Forse, addirittura, bisognerebbe ringraziare il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, perché è con le sue recenti parole se oggi possiamo ribadire l’esigenza di riflettere su come parliamo di minoranze marginalizzate dalla società.
Un dibattito che, soprattutto nel campo della disabilità, viene etichettato come inutile, puerile e superfluo da chi ritiene che il linguaggio e la comunicazione non siano così decisivi negli equilibri politico-sociali o, altresì, nella vita quotidiana delle persone.
In queste ultime ore, invece, il tycoon ci ha dimostrato tutto il contrario: la consapevolezza di usare la comunicazione con rispetto delle diversità è fortemente necessaria, in una società che, forte delle proprie parole (buone o graffiate che siano), tende a escludere invece che condividere.
C’è la necessità di sentirsi persone prive di qualsiasi etichetta, e invece ancora una volta un leader di una delle più potenti società al mondo ha osservato la diversità come a un gap deficitario, invece che risorsa. Poggiandosi, tra l’altro, su nessuna prova concreta. Ma andiamo con ordine.
Cos’ha detto Trump sulle persone con disabilità?
Mercoledì 29 gennaio 2025, intorno alle 21:00, l’American Eagle 5342, operato da Psa Airlines, si scontra con un jet Crj-700, operato dall’American Airlines. Il bilancio è tragico: 67 morti, nessun sopravvissuto.
Le indagini sono ancora in corso, ma per il neo-presidente degli USA non ci sono dubbi: durante la conferenza stampa di ieri, giovedì 30 gennaio 2025, alla Casa Bianca, il dito è stato puntato verso le gestioni presidenziali precedenti (di Obama e Biden) e le iniziative sulla diversità all’interno della Federal Aviation Administration.
In soldoni, come ricostruiscono CSB e NBC, Trump ha lasciato intendere che le cause del disastro aereo sarebbero nei programmi di diversità, equità e inclusione. Nella stessa giornata, una nota della Casa Bianca è tornata a picchiare forte sull’argomento: “Ma l’amministrazione Biden ha clamorosamente respinto le assunzioni basate sul merito, richiedendo a tutti i dipartimenti esecutivi e alle agenzie di implementare pericolose tattiche di ‘equità e inclusione della diversità’ e reclutando specificamente individui con disabilità intellettive ‘gravi’ nella FAA”.
Le reazioni delle associazioni alle parole di Trump
Dura la reazione delle associazioni, come si legge nel comunicato della National Disability Rights Network, che parla di dichiarazioni “irresponsabili, denigratorie e sbagliate”, oltre a definire inappropriato che “il Presidente usi questa tragedia come un’opportunità per promuovere il suo programma di assunzioni anti-diversità”.
La rete ha poi aggiunto che “i dipendenti disabili, come i dipendenti non disabili, vengono assunti perché soddisfano le qualifiche necessarie per svolgere il lavoro. La Federal Aviation Administration ha standard rigorosi per l’assunzione di controllori del traffico aereo e di tutti gli altri dipendenti della FAA”.
Inoltre, “le iniziative di assunzione basate sulla diversità cercano di ampliare il bacino di potenziali talenti qualificati per un ruolo, non sostituiscono le qualifiche e le competenze richieste dal ruolo. L’implicazione che le persone vengano assunte per svolgere un lavoro per il quale non sono qualificate è una bugia infondata che rafforza ulteriormente gli stereotipi dannosi contro le persone disabili“.
Nel corso delle ultime ore, il New York Times e l’NPR hanno già decostruito le considerazioni di Donald Trump, mostrando come le prove basate su un presunto buon senso non siano sufficienti.
In particolare, l’NPR scrive che la Federal Aviation Administration non ha reclutato persone con disabilità intellettive per lavorare come controllori del traffico aereo. In questo contesto, è bene sottolineare che non è la prima volta che Trump si “occupa” di disabilità. Ad esempio, il 28 settembre 2024 attaccò la rivale Kamala Harris durante la corsa delle elezioni presidenziali, definendola “mentalmente compromessa”.
Leggi anche: La politica che non sa fare politica sulla disabilità
Il caso Trump e l’esigenza di una comunicazione pubblica… diversa
Nel corso degli anni è stato aperto un dibattito profondo sulla necessità o meno di soffermare la propria attenzione su come si parla delle persone disabili, se sia necessario ribadire che prima vengono le persone poi le disabilità. I critici affermano che è una discussione sterile, che non cambia la vita quotidiana delle persone.
Eppure Trump ha dimostrato il contrario. Le parole in mano ai potenti diventano armi per tenere ai margini chi già è sistematicamente (e sistemicamente) marginalizzato. E, il giorno dopo, decidere anche se escludere chi mostra una qualsivoglia diversità.
L’importanza del linguaggio e di una corretta comunicazione è innegabile in una società in cui si tende a esaltare le differenze per escludere, invece che creare condivisione. Soprattutto in ambiti pubblici, come quello della politica, e sociali, come quello educativo e lavorativo.
Perché di questo si tratta: consegnare una riflessione a chi con le parole ci lavora, influenza le masse e orienta il giudizio popolare. La comunicazione – fatta bene, fatta male – crea pensieri che fanno parte di una realtà, quella che percepiamo. Poi questi pensieri diventano atteggiamenti nei confronti di una società. Da comunicazione a società. Soprattutto se poi questa comunicazione arriva da una persona che ha un potere mediatico (e politico) nazionale, internazionale e immenso.
Poi ognuno nel proprio privato decide cos’è meglio per sé, per la propria sensibilità, le proprie esigenze e la propria dimensione, anche nel modo di definirsi. Non dobbiamo dimenticarci però che siamo inseriti in una società che permea convinzioni e percezioni anche (e soprattutto) nel modo in cui parliamo e ci confrontiamo con gli altri. Questo impone una riflessione su come utilizzare le parole per ricordare, ad esempio, che parliamo sempre, e prima di tutto, di persone. Una riflessione che va fatta anche dai potenti e dai privilegiati.
Tutto questo fa parte di un processo in cui sono necessari percorsi che diano importanza alla necessità di riflettere su come usiamo le parole in determinati contesti. È un tassello di un mosaico più grande, dove sicuramente sono inclusi altri fattori.
Perché, prima di ogni cosa, siamo persone: finché però la comunicazione di una società alimenta etichette precostituite attraverso la comunicazione, significa che bisogna lavorare sulla percezione e sulla consapevolezza di come oggi la comunicazione stessa possa dimenticarsi delle persone. Altrimenti, si torna a ghettizzare culturalmente e socialmente le persone per un’etichetta imposta e decisa dagli altri.
Leggi anche: Nel 2025 basta parlare di integrazione e inclusione
Ha già firmato il nostro veloce questionario? Stiamo raccogliendo le opinioni sulla disabilità e migliorare la sensibilizzazione su questo tema importante. Come piccolo segno del nostro grazie riceverai un regalo esclusivo!
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link