La stretta di Fratelli d’Italia

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Blocca la deroga alla Legge Delrio per riportare al voto le province. Punta sanità e presidenza della Regione

Se serviva la pistola fumante, eccola. La presidenza della commissione Ambiente della Camera dei Deputati, espressione di Fratelli d’Italia, ha espresso parere negativo ai quattro emendamenti che alcuni deputati di Forza Italia e Lega avrebbero voluto agganciare al decreto Milleproroghe per consentire il ritorno alle urne nelle ex province siciliane. Il fatto, squisitamente tecnico (ossia il superamento delle Legge Delrio), diventa un caso politico che rischia di scollare la maggioranza, almeno a Palermo. A battersi per il ritorno alle urne, unanimemente (dal punto di vista del senso logico), erano stati il forzista Calderone, la leghista Sudano e persino Saverio Romano di Noi Moderati. Fratelli d’Italia, però, si è opposta. E tornano subito in mente le parole di Galvagno, che aveva chiesto un approdo sicuro dopo le numerose impugnative romane.

Perché in effetti, la Regione siciliana ha già acconsentito per 18 volte alla proroga dei commissari negli enti d’area vasta. Solo che negli ultimi due casi – strenui di cancellare le elezioni di secondo livello e ridare la parola ai cittadini – è arrivata la bocciatura senza appello della Corte Costituzionale. Le due leggi, in tempi diversi, sono state dichiarate “illegittime”. Se i patrioti avessero avuto lo stesso rigore adottato in questo caso, probabilmente non ci sarebbero stati gli scandali degli ultimi anni – da Cannes a SeeSicily, passando per il caso Auteri – che hanno comportato uno spreco enorme di denaro pubblico.

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Anche se forse non si tratta solo di essere “inflessibili”. I tanti articoli di cronaca dedicati all’episodio romano, infatti, suddividono le nove province siciliane come a Risiko, e solo un paio, per lo più defilate (Trapani e Siracusa) risultavano assegnate a Fratelli d’Italia. E’ possibile, insomma, che anche la questione delle ex province, ritenuto un caposaldo dell’azione del governo Schifani e già discusso in campagna elettorale, sia stata soppesata sulla base dei desiderata dei cacicchi locali: proprio come avviene per le nomine nella sanità o per la mance da distribuire a ogni sessione di bilancio. E che per questo, senza un’adeguata contropartita e utilizzando la leva di una commissione qualunque (e di un presidente qualunque: tale Mauro Rotelli), FdI abbia deciso di stoppare tutto.

Le letture in retrospettiva sono tante e tutte attuali. La nomina dei vertici dell’Asp di Palermo e di Villa Sofia, ovviamente, tiene i partiti sull’attenti. Così come la poltrona da massimo dirigente della Pianificazione strategica, qualora il nuovo assessore, Daniela Faraoni, decidesse di spostare altrove Iacolino. A quel punto Fratelli d’Italia – ma sembra esserci l’azione di disturbo della DC, che ha appena dovuto rinunciare a Colletti alla guida di Villa Sofia – potrebbe proporre Mario La Rocca (adesso ai Beni culturali). Si tratterebbe di un ritorno, giacché La Rocca (celebre un cazziatone durante la pandemia ai manager delle Asp) è stato vicinissimo a Ruggero Razza durante il suo assessorato.

Anche il rinnovo della burocrazia tiene i patrioti col fiato sospeso. Entro febbraio si dovrebbe procedere con il turnover a capo dei dipartimenti, anche se manca un appiglio normativo per riportare i dirigenti di terza fascia nelle posizioni apicali: la proposta dell’istituzione della fascia unica non convince i sindacati ed è stata accantonata su richiesta di Schifani, ma anche FdI era molto incerta sul da farsi. Probabilmente non se ne farà nulla e sull’inerzia delle vecchie nomine – una mera spartizione – si procederà con le nuove. Ognuno si giocherà le proprie carte. Come già avvenuto con la scelta dei manager della sanità, ma anche dei direttori sanitari e amministrativi la scorsa estate.

Fratelli d’Italia esprime il partito di maggioranza relativa, può contare su poteri forti e consolidati (dalla premier Meloni al presidente del Senato La Russa), detiene l’assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo che gestisce i soldi con criteri noti; ha uomini di punta alla guida delle commissioni Bilancio e Cultura e in giunta è rappresentata da quattro esponenti di grido (Amata, Aricò, Savarino, Scarpinato). Ma soprattutto vuol fare valere le proprie velleità: non solo per la spartizione di Città metropolitane e Liberi Consorzi, ma soprattutto per la presidenza della Regione, dove si punta con forza sulla figura di Galvagno, l’enfant prodige che va d’accordo con tutti (da Schifani a Musumeci, da Cateno De Luca a Raffaele Lombardo) e che sta affinando l’arte della diplomazia per diventare il profilo più appetibile. In competizione con Tamajo.

E’ possibile, anzi probabile, che la rivendicazione di certe posizioni, anche grazie alla forza di Giorgia e dei sondaggi, passi da queste impuntature: come mettersi di traverso su una deroga alla Delrio (fra l’altro esibita con i caratteri dell’urgenza). Si era partiti nel solco dell’ordine e della disciplina, poi è arrivata una deviazione disinvolta. Questa, invece, sembra la fase del ritorno alle origini. “Qui comandiamo noi”.





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