Per Trump il vendicatore la cultura è un virus da debellare

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Il taglio dei finanziamenti federali getta le università nell’emergenza: è solo l’ultimo atto di una vera e propria guerra alla conoscenza. Il tycoon vorrebbe che i cittadini fossero solo “poorly educated people” perché sono quelli che l’hanno riportato nello Studio Ovale. Non solo si vuole mettere ai margini il pensiero critico, ma è anche la fine della separazione tra stato e governo

Come si prevedeva, il secondo Trump sarà la vendetta: contro lo stato, le politiche anti discriminazione, i programmi sociali e di sostegno educativo. La cultura deve morire.

Alcune università come Columbia (non è la sola, benché l’unica Ivy per ora) hanno messo in conto un taglio corposo dei finanziamenti federali e dichiarato emergenza: il risultato sarà una riduzione drastica dei posti messi a concorso per dottorati di ricerca (un impegno di spesa non piccolo per le università che non hanno larghe donazioni, e che viene in gran parte coperto da borse di studio del governo federale agli studenti americani).

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L’accanimento contro le politiche non strettamente securitarie dimostra che gli Stati Uniti hanno (avevano?) uno stato sociale, lo si vede proprio ora che Trump decide il congelamento dei fondi e con una email ordina il prepensionamento di migliaia di impiegati pubblici. La “crisi dello stato costituzionale” denunciata e paventata dai giuristi e dalle opposizioni è crisi dello stato che regola e provvede; crisi della separazione tra stato e governo.

Andare fino in fondo

Come ha detto nel discorso di insediamento, il 20 gennaio scorso, Trump ha imparato stando all’opposizione che chi vince deve andare fino in fondo. La politica è una guerra che non prevede trattati di pace. La stessa logica che guida la soluzione proposta alle carneficine in corso in Europa e in Medio Oriente: il forte ha ragione di usare la propria forza e il debole deve piegarsi.

Un barbarismo straordinariamente sincero e che, a quanto pare, i sostenitori e gli studiosi di democrazia non riescono ancora a decodificare.

Visto lo stile da “monarca assoluto” dell’inquilino della Casa Bianca, si dovrà prendere molto seriamente questa idea barbarica di politica che aborre la dimensione impersonale delle istituzioni (e della burocrazia) e il ruolo di garanzia della magistratura.

Ma tanto accanimento contro l’educazione e le università è comunque un fatto unico.

Trump ha spesso detto di aver vinto grazie a coloro che meno sanno. Come tutti i populisti, si vanta di rappresentare quella parte. Se introducendo il suo primo mandato ha detto di amare “the poorly educated people” ovvero le persone poco istruite, è perché sapeva di far breccia tra coloro che i padri fondatori della Repubblica americana massimamente temevano e che, per duecento anni almeno, pensatori e letterati hanno cercato di educare, attraverso la narrativa e l’attivismo sociale.

Mark Twain e John Dewey, tanto per fare nomi illustri, hanno fatto della parola e della pratica associativa scuole di formazione etica e politica. La democrazia vuole cittadini consapevoli e rispettosi degli altri, curiosi e sperimentatori.

La ricerca dei “fedeli”

Trump si è scatenato contro tutto questo. E vorrebbe che la democrazia avesse solo “poorly educated people“. Per questo si accanisce contro chi pensa che l’istruzione sia fondamentale e che debba insegnare a conoscere e a ragionare con mente critica, per diffidare del potere.

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Il ciclo populista raccontato da Richard Hofstadter ritorna: il capo popolo disprezza chi sa e critica il potere; vuole fedeli. Un po’ come la nostra presidente del Consiglio.

Non possiamo evitare di osservare come la diffidenza verso chi sa vada ben al di là del populismo. E ci porta alla diffidenza verso la cittadinanza attiva coltivata da autori critici del populismo. Una diffidenza che fu articolata, per esempio, dagli autori del documento stilato nel 1975 per la Commissione trilaterale col titolo “crisi della democrazia”.

Per i quali la democrazia del loro tempo era malata di un «eccesso di democrazia» derivato «dalle dinamiche interne della democrazia in una società altamente educata, mobilitata e partecipativa».

Educati, guastafeste

Insomma, anche i liberaldemocratici degli anni Settanta pensavano che i più educati fossero dei guastafeste da contenere.

Non avrebbero però mai immaginato che un populista avrebbe usato tutta la potenza di cui dispone per togliere ossigeno a chi sa e per impedire che molti siano messi nella condizione di sapere.

La cultura è un virus da debellare per rendere i cittadini creduloni e fedeli.

© Riproduzione riservata

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