Katz a Jenin, Witkoff a Gaza: occupazione senza fine

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Richiedi prestito online

Procedura celere

 


Ieri due visite a sorpresa nei Territori palestinesi occupati hanno spiegato perfettamente a che punto è arrivata la colonizzazione israeliana, sia militare che politica. Rendono anche plastica l’ambizione di immortalità del regime di occupazione, alimentata da un anno e mezzo di feroce violenza.

SONO AVVENUTE in due luoghi distanti nello spazio, ma mai così vicini come in questi giorni nelle impressioni dei palestinesi: Gaza e Jenin. La prima è stata confermata nel pomeriggio dall’emittente pubblica israeliana Kan: l’inviato di Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, è entrato nella Striscia scortato da un’ingente cordone di sicurezza fino al corridoio Netzarim che taglia l’enclave in due.

Secondo la stampa, l’obiettivo della prima visita a Gaza di un alto funzionario Usa in più di vent’anni serviva a mostrargli come funziona la tregua. A poca distanza, continuava la marcia del ritorno di centinaia di migliaia di palestinesi verso nord, quel demolition site di cui parlava pochi giorni fa il presidente Usa fantasticando di deportazioni di massa e una terra vuota da ricostruire (dopotutto Witkoff è un immobiliarista).

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

La seconda visita non è da meno in termini di potenza politica dell’immagine: il ministro israeliano della difesa Israel Katz è comparso nel campo profughi di Jenin, facendosi fotografare affacciato alla finestra di quel che resta di una delle case distrutte dall’offensiva militare. Dalla città cisgiordana, ha annunciato che l’esercito rimarrà dentro Jenin alla fine dell’operazione «Muro di Ferro» iniziata più di una settimana fa.

Non era mai successo che un ministro israeliano si mostrasse in questa veste all’interno di una delle città che, almeno formalmente, ricadono – secondo gli accordi di Oslo del 1993 – sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Le parole usate, dopotutto, ricordano gli anatemi apocalittici lanciati contro Gaza subito dopo il 7 ottobre da svariati esponenti politici e militari israeliani (dichiarazioni pubbliche che hanno permesso alla Corte internazionale di Giustizia di individuare l’intenzionalità dello sterminio e dunque il genocidio plausibile): «Il campo di Jenin non tornerà quello che era dopo che l’operazione sarà conclusa».

JENIN È drammaticamente abituata alla devastazione, il 2002 è nei ricordi di chi c’era e nell’immaginario delle giovani generazioni. Ma il dolore è sempre nuovo. Sono almeno 20mila i palestinesi costretti a lasciare le proprie case, circolo vizioso di sfollamento; 60 le case demolite dai bulldozer; e un ucciso, ieri, nell’attacco di un drone, il 25enne Osama Omar Abu al-Haija, morto dissanguato perché all’ambulanza è stato impedito di soccorrerlo. Sono già 16 gli uccisi a Jenin in una settimana, 884 il bilancio totale in Cisgiordania in 15 mesi.

Un’altra vittima a Tulkarem, il 23enne Ayman Naji. Nella città cisgiordana, particolarmente presa di mira negli ultimi due anni, la devastazione delle infrastrutture è il copia e incolla di Jenin. Ieri i bulldozer hanno proseguito nello sradicamento di strade e reti idriche, mentre i soldati compivano un’incursione nell’ospedale pubblico Thabet Thabet.

A Gaza intanto continua ad aggiornarsi il numero delle vittime. La tregua permette alla Mezzaluna rossa di scavare tra le macerie prima inaccessibili. Ieri sono stati recuperati altri 59 corpi, che portano il bilancio ufficiale a 47.417 uccisi. Prosegue anche il ritorno, mezzo milione di sfollati hanno già raggiunto i governatorati del nord, privi di tutto. «Non c’è modo di vivere – scrive il giornalista Hani Mahmoud – Cibo e acqua sono disponibili in piccolissime quantità, non sufficienti a un numero tanto grande di persone…Alcune persone tornano indietro. Non sappiamo quanto si possa sopravvivere in condizioni come queste».

SI ANNEBBIA LA GIOIA di un ritorno senza precedenti, raccontato sui social dai suoi protagonisti come il primo rientro a casa dalla Nakba: interi quartieri completamente scomparsi, una massa di macerie senza fine apparente. Su questo senso di scomparsa e disillusione spera chi vede nella pulizia etnica di Gaza un’opzione plausibile. Come Trump. Ieri gli ha risposto il presidente egiziano al-Sisi, tirato in ballo due giorni fa dalla Casa bianca: il suo paese, ha detto, non prenderà parte allo sfollamento forzato dei palestinesi, «è un’ingiustizia» e una minaccia alla sicurezza dell’Egitto.

È previsto per oggi il rientro a casa di tre ostaggi israeliani e cinque thailandesi, tra loro il nome «conteso» Arbel Yehud, la soldata Agam Berger e Gadi Moses. In cambio saranno rilasciati 110 prigionieri palestinesi. Intanto dalle carceri arriva la notizia della morte in custodia israeliana, tra maggio e giugno, di altri due detenuti, il 35enne Muhammad al-Asali e il 25enne Ibrahim Ashour, entrambi arrestati in ospedali di Gaza. Sono 58 i prigionieri uccisi in prigione dal 7 ottobre 2023.



Source link

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link