«Prezzo ribassato su misura per l’offerta fatta da Ching»

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VENEZIA – Secondo la procura di Venezia per favorire la cessione di palazzo Papadopoli, già sede della polizia municipale di Venezia, sarebbe stata pagata una mazzetta all’allora assessore al Patrimonio, Renato Boraso, sotto forma di consulenza. A raccontarlo è stato Claudio Vanin, l’imprenditore trevigiano che, con la sua denuncia, ha fatto iniziare l’indagine Palude, concretizzatasi lo scorso luglio in numerosi arresti per corruzione e altri reati.


IL RACCONTO

Vanin sostiene che la vendita di quel palazzo, ad un prezzo inferiore alla stima originaria (nonché la cessione di un altro immobile comunale, palazzo Donà) fu voluta dal sindaco Luigi Brugnaro per indurre il magnate di Singapore, Ching Chiat Kwong, ad acquistare successivamente l’area dei Pili, di sua proprietà, per 150 milioni di euro. Affare poi sfumato.

Per sostenere l’accusa di corruzione, respinta con decisione sia da Boraso che da Ching e Brugnaro (e dai suoi più stretti collaboratori, Morris Ceron e Derek Donadini), i pm Federica Baccaglini e Roberto Terzo hanno ricostruito minuziosamente tutti i passaggi che, dopo l’offerta presentata da Ching, nel luglio del 2017, portarono ad una serie di revisioni di stima, con conseguenti riduzioni di prezzo, una avvenuta addirittura a distanza di due ore dall’altra.

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L’INCONTRO

A contribuire alla cronistoria è stato il responsabile del Servizio vendite del Comune, il quale ha ricordato di una riunione, convocata nel giugno del 2016 dal capo di gabinetto del sindaco Morris Cerron, alla quale prese parte il referente di Ching in Italia, Luis Lotti, che faceva seguito all’incontro del precedente aprile, a Ca’ Farsetti, immortalato da un video nel corso del quale il sindaco aveva illustrato al magnate anche le potenzialità dei terreni di sua proprietà ai Pili. All’epoca il prezzo di palazzo Papadopoli era di 14 milioni, così confermato dopo l’ultima asta pubblica andata deserta.
Ching resta in silenzio per circa un anno. Quindi, il 19 luglio del 2017 invia al Comune di Venezia la sua offerta di acquisto per 10 milioni di euro, forte del parere dell’architetto Fabiano Pasqualetto, secondo il quale il palazzo ne vale 14.

L’ULTIMO RITOCCO

Il responsabile del Servizio vendite di Ca’ Farsetti si attiva chiedendo all’ufficio comunale competente una verifica della stima, ottenendo il 7 agosto due ipotesi: 13.3 milioni (destinazione commerciale e residenziale/direzionale) o 12.5 milioni (destinazione ricettiva). Poiché le cifre sono indicative, viene dato incarico a Insula che, il 19 ottobre, precisa il numero di possibili stanze realizzabili (tra 21 e 31) e la stima viene ritocca a 11.435.000. Due ore più tardi, «causa errore», arriva un’ulteriore sforbiciata: prezzo finale 10.729.606. Passano soli 4 giorni, e il 23 ottobre il magnate formula l’offerta definitiva, pari a 10.800.000 di euro, la somma a cui il palazzo gli viene aggiudicato nel dicembre del 2017 (con atto definitivo dal luglio 2019).

«L’offerta di Ching giunse via Pec e non in busta chiusa come previsto… Non sono arrivate altre offerte – ha ricordato il funzionario – Dopo tanti anni non ho ricordi precisi su insistenze di qualcheduno dalla parte politica… non ricordo di aver ricevuto indicazioni da Boraso».
Più memoria ha dimostrato l’allora vicesindaco, Luciana Colle: «Avevo avuto indicazione da Ceron o da Donadini (o forse da entrambi perché si muovevano di concerto) della necessità di far abbassare il prezzo di 14 milioni che era stato approvato l’anno prima… tutta la questione è da ricondursi allo staff del gabinetto del sindaco».

«NON ALLINEATO»

Il responsbaile del Servizio Vendite, reso edotto di alcune intercettazioni ha fornito ulteriori spiegazioni ai finanzieri: «Prendo atto che Ceron e Donadini nel corso delle indagini hanno espresso preoccupazioni in ordine a mie eventuali propalazioni a loro carico per la vendita di palazzo Donà e Papadopoli: penso che fosse legata al fatto che temevano un mio malanimo per avermi indotto a lasciare il Comune essendo persona non allineata».

Anche Palazzo Donà, secondo la procura, sarebbe stato ceduto ad un prezzo di favore al magnate di Singapore, che lo ha pagato poco più di 7 milioni di euro: cifra che il suo uomo di fiducia, Lotti, in una mail del luglio 2016, definiva «inferiore di almeno il 60 per cento rispetto al reale valore di mercato… un’occasione da non perdere». L’immobile è stato restaurato da Ching e rivenduto dopo pochi anni a 18 milioni. Un professionista di fiducia di Lotti si era dichiarato pronto a rivenderlo senza restauri a circa 12 milioni e mezzo. Su questo affare non viene però formulata alcuna ipotesi penalmente rilevante.





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