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Silvia Stilli, Aoi, su l’Unità: “Gaza è stata cancellata”

“Trump e Netanyahu, la loro pace a Gaza si chiama pulizia etnica. 61mila morti, di cui 18mila bambini e 12mila donne”, parla Silvia Stilli

 

Silvia Stilli, presidente dell’Associazione delle Organizzazioni Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), che rappresenta più di 500 organizzazioni non governative, interne e internazionali è intervenuta su l’Unità per ricostruire il quadro della situazione a gaza, dopo 482 giorni di invasione, occupazione e violenze da parte dell’esercito israeliano. 

Conto e carta

difficile da pignorare

 

L’accordo per il cessate il fuoco tra il governo israeliano ed Hamas raggiunto in Qatar due settimane fa cancella 15 mesi di crimini di guerra e contro l’umanità?
“Le Agenzie Umanitarie internazionali e la Mezza Luna Rossa Palestinese di Gaza dall’ottobre 2023 hanno trasmesso aggiornamenti quotidiani del dramma umanitario che si stava consumando nella Striscia – spiega Stilli – Sono numeri inimmaginabili: a oggi sono 61.000 le persone morte o disperse, di cui 46.000 le vittime accertate in 482 giorni di invasione, occupazione e violenze da parte dell’esercito israeliano; quasi 17.900 i minori uccisi, di cui 214 neonati, 7 morti per il freddo; più di 12.300 sono le donne assassinate e 60.000 quelle incinte a rischio della vita per scarsa assistenza sanitaria; si contano 2.100 famiglie cancellate dal registro civile; gli sfollati sono il 90% e 412 è il totale di ambulanze, ospedali, centri di prima emergenza e altre strutture sanitarie distrutte. La Striscia di Gaza è rasa al suolo e oggi inabitabile per ben più dell’88% della sua estensione. In spregio alle basilari regole del diritto umanitario internazionale, l’esercito israeliano ha bombardato e distrutto 220 centri di accoglienza e rifugio, anche in quel risicatissimo 10% di superficie della Striscia che aveva riconosciuto come “zona umanitaria”. Il 20 gennaio scorso, dopo 15 mesi di assedio e bombardamenti da parte delle forze militari israeliane, è entrata in vigore la tregua firmata dal governo di Netanyahu e da Hamas, divisa in 2 fasi, di cui la prima prevede il rilascio degli ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre da Hamas e di più di 1.000 prigionieri politici palestinesi (la maggior pare estradati in altri Paesi), tra cui vari minorenni, e il rientro degli sfollati nella zona Nord della Striscia occupata. La seconda fase andrà negoziata dal 4 febbraio. L’accordo stabilisce anche lo sblocco dei camion di aiuti umanitari fermi ai valichi con la garanzia di un transito giornaliero di 600 mezzi. Per 15 mesi l’accesso a Gaza dai valichi è stato bloccato, escluso quello di Rafah, al confine con l’Egitto, da cui comunque pochissimi erano i camion di aiuti che entravano nella Striscia.
I mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale nei confronti del Primo Ministro israeliano Netanyahu e del suo ex ministro della Difesa Gallant per crimini contro l’umanità nel periodo dall’8 ottobre 2023 al 20 maggio 2024 li indicano responsabili del blocco degli aiuti che ha provocato malnutrizione, disidratazione, mancanza di cure, sofferenze gravi alla popolazione civile e morti e con un impatto devastante su infrastrutture e ospedali. Appena dichiarato il cessate il fuoco, 897 camion di aiuti sono entrati nella Striscia. Vedere le immagini di quei mezzi è stato liberatorio per noi ong che abbiamo chiesto più volte l’azione diplomatica del nostro Paese per farli passare e siamo andati a Rafah nel marzo scorso con Arci, Assopace Palestina e una delegazione parlamentare a incontrare le Agenzie Onu per avere testimonianza del genocidio in atto a Gaza. Nessuna tregua può cancellare le atrocità commesse in 15 mesi”.

Quella raggiunta è una tregua fragile? Intanto Israele ha scatenato l’operazione “Muro di Ferro” in Cisgiordania. La guerra continua?
“Da un paio di giorni social e agenzie di stampa diffondono video di molte migliaia di sfollati che attraversano il corridoio della fascia centrale della Striscia, al checkpoint di Netzarim, per andare verso Gaza City e il Nord. Aoi ha espresso pubblicamente piena soddisfazione per la tregua e lo stop ai bombardamenti e alle violenze sui civili palestinesi e ha condiviso la gioia del possibile ritorno a casa di più di un milione di persone sfollate e delle famiglie degli ostaggi israeliani che saranno liberati. Ma non credo si possa parlare di tregua stabile. Per come si sono svolti i negoziati, l’Autorità Nazionale Palestinese, l’Anp, è fuori gioco. Le due parti sedute al tavolo della negoziazione finale in Qatar erano il governo israeliano e i vertici attuali di Hamas. La “questione palestinese” è attualmente un tema più complesso del passato, anche recente. Stiamo assistendo alla peggiore perdita di consenso di sempre per la leadership dell’Anp. La crisi di Jenin, che è attenzionata dai media, non è sorta all’improvviso. Le forze di sicurezza dell’Anp hanno lanciato a inizio anno l’operazione «Proteggere la patria» per riportare ordine nel campo profughi, simbolo della resistenza all’occupazione israeliana e oggi luogo di scontri con il locale braccio armato della Jihad islamica. I poliziotti palestinesi reprimono con la forza le proteste di giovani, sindacalisti, attivisti che chiedono ad Anp e Jihad di porre fine agli scontri e ripristinare un dialogo nazionale. In questa situazione di conflitto interno si è inserita Israele, che, all’avvio della tregua a Gaza, ha lanciato nel campo di Jenin l’operazione “Muro di ferro”, con l’obiettivo di “sradicare il terrorismo”, ma in verità per indebolire maggiormente l’unità del popolo palestinese. Tra le giovani generazioni, disilluse da decenni di sconfitte e da accordi di pace mai realizzatisi, sempre più persone vedono in Hamas, ma soprattutto nella Jihad islamica, la risposta efficace alle violenze di militari e coloni. Da parte israeliana, l’obiettivo prioritario del governo di Netanyahu è quello di convincere i suoi maggiori alleati internazionali che, partendo da Gaza, si debba arrivare alla colonizzazione di tutta la Cisgiordania. Trump è perfettamente in linea, affermando che la soluzione finale per far vivere in pace i due popoli, israeliano e palestinese, è tenerli lontani, intanto costruendo abitazioni in Giordania e in Egitto per un milione di sfollati della Striscia. Una vera pulizia etnica“.

In tutto questo, l’Europa?
“L’Unione Europa, assente da ogni tavolo degli accordi per la pace e muta da tempo, vede scorrere davanti a sé l’evoluzione geopolitica del Medio Oriente, in Siria, in Palestina e in Libano, dove Israele continua a colpire il Sud del Paese nonostante la tregua con Hezbollah prorogata al 18 febbraio. Quello che il governo israeliano è riuscito a portare a casa in Qatar era calmare i familiari degli ostaggi e tranquillizzare Biden a termine mandato, mentre l’obiettivo di Hamas era far tornare gli sfollati a Gaza City e al Nord ed evitare lo sterminio definitivo per fame e stenti. La West Bank ha vissuto i 15 mesi di occupazione di Gaza con una forte escalation di violenza e repressione da parte israeliana: 840 le persone uccise, di cui 185 bambini; 21 di questi omicidi sono stati compiuti da coloni armati; 7.237 i palestinesi feriti, di cui 1.250 minori; 2.200 le strutture civili distrutte; più di 5.200 gli sfollati. I posti di blocco militari israeliani in Cisgiordania sono 898. Un’altra polveriera a cielo aperto. Per Gaza si è raggiunta una tregua fragile che ancora una volta non affronta la “questione palestinese” per una soluzione pacifica giusta e lascia terreno fertile a conflitti e violenze”.

Le Ong italiane hanno scritto una lettera aperta al ministro degli Esteri Tajani contestando il blocco dei loro progetti a Gaza e in West Bank. Quali sono le vostre preoccupazioni?
“Tra qualche giorno Unrwa (Agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi) verrà definitivamente espulsa da Israele con una ricaduta negativa in termini di finanziamenti internazionali. Anche l’Italia ha dichiarato il suo disimpegno. Le organizzazioni della società civile italiana operanti in Palestina, che hanno sostenuto in questi mesi la popolazione a Gaza con gli aiuti materiali e la vicinanza del personale locale, non sono state coinvolte nell’iniziativa umanitaria del Governo italiano “Food for Gaza”. È la prima volta che le ong non siedono a un tavolo di coordinamento per l’emergenza della Farnesina, cui partecipano Comuni, Regioni, Agenzie Onu e Università. Questo si aggiunge al blocco dei progetti finanziati alle ong con i fondi dell’aiuto pubblico allo sviluppo italiano per la Striscia e per la Cisgiordania. A marzo 2024 la Farnesina aveva stanziato altri 2 milioni per l’emergenza in Cisgiordania per nuove iniziative delle organizzazioni italiane, a oggi non impegnati. Lettere al ministro Tajani, interrogazioni parlamentari e comunicati stampa non hanno registrato alcuna risposta al perché di questi stop all’attività umanitaria. Nei primi giorni di febbraio è prevista la pubblicazione della nuova regolamentazione del governo di Tel Aviv per l’operatività delle ong umanitarie internazionali in West Bank, che stabilirà criteri molto rigidi, alcuni inaccettabili. In questo quadro desolante ci auguriamo di poter garantire ancora la vicinanza alle comunità palestinesi che mai abbiamo abbandonato, difendendo di nuovo il valore della solidarietà e il diritto a esercitarla”.

Qual è il suo commento sul durissimo attacco anonimo di Roma a Medici Senza Frontiere, Croce Rossa, Amnesty, Emergency ed Anpi che ha segnato la Giornata della Memoria?
“Oggi praticare la solidarietà umanitaria attiva nei Paesi coinvolti nei conflitti o attraverso i salvataggi in mare dei profughi, per garantire una vita giusta e dignitosa per tutti, è una scelta di coraggio. Assistiamo da anni agli attacchi alle ong del Sar, Search and Rescue, definite da una parte della politica e dei media “taxi del mare” o “pirati” e a quelle dell’aiuto umanitario in Medio Oriente, accusate dagli stessi soggetti di “fiancheggiare il terrorismo islamico”. La mission della Croce Rossa e la nostra in queste situazioni coincide: la popolazione civile deve ricevere assistenza e protezione, in quanto vittima e non carnefice. Sempre. Dall’Ucraina a Gaza. Questo noi facciamo. Aver criminalizzato la solidarietà per lungo tempo ha generato il clima che produce azioni disumane come quella citata. È un grave errore accusare di antisemitismo chi chiede una pace giusta, come l’Anpi, o chi aiuta milioni di persone palestinesi, tra cui numeri drammatici di minori anche neonati e donne incinte, senza cibo, acqua, cure primarie, casa: ma davvero chi ha messo quegli striscioni alla Fao o sulla Piramide Cestia pensa questo? E lo fa nel Giorno della Memoria, in cui tutti dobbiamo ricordare il genocidio degli Ebrei e dire con convinzione MAI PIÙ. Ho una sola parola per rispondere ad un atto così irresponsabile perché genera odio: VERGOGNA”. (Fonte l’Unità)


pubblicato il: 30/01/2025 | visualizzato 107 volte



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