Il Giubileo vissuto dalla redazione diocesana e il magistero di Francesco
“Comunicare è uscire un po’ da se stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza. Io sono contento di questo Giubileo dei comunicatori. Il vostro lavoro costruisce la società, costruisce la Chiesa. Fa andare avanti tutti. A patto che sia vero”.
Sono davvero poche le parole che Papa Francesco ha riservato il 25 gennaio ai partecipanti al Giubileo del mondo della comunicazione nell’Aula Paolo VI in Vaticano; nella folta assemblea erano presenti anche quattro componenti della redazione diocesana e sì, ci siamo detti, dopo aver assistito a una doppia conferenza in inglese (con fatica a ricevere online la traduzione) e a un concerto di Uto Ughi con la sua orchestra a base di Bach e Piazzolla forse il Santo Padre lo avremmo ascoltato anche più lungo, ma tant’è.
Comunicare è una cosa divina
Abbiamo memorizzato il suo discorso e capito che bisogna essere “veri nell’interiorità e nella vita” e che “comunicare è una cosa divina”: alla faccia della responsabilità dei giornalisti! Per completezza di informazione, giustappunto, va detto che Francesco ha pubblicato il giorno precedente il suo messaggio per la LIX Giornata mondiale delle comunicazioni sociali con un titolo che è tutto un programma (di vita): “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cfr 1Pt 3,15-16)”. Nel testo, tra l’altro, Bergoglio chiede a chi utilizza media e social, quindi a un pubblico vastissimo, di “disarmare” la comunicazione e di purificarla dall’aggressività. Perché?
“Troppo spesso – è la risposta che si coglie nel messaggio pontificio – oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio. Troppe volte essa semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive; usa la parola come una lama; si serve persino di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire”.
La due giorni a Roma della nostra redazione
La nostra redazione, nel suo piccolo, ha fatto da apripista alla serie di altri “Giubilei” di categoria che verranno partecipati dalla nostra Chiesa, con numeri ben più significativi, con o senza il coordinamento della segreteria che la Diocesi ha attivato.
Dei due giorni trascorsi a Roma il momento più iconico è stato il passaggio della Porta Santa, ma la frase suona giocoforza banale se tale attraversamento non è preceduto e accompagnato da un’adeguata preparazione spirituale, che contempli anche il sacramento della Riconciliazione.
Senza addentrarci nell’interiorità di ciascuno e nel labile confine che separa un pellegrinaggio da una gita, possiamo dire però che ci siamo impegnati per vivere il “nostro” Giubileo dei comunicatori in pienezza, come un laboratorio di fraternità e di amicizia nella fede, in un accostamento positivo tra convocazioni plenarie ed altri momenti più personali e ludici.
Pellegrini di perseveranza
Così ricorderemo la Messa internazionale presieduta dal cardinale Baldo Reina in San Giovanni in Laterano ma insieme la visita all’attigua Università guidata dal reggiano don Paolo Gherri, là docente di Diritto canonico; le riflessioni sul patrono san Francesco di Sales pronunciate dal porporato ma anche le spontanee confidenze raccolte nei tanti spostamenti fra metro, autobus e tram: sì, c’è ancora gente di Roma che sentendo parlare ospiti temporanei della Città Eterna ha piacere di scambiare due chiacchiere.
Da alcune parole ascoltate in loco e dalle tante sedie rimaste vuote in Laterano abbiamo capito che forse il Giubileo 2025 deve ancora scaldare i motori; sarà che siamo ancora all’inizio dell’anno, o che molti comunicatori, ai quali era dedicato l’appuntamento di gennaio, si spostano molto più virtualmente di quanto facciano fisicamente.
C’è tempo, comunque. E le occasioni, tra Roma e i luoghi in cui viviamo, non mancano per farsi ogni giorno pellegrini di… perseveranza.
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