono anche fare tutt’altro, ma nei rari casi in cui succede capita che incorrano nelle proteste di genitori e colleghi.

Certo, l’idea che spetti da qui in poi a un ente governativo stabilire quali libri si leggono a scuola e quali no ha un che di inquietante: ma va incontro alla concezione popolare che in un canone letterario scolastico non ha mai smesso di credere – e forse ne ha bisogno. Lo stesso ministro ci ha poi informato che da qui in avanti gli studenti ricominceranno a usare il diario cartaceo.

Qualche lettore ne avrà dedotto che avessero smesso di usarlo… ebbene, indovinate: no. Forse il ministro non lo sa. O forse ci conosce fin troppo bene.



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