Regista e interpreti lavorano per sottrazione, lasciando al pubblico lo spazio per entrare nei ricordi dei personaggi, senza abbandonare le emozioni suscitare dai terribili fatti raccontati
29 Gennaio 2025 23:35
Dovessimo riassumere in poche parole la recensione de La farfalla impazzita, potremmo definirlo un film-tv che trova il suo significato negli sguardi. A fronte, infatti, di una sceneggiatura molto lineare e rispettosa dei fatti realmente accaduti a cui si ispira, la fiction trova la sua potenza e il suo messaggio da veicolare negli sguardi di vittime e carnefici, diventando un altro contenuto utile a far sì che la Giornata della Memoria possa essere affrontare con i giusti strumenti nelle scuole e anche altrove.
La recensione de La farfalla impazzita
Il racconto in onda su Raiuno e su RaiPlay della battaglia intrapresa da Giulia Spizzichino per far sì che Erich Priebke fosse estradato e processato per i crimini commessi cinquant’anni prima riesce ad avere un tono differente rispetto agli altri film-tv dedicati al tema dell’Olocausto e delle persecuzioni fatte dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Se solitamente siamo infatti abituati a storie che ci riportano indietro nel tempo e che propongono quei terribili anni, andando dritto al cuore delle emozioni che certe scene possono inevitabilmente suscitare, ne La Farfalla Impazzita la scelta è stata quella di far solamente immaginare quello che i parenti di Giulia possono aver vissuto, e con loro ovviamente tutte le altre vittime delle Fosse Ardeatine.
Si lavora per sottrazione nel film-tv di Kiko Rosati, almeno per quanto riguarda la narrazione dei fatti storici: si lascia che il pubblico possa immaginare da solo, attingendo magari da quanto ha visto o letto altrove. Ma c’è un altro tipo di lavoro che rende La farfalla impazzita differente dagli altri film sullo stesso argomento: qui, infatti, è il “dopo” a essere protagonista, ovvero ciò che passano i sopravvissutti per il resto della loro vita.
La storia di Giulia Spizzichino diventa così emblematica nel far capire al pubblico che quei dolori provati durante la Guerra non terminano con essa, ma si trascinano per intere esistenze. Ancora di più se i responsabili non fanno i conti con la giustizia: un misto di dolore, rabbia e anche -come dice la stessa Giulia- vergogna per essere sopravvissuti.
Ecco che, allora, gli sguardi diventano la vera chiave di lettura del film: da quello beffardo di Priebke a quello severo ma preoccupato del figlio della protagonista, ma anche lo sguardo comprensivo e amorevole di suo marito. Fino a, ovviamente, gli sguardi della protagonista Giulia, i più importanti per comprendere al meglio il senso di tutta l’operazione voluta da Rai Fiction e da 11 Marzo Film.
La sfida più difficile, in questo senso, l’ha provata dunque Elena Sofia Ricci: a lei è stato chiesto di sottrarre molto nella recitazione per trasmettere al pubblico un’impassibilità e una fermezza che, per Spizzichino, non erano altro che un restare ferma, intrappolata in quel terribile passato, quasi con rassegnazione e, appunto, vergogna. L’effetto è che il pubblico, però, prova lo stesso dolore e rabbia, sensazioni che anche degli apparentemente semplici sguardi possono comunicare e rimanere nel cuore.
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