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Chiunque abbia assistito all’ultima assemblea del Partito Democratico in Sicilia potrebbe aver avuto l’impressione di trovarsi davanti a un dramma teatrale più che a un congresso politico. Dirigenti locali che si scambiano accuse velenose, le correnti che si scontrano su tutto, i toni che trascendono.
Ma andiamo con ordine: perché stanno litigando i dirigenti siciliani? E perché tutto questo non riguarda solo la Sicilia, ma il destino del Pd italiano?
L’ultimo scontro si è consumato sul regolamento del prossimo congresso regionale, e dunque sui possibili assetti di potere futuri. Alla fine, è passata la linea dell’attuale segretario regionale, con l’approvazione di un regolamento che esclude le primarie per la scelta del segretario. Traduzione: il nuovo leader del Pd siciliano non sarà scelto dagli elettori, ma dagli accordi interni di partito.
Questa decisione ha fatto infuriare una parte del Pd, convinta che senza una legittimazione dal basso il partito non potrà mai riconquistare credibilità nell’isola. Ma non solo: il voto ha certificato la frattura tra la maggioranza che sostiene l’attuale segretario e chi invece chiede un cambiamento radicale.
Il problema è che non si litiga per una visione politica, ma per il controllo del partito. Le rivalità personali e le guerre tra gruppi di potere stanno svuotando il Pd di ogni capacità di fare proposta politica comune e dunque opposizione credibile alla destra siciliana, che nel frattempo governa indisturbata. Le discussioni di adesso sono persino meglio del silenzio e dell’opacità che ha caratterizzato l’attività del partito in Sicilia negli ultimi anni. Un partito fantasma lo ha definito qualcuno, che vive solo nell’attività individuale dei singoli eletti.
Il Partito Democratico siciliano è sempre stato un affare complicato. Una sorta di esperimento politico tra leadership e correnti in perenne guerra e risultati elettorali in progressiva caduta libera. Nel 2008 il Pd debutta con un solido 27,5% in Sicilia. Non abbastanza per vincere, ma comunque un buon punto di partenza. Nel 2013 il partito scende al 18,6%, primo segnale di allarme. Nel 2018 tracollo al 11,5%. Il Movimento 5 Stelle, nel frattempo, vola al 48,9%. Nel 2022 un leggero aumento al 11,85%, ma ormai il danno è fatto: il Pd non è più competitivo e la regione è saldamente in mano al centro destra.
Sono numeri che raccontano un partito sempre più irrilevante in Sicilia, incapace di parlare all’elettorato e di organizzare una strategia comune vincente.
Oltre ai numeri, c’è un altro problema che spicca nel caos siciliano del Pd: troppi litigi, troppa autoreferenzialità e, diciamolo, un eccesso di testosterone. Il partito è dominato da gruppi di potere maschili che si fanno la guerra da sempre per un pezzo di comando, mentre le vere questioni – lavoro, servizi sociali, sviluppo, questione giovanile e questione femminile – rimangono fuori dall’agenda.
Le donne, ecco, le donne, dove sono? La Sicilia è una terra di donne forti, ma politicamente tenute invisibili, lontane dalle cariche esistono perché elettoralmente si fanno il mazzo doppio per farsi eleggere, ma non hanno ruoli apicali nel partito che nazionalmente esprime una segretaria e che rappresenta il punto di riferimento per le rivendicazioni sulle pari opportunità e sull’empowerment delle donne. Temi che nell’isola si inabissano. Il tasso di occupazione femminile nell’isola è tra i più bassi d’Europa, la violenza di genere resta un’emergenza e i servizi per l’infanzia e la famiglia sono inesistenti. Su questi temi il Pd potrebbe essere il punto di riferimento. Invece, il silenzio.
Ora, qualcuno potrebbe pensare: ma chi se ne importa del Pd siciliano? La risposta è che la Sicilia non è una regione qualunque, è un banco di prova per il futuro del centrosinistra italiano. Prima delle alleanze e prima dei possibili lanci o rilanci di forze centriste progressiste a far da stampella al Pd. Con 25 deputati e 13 senatori, pesa più del 6% del Parlamento. Traduzione: senza un buon risultato qui, il centrosinistra non può ambire a nulla a livello nazionale.
Eppure, la segretaria del Pd finora ha lasciato che le dinamiche siciliane fossero oggetto di burocrazia di partito e di sussurrate discussioni di capi corrente sulle regole di un congresso, come foglie di fico di liti su nomi e cariche e non frutto di doverosi e manifesti ragionamenti politici capaci di definire i destini del centro sinistra nazionale. Grave errore.
Può il Pd continuare a rimanere un partito marginale in una delle regioni più strategiche del Paese con la complicità, o la scelta, della dirigenza nazionale? Oppure può trasformarsi nel laboratorio di un nuovo progressismo, più vicino ai bisogni reali della gente? Una cosa è certa: senza una svolta, il Pd in Sicilia sarà solo un ricordo. E con esso, anche le speranze di un centrosinistra competitivo in Italia. La storia politica nazionale si scrive in Sicilia, da sempre.
Elly Schlein non può evitare di mettere testa e intelligenza in prima persona su quel che sta accadendo. Perché, nonostante il suo attivismo e la sua presenza in ogni vertenza o problema nazionale, se il centrosinistra perde qui, perde ovunque. Se il Pd nazionale non lo capisce, come ha dimostrato di non capire in passato, qualcun altro lo farà.
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