di Graziella Falaguasta
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STORIE DI MINIERE
Il contributo dei minatori sardi nelle miniere di Cogne, Valle d’Aosta.
Un simbolico “ritorno” il giorno di Santa Barbara grazie a una videoconferenza tra Cogne e Montevecchio.
Ho conosciuto Deborah Bionaz, Assessore al Turismo di Cogne (in Valle d’Aosta) durante un evento che si è tenuto a Milano. Nata e cresciuta in questo paese che ama e che vive appieno, è giornalista e scrive per testate che si occupano di montagna e ha anche di recente pubblicato un libro di itinerari di scialpinismo. Già durante una chiacchierata di approfondimento per concordare questo articolo era emersa la possibilità di creare, fin da subito, un “ponte” diretto con l’Associazione Sa Mena e le miniere di Montevecchio, cogliendo l’occasione dell’inaugurazione della nuova sede, avvenuta il 4 dicembre scorso, il giorno di Santa Barbara. Un bel momento di un gemellaggio, per ora virtuale, che potrà trasformarsi in azioni concrete nel 2025.
Ma perché proprio Cogne? Perché c’è una grande correlazione tra la realtà mineraria della Valle d’Aosta e quella della Sardegna: la presenza e il contributo a Cogne di numerosi minatori provenienti proprio da questa regione, che lì hanno continuato a vivere e i cui discendenti tramandano storie ed esperienze. Lo stesso nonno di Bionaz è stato un minatore.
COGNE, IL SUO TERRITORIO E LE MINIERE
Il paese di Cogne, situato a 1534 metri di altitudine ai piedi del massiccio del Gran Paradiso (da cui prende il nome l’omonimo Parco Nazionale), conta 1500 abitanti la cui quotidianità è segnata da una serie di difficoltà logistiche oggettive, considerando che è servito da un’unica strada regionale (ex Statale 507) che durate l’estate 2024 è rimasta a lungo chiusa a causa delle alluvioni. Ciononostante, ci fa notare Bionaz “I residenti (i Cogneins) amano e rispettano il loro territorio, anche i più giovani” e tra i pregi del mantenimento di un ambiente naturale ancora così incontaminato spicca senz’altro la creazione, esattamente 102 anni fa, del Parco Nazionale del Gran Paradiso (il più antico d’Italia) che nel 2014 è entrato a far parte della Green List mondiale delle aree protette istituita dal Consiglio d’Europa, unico parco italiano ad aver ottenuto questo riconoscimento, riconfermato nel 2017 e nel 2021.
L’inizio dello sfruttamento dei giacimenti di magnetite presenti nel territorio di Cogne risale al 1432, ma è il dottor Emmanuel César Grappein che, prendendo la direzione della miniera nei primi anni dell’800, riesce a instaurare un sistema di gestione innovativo, di tipo “comunitario”, che prevede che l’estrazione, il trasporto e la vendita del minerale siano gestiti dalla comunità, trasformando così gli abitanti da operatori rurali in minatori con ritmi di lavoro completamente diversi. Nel 1910 la gestione belga della miniera dà inizio ai lavori di costruzione del villaggio minatori di Colonna (a 2425 mt di altitudine, la più alta miniera di ferro d’Europa) in grado di ospitare circa 400 operai. Dopo la nazionalizzazione del 1927, con la “Società Anonima Nazionale Cogne”, l’attività prosegue fino al 1968 e nel 1979 le miniere vengono chiuse definitivamente. Nel 2017 hanno inizio le prime visite alle gallerie di Costa del Pino per mantenere viva la storia della miniera e dei suoi lavoratori. Sottolinea Bionaz: «Quel periodo di attività delle miniere viene ricordato come un momento di grande fermento culturale, perché il lavoro in miniera richiama giovani da tutta Italia e anche dalla Sardegna, molti dei quali si integrano bene nella nuova realtà e decidono di rimanere in valle anche dopo la chiusura della miniera».
VALORIZZAZIONE E TURISMO SOSTENIBILE
Il rispetto per il proprio territorio ha fatto sì che dopo il 1979 gli stessi amministratori e operatori locali si impegnassero in progetti di riconversione sostenibili, che tenessero conto sia delle specificità sia delle esigenze dei visitatori che nel tempo sarebbero stati accolti in valle, senza snaturare la bellezza di cui si può godere. Un esempio è rappresentato dalla qualificazione nel 2023 a un bando per la valorizzazione culturale del territorio con il progetto “Arte in Paradiso”, una mostra a cielo aperto “distribuita”. Il Centro Espositivo Parco Minerario della Valle d’Aosta e della Miniera di Cogne rappresenta l’occasione per avere una panoramica su alcune delle miniere valdostane attraverso un percorso che segue l’estrazione del materiale nel tempo e nello spazio, partendo dai luoghi dove questi minerali si trovano (Brusson, Cogne, La Thuile, Ollomont, Saint-Marcel). Tra le diverse collaborazioni l’adesione di Cogne alla rete “Le Perle delle Alpi” (in inglese Alpine Pearls) un insieme di 23 località dell’arco alpino, che si trovano in cinque differenti Paesi, tra i quali l’Italia. Un’iniziativa nata nel 2006 con l’obiettivo di sostenere in loco la cosiddetta mobilità dolce.
E A MONTEVECCHIO, COS’È SUCCESSO?
La nascita dell’industria mineraria di Montevecchio data il 28 aprile 1848, quando l’imprenditore Giovanni Antonio Sanna, ottenuta la concessione di utilizzo del filone di 12 chilometri, inizia l’attività e in meno di dieci anni dimostra che la “sua” miniera è una fra le più produttive d’Europa nonostante le difficoltà di trasporto del minerale da Montevecchio al porto di Cagliari. Molte le vicissitudini per la conduzione della miniera, guidata fino al 1933 dalla famiglia Sanna-Castoldi, che la cede, per dissesti bancari, alla Montecatini. Dal 1934 al 1961 la gestione diretta dalla Montecatini, con un direttore di grandi capacità umane e tecniche, dà un assetto all’attività mineraria promuovendo e introducendo innovazioni di largo respiro, creando benessere e un’apertura culturale lungimirante che vede i figli dei minatori frequentare le scuole e studiare. La miniera ha portato beneficio e progresso, è stata un esempio di quanto la collaborazione fra tecnici, operai specializzati e dirigenti abbia condotto alla ribalta nazionale ed europea importanti invenzioni create in loco che hanno rivoluzionato il lavoro nel sottosuolo (il trenino veloce, l’autopala, la pala meccanica che portano il nome“Montevecchio”). Ma ha prodotto anche tanto dolore per le perdite umane in incidenti e anche alcuni significativi episodi di rivendicazioni sindacali (famoso lo sciopero del 1961). I cambiamenti di gestione della miniera di Montevecchio la portano però al declino, fino alla chiusura avvenuta, per accordi sindacali, il 18 maggio del 1991.
A MONTEVECCHIO ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE E CAMMINO MINERARIO DI SANTA BARBARA
Oggi le miniere dismesse di Montevecchio (ma anche quelle di Ingurtosu) fanno parte del sistema di valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale e rappresentano due tappe del Cammino Minerario di Santa Barbara.
Ricorda Tarcisio Agus, già presidente del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, ex-insegnante, archeologo, scrittore, ancora oggi impegnato nella valorizzazione di questi territori «La chiusura del 1991 apriva l’ipotesi di un’interessante riconversione prevista dall’accordo ministeriale, in parte con l’insediamento del Centro Nazionale Ricerche e in parte con attività sostitutive. Purtroppo, nonostante l’accordo, tutto è rimasto fermo e Montevecchio (considerata la più grande miniera sabauda dell’800) e abbiamo visto venire meno il progetto che prevedeva la riconversione turistica e l’insediamento privato di nuove attività produttive». Il mancato finanziamento necessario per le infrastrutture ed i servizi di natura pubblica, l’allontanamento dei capitali privati interessati ad investire nel progetto, difficoltà oggettive nell’adeguamento delle infrastrutture del borgo minerario di Montevecchio hanno reso difficile una tempestiva e adeguata conversione e solo con il passaggio dei beni alla Regione Sardegna (che si fa carico non solo del patrimonio immobiliare, ma anche del vasto compendio industriale soggetto a bonifica), possono iniziare i primi lavori, in attesa dell’acquisizione definitiva.
A Montevecchio la ricerca del bello e del duraturo si può osservare nei cantieri minerari, come il pozzo di Sant’Antonio, con i suoi bei merli e le ampie finestre gotiche lignee, così nel cantiere di Piccalinna, con la cromia data dai mattoni rossi e lo scuro scisto locale che compongono un piccolo complesso fiabesco, con le bifore che richiamano più un edificio ecclesiale che minerario. Il recupero di numerosi edifici nei Cantieri di Levante con i fondi europei ha consentito di predisporre un percorso turistico culturale, che permette al visitatore di capire il processo primario dell’industria mineraria, a partire dall’estrazione dei minerali, grazie anche al ripristino di un tratto della galleria Anglo Sarda. Sottolinea ancora Tarcisio Agus «Con la nascita nel 2001 del Parco Geominerario Storico ed Ambientale della Sardegna, la grande ricchezza infrastrutturale, tecnologica e storica di Montevecchio colloca questa miniera fra le esperienze industriali più avanzate nel panorama minerario regionale, nazionale ed internazionale, con particolare riferimento agli importanti risultati ottenuti nella meccanizzazione produttiva”. Nel 2011 Montevecchio ottiene il premio Eden (Destinazioni Turistiche per Eccellenza) e nel 2019 diviene Anchor Points di ERIH (European Route of Industrial Heritage), la rete europea di itinerari di archeologia industriale. Conclude Agus “Oggi è però necessario proseguire nel cammino intrapreso per rendere la miniera di Montevecchio un richiamo turistico a livello internazionale per un tipo di viaggiatori particolarmente interessati alla storia del territorio».
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