Vittoria hub, i primi 5 anni raccontati dal CEO

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“Cinque anni dopo siamo ancora qui, nonostante tutto. Se pensiamo che pochi mesi dopo essere partiti è arrivato il Covid…”. Nicolò Soresina, CEO di Vittoria hub, si dichiara fiero del percorso fatto con il primo acceleratore insurtech italiano, nato nel 2019 su iniziativa di Vittoria Assicurazioni. Presto verrà lanciata l’edizione annuale della call per startup, in continuità con quanto fatto finora, ma il 2025 è cominciato con uno slancio in più.

“Ci vedremo a festeggiare il decimo compleanno”, ha detto durante la festa per i primi cinque anni di Vittoria hub Matteo Campaner, presidente dell’acceleratore e direttore generale della compagnia di assicurazione. “Abbiamo un piano al 2030 e questo ci permette di ripartire con la marcia ingranata”, spiega Soresina.”Di solito questo business ha cicli di vita annuali. Noi abbiamo provato a stravolgere questa routine. Darsi degli obiettivi al 2030 non è banale, ti dà una consapevolezza su dove andare nei prossimi anni, guardando oltre l’orizzonte dei dodici mesi”. 

Soresina, che cosa è cambiato dal 2019?

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“Tutto. Da quando abbiamo cominciato è cambiato tutto, nel mercato e nelle tecnologie, ma noi siamo sempre qui a battere il tempo. In tanti hanno dichiarato di fare e poi non hanno proseguito o hanno trovato vie diverse, magari più finanziarie, ad esempio con il corporate venture capital, gestito magari da fondi terzi”

I numeri dicono che Vittoria hub dal 2019 ha valutato 600 startup, ne ha incubate 12 e con 9 ha stretto una partnership. I risultati ci sono stati? 

Sì, sia per la compagnia sia per le startup. Le 21 che abbiamo intercettato valevano 14 milioni, oggi ne valgono 106 e hanno raccolto circa 42 milioni sul mercato. Per la compagnia sono arrivati numerosi input, perché alcune di queste startup sono diventate business partner.

La compagnia ha investito nell’equity delle startup?

Sì, una parte dei 42 milioni, più che interessante, raccolti dalle 21 startup è stata allocata dalla compagnia. In particolare, su due startup: Braino.Ai, un coach digitale per gli investimenti della GenZ, e Helpet, dedicata ai proprietari di animali domestici. Va ricordato poi che alle 12 che hanno partecipato al programma di accelerazione sono stati erogati grant che vanno dai 60 ai 100mila euro. Quindi c’è stato un impegno di qualche milione di euro, che è stato confermato. 

Il modello di un incubatore aziendale, quindi, funziona? È economicamente sostenibile?

Quando siamo partiti non avevamo aspettative particolari ed eravamo un centro di costo. A distanza di cinque anni posso dire che il valore aggiunto, misurato, comincia a essere di un ordine di grandezza che non è da centro di costo. Non è ancora da centro di profitto, ma siamo vicini al punto di break even. Possiamo quindi pensare che, raddoppiando il ciclo di vita a otto/dieci anni, arriveremo a essere qualcosa che ha generato del valore, al netto di tutte le spese e gli investimenti. Un messaggio di speranza che mi sento di lanciare perché so bene che fare innovazione sostenibile dal punto di vista finanziario non è semplice.

È anche un messaggio controcorrente, visto che il modello dell’acceleratore corporate sembra non produrre grandi risultati ed è in crisi a livello internazionale. Forse il vostro non è poi così puro…

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Se guardiamo retrospettivamente cosa abbiamo fatto in cinque anni ci sono stati almeno un paio di casi dove siamo partiti da una necessità della compagnia e abbiamo costruito attorno un’iniziativa imprenditoriale quasi da zero. E questo è venture building. 

Ecco, penso che per navigare in queste acque si debba avere la flessibilità di fare le cose in maniera diversa secondo l’andamento del mercato e le necessità che si presentano. E una realtà piccola e snella come Vittoria hub è in grado di reagire meglio agli stimoli e alle necessità. Noi abbiamo un modello molto strutturato ma con una gestione abbastanza flessibile e questo ci ha permesso di fare queste piccole virate. Una startup come Braino.Ai, che fa servizi di investimento e assicurazione per la GenZ, è stata fortemente voluta da noi. Abbiamo trovato l’imprenditore giusto, Giulio Masucci, e insieme abbiamo costruire un modello partendo da zero. Questo possiamo farlo perché siamo una boutique. 

Boutique? Che cosa significa essere una boutique quando si fa innovazione?

Provo a rispondere usando una metafora. Per reagire agli elementi di mercato hai due modi di reagire: o ti fai fare il ritratto da qualcun altro oppure ti guardi allo specchio più intensamente. In ogni caso ottieni un’immagine di te stesso, però se ti guardi allo specchio oltre a selezionare delle startup nel mercato ti fai anche un esame di coscienza e capisci dove veramente vuoi andare nel mercato che sta cambiando, così fai un favore alle startup che intercetti ma anche a te stesso perché stai disegnando un modello industriale e non invece un modello puramente finanziario che noi non vogliamo fare. Siamo sempre stati votati a incubazione e accelerazione di tipo industriale e per farlo devi essere un po’ artigiano. In questo senso siamo una boutique: non facciamo grandi volumi di investimenti, ma ci concentriamo su progetti che possono realmente trasformare il business.

Come fate a misurare l’impatto del lavoro di questa boutique sul business della compagnia?

Da ingegnere mi diverto su questo tema. La cosa più facile è misurare i premi che vendi. Alcune delle nostre startup sono anche intermediarie dei nostri prodotti, penso a Lokky con cui facciamo vendita per la PMI, loro generano un fatturato e quello è chiaramente un beneficio che arriva dal percorso Vittoria hub. Ma non c’è solo quello, perché molte delle nostre startup non sono solo nella fase commerciale. Faccio un esempio: abbiamo portato Truescreen, che si occupa di certificazione legale delle immagini, hanno fatto un POC con la compagnia e alcuni processi sono diventati più snelli, più certificabili e quindi meno costosi. Anche questo è un beneficio. 

La compagnia percepisce questo valore?

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Adesso sì. Direi che il lavoro di questi anni di Vittoria hub è stato anche quello di sensibilizzare su questo aspetto: l’innovazione non torna semplicemente sul fatturato, ma anche su altre voci del conto economico e che con un po’ di sforzo queste cose sono misurabili per meglio comprendere i risultati che si stanno ottenendo. Portare questa consapevolezza nella macchina industriale è importante per la crescita di una cultura dell’innovazione.

Cinque anni fa si parlava assai poco di intelligenza artificiale, che adesso è diventata onnipresente e onnipotente. Come state affrontando questa nuova ondata tecnologica?

L’intelligenza artificiale è diventata un pilastro fondamentale del nostro ecosistema. Abbiamo integrato un filone di ricerca dedicato alle startup che lavorano con queste tecnologie. Un esempio è Eolian, che utilizza l’AI per migliorare la profilazione del rischio assicurativo in risposta ai cambiamenti climatici. Questo ci permette di affrontare sfide globali come il cambiamento climatico con soluzioni innovative e dati più accurati.

In attesa della call 2025, quali sono gli obiettivi al 2030?

L’insurtech è un settore dalle grandi potenzialità. Vogliano arrivare a raddoppiare quasi il numero delle startup candidate: ne riceviamo fra 100 e 150 l’anno, ne abbiamo già valutate 600 e contiamo di raggiungere quota 1000. Contiamo di incubare altre 30 startup, concludere 3 investimenti diretti della Compagnia;; raggiungere una raccolta di investimenti complessivi delle startup pari a 100 milioni e aumentare di almeno 8 volte la loro valutazione. Avere una strategia quinquennale ci permette di pianificare con maggiore solidità e di continuare a trainare il mercato, sperando che altri seguano il nostro esempio. Ne riparleremo fra cinque anni.



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