Sono gli schiavi di oggi: lavorano in condizioni di degrado di giorno e di notte, in laboratori fatiscenti, più vicini a noi di quanto sembri.
Sessantacinque laboratori tessili controllati, di cui 45 gestiti in condizioni di degrado, 29 sottoposti a sequestro preventivo, per un totale di 21,2 milioni di euro di insolvenze nei confronti dello Stato e di tutti gli imprenditori che, invece, hanno scelto di operare nella legalità.
Comincia da qui il nostro viaggio nei laboratori illegali gestiti da cittadini cinesi della Marca, gli stessi che aprono e chiudono in un battito di ciglia (e quando i debiti accumulati sono troppi), che operano soprattutto di notte, per non dare nell’occhio, a ritmi forsennati, e che lavorano conto terzi anche per i più noti e blasonati marchi di moda del Paese.
Sono ovunque: Quinto, Zero Branco, Breda, Morgano, Ponzano, Cornuda, Crocetta, Giavera, Trevignano, Caerano, Montebelluna, Preganziol, Spresiano, Villorba, Istrana. Si chiama operazione “Sottoveste”, è cominciata nel 2022 ed è tuttora in corso, creata e diretta dal nucleo operativo del gruppo della Guardia di finanza di Treviso diretto dal capitano Daniele Leonetti. L’obiettivo è ben preciso, mettere fine a un fenomeno che da troppi anni sta dilagando nella Marca.
Laboratori cinesi illegali, ecco il video della maxi operazione
Il fenomeno
I piccoli laboratori tessili della Marca, gestiti dalle storiche sarte, contoterzisti di aziende più strutturate con il compito di confezionare capi per conto di celebri marchi di caratura nazionale, negli anni sono andati scomparendo.
A loro è subentrato un nuovo soggetto: non più italiano, non più artigianale, ma che, di contro, produce di più, in meno tempo e a costi notevolmente inferiori. Il fenomeno dei laboratori tessili cinesi è esploso nella Marca a partire dai primi anni 2000. Da poche unità, in un ventennio, le società tessili intestate a cittadini cinesi nella Marca sono esplose.
L’indagine della Guardia di Finanza ha portato alla luce una rete di irregolarità: i laboratori tessili vengono amministrati da una serie di imprese, attive mediamente per un periodo di 2 o 3 anni e tutte gravate da debiti tributari. Sono aziende con un volume d’affari annuo medio di 400 mila euro, con 6 o 7 dipendenti, per lo più cinesi, ma anche pakistani, bengalesi e afghani.
Spesso irregolari e senza permesso di soggiorno, che tessono senza sosta, per pochi euro l’ora. Per essere più efficienti, i titolari preparano dei giacigli dove gli operai possono riposare qualche ora, in condizioni igienico sanitarie scarsissime, tra mozziconi di sigarette, bottiglie di alcolici vuote, avanzi di cibo e quantità industriali di rifiuti.
L’operazione
L’operazione Sottoveste nasce da una serie di controlli incrociati eseguiti dalle Fiamme Gialle di Treviso. Tutto parte dall’anagrafe tributaria. Ad insospettire gli investigatori è un elemento ben preciso: il fatto che nello stesso indirizzo, società con nomi diversi, ma con lo stesso scopo, abbiano aperto e chiuso in un biennio o al massimo un triennio, che poi si scoprirà essere il tempo utile per accumulare debiti.
Questa prima evidenza rappresenta il via libera ai sopralluoghi: vengono eseguiti da agenti in borghese direttamente sul posto. Una volta individuato il laboratorio irregolare, comincia la seconda fase dell’indagine, quella condivisa con altri soggetti istituzionali. Enel, per esempio, fornisce una fotografia dei consumi che solitamente sono più alti di notte, momento in cui si lavora di più.
Attraverso le planimetrie catastali, poi, si desume se sono stati fatti dei lavori non in regola secondo il piano catastale, un altro indizio di illegalità.
Terminate le indagini preliminari si procede con il controllo ufficiale da parte delle Guardia di finanza, con l’ausilio dei professionisti dello Spisal, dell’Ispettorato del lavoro, dei vigili del fuoco, dell’Arpav, dell’Ufficio immigrazione, degli uffici tecnici dei Comuni interessati e delle polizie locali. Si attiva un modello “multi-agenzia” altamente efficace sotto la direzione della Procura della Repubblica di Treviso.
I punti in comune
Ci sono degli elementi che accomunano tutti i laboratori sequestrati. Innanzitutto si tratta di case singole, isolate nella campagna trevigiana, per non dare nell’occhio mentre, specialmente di notte, quando tutti i macchinari sono in azione.
Sono immobili che un tempo ospitavano piccole attività artigiane, con magazzini nel piano inferiore. È lì che i macchinari si alternano uno dopo l’altro. A fianco non è raro trovare un cucinino dove gli operai, tra una confezione e un’altra, mangiano orecchie di maiale o zampe di gallina.
Le finestre sono tutte schermate da sacchi neri o da cartoni, per due motivi: primo, non farsi intercettare dall’esterno e, secondo, non dare modo ai lavoratori sfruttati di essere consapevoli del susseguirsi delle ore e del passare del giorno e della notte. Infine, gli immobili hanno tutti un’area esterna dove vengono accatastati chili e chili di rifiuti che verranno poi bruciati, specie quando piove. Tutto in sfregio alle regole, senza rispetto per la loro salute, per i cittadini, per l’ambiente e per la società stessa.
L’intervista
«Puniamo gli illegali per tutelare gli imprenditori onesti della Marca». A condurre l’operazione Sottoveste è stato il comando provinciale di Treviso della Guardia di finanza alla cui guida c’è il capitano Daniele La Gioia, che sottolinea quale sia stato il faro a illuminare l’intera indagine.
A chi era destinata la merce prodotta nei laboratori tessili sequestrati?
«La merce si trovava lì in conto lavorazione. Non è al momento possibile stabilire con certezza la destinazione, e quindi il cliente finale dei prodotti perché, dalle indagini finora eseguite, abbiamo riscontrato che tra i laboratori e l’effettivo committente intervengono diverse imprese che comprano dagli opifici irregolari e rivendono ad altre aziende gli articoli realizzati nei siti sequestrati. Il nostro obiettivo è però quello di fare piena luce sul particolare fenomeno, accertando le responsabilità anche di quanti ideano i “filtri” utili ad allontanare da loro qualsiasi contestazione amministrativa o, peggio, penale. In questo senso possiamo affermare che le nostre attività proseguiranno per tutelare in primis i lavoratori, ma anche le imprese oneste che patiscono la concorrenza illecita di imprenditori che operano nell’illegalità».
Avete riscontrato, a livello geografico, una concentrazione dei laboratori sequestrati in una particolare zona?
«Non abbiamo registrato una concentrazione di tale fenomeno in determinati Comuni, ma le aree della provincia che risultano meno abitate sono quelle in cui insistono questi opifici. In queste aree più periferiche i laboratori sono poi ricavati all’interno di garage o cantine di case isolate».
Titolari e dipendenti a che nazionalità appartengono?
«Gli interventi ispettivi condotti negli ultimi mesi hanno riguardato ditte i cui titolari sono tutti di nazionalità cinese. I dipendenti, oltre che cinesi, sono anche afghani, pakistani, bengalesi».
Come siete arrivati ai laboratori irregolari?
«La selezione degli obiettivi è stata una fase fondamentale, che è stata affinata non solo mediante approfondimenti sul patrimonio informativo in possesso della Guardia di Finanza, ma anche sfruttando le conoscenze e le informazioni delle altre istituzioni come i vigili del fuoco, l’Arpav, lo Spisal, l’Itl, l’Ufficio immigrazione della questura, le polizie locali, gli uffici edilizia privata dei Comuni interessati. Non sono poi mancate le classiche tecniche investigative (sopralluoghi e pedinamenti). In questo frangente, particolarmente utili si sono anche rivelate le segnalazioni dei cittadini».
Quali sono le condizioni in cui avete trovato i lavoratori?
«Spesso i laboratori sono stati rinvenuti in condizioni di degrado tanto da essere sottoposti a sequestro preventivo d’urgenza. In numerosi casi, i dipendenti, generalmente 5/6 persone, vivevano negli stessi opifici o in strutture abitative adiacenti frequentemente realizzate senza alcun permesso edile».
Avete riscontrato anche casi di infortuni sul lavoro?
«No, ma bisogna considerare il contesto di tendenziale illegalità in cui opera la tipologia di laboratori in questione. Difficilmente incidenti “minori” vengono denunciati dai lavoratori che li subiscono. È bene anche ricordare che nei casi di caporalato come quello accertato dalle nostre unità operative, la condizione di sfruttamento dei lavoratori implica anche che eventuali incidenti occorsi durante l’attività produttiva non siano in alcun modo riportati alle autorità competenti».
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