Nel governo cresce la tesi del «complotto»

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La premier sui social: «Più mi attaccano più cresco nei sondaggi» – Ansa

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Quando, a sera, arriva la decisione della Corte d’appello di Roma che boccia per l’ennesima volta i trattenimenti di migranti in Albania, da Palazzo Chigi filtra «grande stupore, perché a nostro avviso non c’è la necessità di aspettare il pronunciamento della Corte di giustizia europea». Un’irritazione ribadita apertamente dal ministro per gli Affari europei Tommaso Foti: «Una decisione che sconcerta, la magistratura si sostituisce al governo ». In sintonia perfetta il partito della premier, FdI, che col capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami depreca «l’atteggiamento di resistenza di un pezzo della magistratura italiana» che «assume una connotazione politica e ostacola l’azione del governo», ma «il centrodestra non si lascerà intimidire ». Nei fatti, era ipotizzabile che la linea seguita dai giudici fosse coerente con le precedenti ordinanze, liberando i trattenuti in attesa della decisione della Corte Europea. Ma ciò non toglie nell’esecutivo l’amaro in bocca per l’ennesima bocciatura del funzionamento del Protocollo con Tirana. E contribuisce a tenere alta la temperatura dello scontro con la magistratura, rinfocolata dal caso Almasri (e che neppure il “fermo” delle attività parlamentari fino a martedì riesce a far scendere). La presidente del Consiglio resta convinta che – nel dare corso alla denuncia dell’avvocato ed ex parlamentare Luigi Li Gotti per favoreggiamento e peculato a carico dei ministri di Interno e Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, del sottosegretario Alfredo Mantovano e di lei stessa – il procuratore di Roma Francesco Lo Voi abbia effettuato un «atto voluto, non «dovuto», che «ha fatto un danno alla Nazione». E mentre l’Anm respinge quella lettura, invitando «i politici a non fare i magistrati», sulla scia della premier si scatenano le truppe della maggioranza.

FdI: via obbligo di azione penale. Fratelli d’Italia, col capogruppo al Senato Lucio Malan, auspica che «l’obbligatorietà dell’azione penale sia affrontata nella riforma della giustizia ed eliminata», visto che «nonostante la riforma Cartabia qualcuno continua a ritenere che si debba procedere alle indagini sempre e comunque». Rincara la dose Forza Italia, col portavoce Raffaele Nevi: «Ragionerei sulla reintroduzione dell’immunità parlamentare», giacché «parte della magistratura ha il pallino di mettere sotto processo il Governo per le scelte politiche». Il clima di tensione si riverbera in Rai, accendendo la miccia fra il giornalista Bruno Vespa e le opposizioni, che gli rimproverano di aver fatto, nella puntata di giovedì di Cinque Minuti, «il portavoce dell’esecutivo», per alcune sue valutazioni («In ogni Stato si fanno cose sporchissime, anche trattando con i torturatori, per la sicurezza nazionale») e per aver evocato fatti relativi a quando erano premier Matteo Renzi e Paolo Gentiloni («Sul generale Almasri sanno qualcosa»), come la liberazione dei due tecnici Bruno Cacace e Danilo Colonego, rapiti in Libia nel 2016. Allusioni che Renzi respinge: «Se Vespa sa di “cose sporche”, le provi. Altrimenti, prima di usare il mio nome, si sciacqui la bocca».

Si apre il fronte del Csm. La tensione monta pure a Palazzo Bachelet, coi consiglieri laici in quota centrodestra pronti a chiedere al comitato di presidenza del Csm l’apertura di una pratica per individuare «eventuali profili disciplinari, in relazione a modalità e tempi» dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato fatta da Lo Voi. Nel documento, si ritiene l’atto «non conforme» al codice di procedura penale», alla prassi dettata nel 2017 dalla Procura di Roma, all’interpretazione della Cassazione e ai pareri del Csm. Ma per Lo Voi, oltre alla mediatizzazione della querelle sui voli di Stato bocciati da Palazzo Chigi, potrebbero aggiungersi strascichi relativi a un documento dell’Aisi segreto, ma depositato agli atti di un procedimento, cosa che potrebbe esporre il procuratore alla richiesta, sempre al Csm, di una pratica di trasferimento per incompatibilità ambientale.

A Palazzo Chigi si studia la strategia giudiziaria. In attesa che il Tribunale dei ministri sorteggi il collegio di tre magistrati, che avranno 90 giorni per decidere se archiviare il fascicolo o chiedere l’autorizzazione a procedere alle Camere, il governo valuta i prossimi passi. La senatrice leghista Giulia Bongiorno, avvocato di tutti e quattro gli esponenti dell’esecutivo finiti sotto indagine, va di nuovo a Palazzo Chigi per ragionare con loro su due possibilità: chiedere di essere ascoltati dai giudici o inviare memorie difensive. Ma ancora c’è tempo e persiste la convinzione che il fascicolo sarà archiviato. Le opposizioni intanto alzano il pressing: «Meloni deve riferire in aula, si fa vedere solo sui social. Basta scappare, devono spiegare», incalza la segretaria dem Elly Schlein. Nessuno conferma, ma fra i rumours c’è pure quello che l’informativa possa aver luogo nei prossimi giorni, senza l’apposizione del segreto di Stato, ma con la rivendicazione di una decisione politica, in nome della “Ragion di Stato”.

La tentazione dei sondaggi e il monito di Bruxelles. Sul piano mediatico, la premier per ora non retrocede. Da quando ha informato il capo dello Stato della comunicazione giudiziaria, è partita con un tam tam martellante: prima il video-annuncio al Paese; poi l’intervento in collegamento con il giornalista Nicola Porro; e in mezzo altri messaggi sui social. I sondaggi sembrano ripagarla, come quello di Supermedia Youtrend in cui FdI tocca il 30,1%. Lei lo pubblica, chiosando come «nonostante gli attacchi gratuiti quotidiani e i tentativi di destabilizzare il governo, il sostegno degli italiani rimane solido». Ma, senza un abbassamento dei toni, lo scenario potrebbe farsi burrascoso: proseguire sulla strada dello “scontro totale” con le toghe forse pagherebbe elettoralmente, ma moltiplicherebbe le incognite sulla tenuta del sistema, accrescendo le preoccupazioni del Colle. Alle quali andrebbero a sommarsi quelle già esistenti a Bruxelles, dove il mancato rispetto della richiesta d’arresto della Corte penale internazionale da parte di Roma non è piaciuto. Tanto che, col linguaggio felpato delle istituzioni internazionali, la Commissione europea manda un segnale di fumo, osservando tramite un portavoce che gli Stati membri debbono «garantire la piena cooperazione con la Cpi, compresa la tempestiva esecuzione dei mandati d’arresto» e che la Commissione europea sostiene la Corte e ne rispetta «l’imparzialità e l’indipendenza». A buon intenditor, poche parole.





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