Il Papa: «La memoria dell’olocausto inviti a impegnarsi per la pace in tutto il mondo»

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Preoccupato per quello che succede in Congo per l’aggravarsi della situazione «securitaria», per il destino delle popolazioni civili. Papa Francesco invita a difendere le popolazioni di Goma e di Kinshasa e chiede alle autorità locali e alle istituzioni internazionali di fare il possibile per cessare ogni ostilità e cercare soluzioni pacifiche per il conflitto in corso. Proprio in questi giorni in cui si ricorda la tragedia dell’Olocausto il Pontefice chiede di continuare a pregare per la pace in Palestina, Israele, Myanmar e tanti Paesi che sono in guerra, «la guerra sempre è una sconfitta preghiamo per la pace», ripete. E ai polacchi, in particolare, ricordando i connazionali che «insieme con i membri delle altre nazioni furono vittime dello sterminio nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale», chiede di essere «custodi della verità e della memoria di questa tragedia e delle sue vittime, tra cui non pochi martiri cristiani. È un monito per il costante impegno per la pace e per la difesa della dignità della vita umana in ogni nazione e in ogni religione».  

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Prima, nell’ambito della catechesi che proseguirà per tutto l’anno giubilare su “Gesù Cristo nostra speranza”, il Pontefice aveva concentrato l’attenzione di questo mercoledì sul tema «Lo chiamerai Gesù», cioè sulle origini del Signore raccontate dai Vangeli dell’infanzia. «Se Luca ci permette di farlo nella prospettiva della madre, la Vergine Maria, invece Matteo si pone nella prospettiva di Giuseppe, l’uomo che assume la paternità legale di Gesù, innestandolo sul tronco di Iesse e collegandolo alla promessa fatta a Davide», spiega Francesco. «Gesù, infatti, è la speranza di Israele che si compie: è il discendente promesso a Davide, che rende la sua casa «benedetta per sempre»; è il germoglio che spunta dal tronco di Iesse, il «germoglio giusto» destinato a regnare da vero re, che sa esercitare il diritto e la giustizia».

Giuseppe è il fidanzato di Maria: «Per gli ebrei il fidanzamento era un vero e proprio legame giuridico, che preparava a ciò che sarebbe accaduto circa un anno dopo, cioè la celebrazione del matrimonio. Era allora che la donna passava dalla custodia del padre a quella del marito, trasferendosi in casa con lui e rendendosi disponibile al dono della maternità», sottolinea il Papa. E, quando Giuseppe scopre la gravidanza di Maria, secondo la legge, ha due possibilità: portarla davanti a un tribunale e ripudiarla davanti a tutti oppure ripudiarla in segreto in modo da non metterne in pericolo la vita. Giuseppe, che è un uomo «giusto» (zaddiq), così lo definisce Matteo, «un uomo che vive della Legge del Signore, che da essa trae ispirazione in ogni occasione della sua vita», agisce «ponderatamente: non si lascia sopraffare da sentimenti istintivi e dal timore di accogliere con sé Maria, ma preferisce farsi guidare dalla sapienza divina. Sceglie di separarsi da Maria senza clamori, privatamente. E questa è la saggezza di Giuseppe che gli permette di non sbagliarsi e di rendersi aperto e docile alla voce del Signore». Giuseppe di Nazareth richiama un altro Giuseppe, il figlio di Giacobbe, «soprannominato “signore dei sogni”, tanto amato dal padre e tanto odiato dai fratelli, che Dio innalzò facendolo sedere alla corte del Faraone». Anche lo sposo di Maria sogna: «Sogna il miracolo che Dio compie nella vita di Maria, e anche il miracolo che compie nella sua stessa vita: assumere una paternità capace di custodire, di proteggere, di trasmettere un’eredità materiale e spirituale. Il grembo della sua sposa è gravido della promessa di Dio, promessa che porta un nome nel quale è data a tutti la certezza della salvezza».

Nel sonno l’angelo dice a Giuseppe di non temere di prendere Maria in sposa, «infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Di fronte a queste parole Giuseppe «si fida di Dio» ,non chiede altre prove, «accetta il sogno di Dio sulla sua vita e su quella della sua promessa sposa. Così entra nella grazia di chi sa vivere la promessa divina con fede, speranza e amore. Giuseppe, in tutto questo, non proferisce parola, ma crede, spera e ama. Non si esprime con “parole al vento”, ma con fatti concreti». Sul suo esempio Francesco invita tutti noi a non disperdere le parole: «Chiediamo anche noi al Signore la grazia di ascoltare più di quanto parliamo», conclude, «la grazia di sognare i sogni di Dio e di accogliere con responsabilità il Cristo che, dal momento del battesimo, vive e cresce nella nostra vita».





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