Caso Elmasry, Meloni indagata e contenta. Show sui social – NAUFRAGHI/E

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Di Andrea Colombo, il manifesto

La premier gioca d’anticipo. Appena ricevuto l’avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato nel caso del generale libico Osama Elmasry registra un video e dà per prima la notizia. Una buona mossa. Ma la bomba, con i ministri degli Interni Piantedosi e della Giustizia Nordio e il sottosegretario Mantovano a loro volta indagati, è deflagrante comunque.

NEL GOVERNO la hanno presa malissimo, anche perché stavolta davvero nessuno se lo aspettava. Al ministero della Giustizia accreditano all’avvocato Li Gotti, autore dell’esposto all’origine dell’indagine, una capacità di fare danno che era completamente mancata all’opposizione. Sibilano avvelenati contro il Procuratore capo di Roma Lo Voi, che avrebbe potuto aprire e chiudere il fascicolo e invece ha deciso di andare avanti. L’Anm specifica che non c’è alcun avviso di garanzia ma solo l’iscrizione nel registro degli indagati, atto dovuto dopo un esposto. A via Arenula ritengono però che non ci sia alcun atto dovuto e in effetti una circolare del 2017 dell’allora procuratore capo Pignatone contro le «iscrizioni frettolose» avrebbe permesso di chiudere subito il fascicolo.

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Gli indagati si riuniscono subito a palazzo Chigi per concordare una strategia mediatica anche in vista del dibattito di ogni in Parlamento. Nel pomeriggio avrebbero dovuto riferire proprio i due ministri indagati. Era previsto solo l’intervento di Piantedosi, poi con una decisione inattesa lunedì sera era stata annunciata la presenza anche di Nordio.

Ma il quadro è completamente cambiato dopo l’iscrizione dei quattro nel registro degli indagati. Un dibattito che si prevedeva sì teso ma senza esagerate preoccupazioni prometteva di diventare tra i più fragorosi e politicamente a rischio. La premier sceglie di risolvere la faccenda nel modo più drastico. I ministri non saranno oggi in Parlamento. L’informativa, «per ora», salta. Se ne riparlerà. Quando? Mah, prima o poi. È anche questa una forzatura assurda. Cosa c’entra infatti l’avvio di un’indagine, atto dovuto o meno che fosse, con la necessità di affrontare un caso clamoroso sul terreno proprio, quello della politica non delle aule giudiziarie?

IN REALTÀ IL PROBLEMA giudiziario è considerato tutto sommato di scarsa rilevanza, anche se certo non si sa mai e una certa inquietudine comunque circola. Quel che preoccupa e fa imbizzarrire Meloni e i suoi ministri è che così diventa impossibile mettere la sordina alla vicenda, affondarla nelle sabbie mobili dei rimpalli di responsabilità e degli alibi di cartapesta. Nel suo video la premier mantiene comunque la barra in quella direzione. Prima bolla Lo Voi come «lo stesso del fallimentare processo a Salvini» e Li Gotti come «ex politico di sinistra molto vicino a Prodi (non è vero, peraltro), conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta». Poi ricostruisce il caso secondo il copione già noto: «La richiesta di arresto della Corte penale internazionale non è stata trasmessa al ministero della Giustizia». Di qui la decisione della corte d’appello di Roma di scarcerare il libico e quella del governo di rimpatriarlo di corsa «piuttosto che lasciarlo libero sul territorio italiano». In realtà sarebbe stato facile aggirare l’ostacolo procedurale ma è un nodo enorme sul piano politico non su quello legale.

Meloni a questo punto scarta e contrattacca spostando la vicenda sul piano dello scontro tra politica e potere togato: «Non sono ricattabile. Non mi faccio intimidire. È possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi ma intendo andare avanti per la mia strada». La direttrice d’orchestra dà il la, i musicanti seguono in coro. I due vicepremier, Tajani e Salvini, sono molto più precisi di lei nell’additare la manovra politica della magistratura. «Sono solidale con Meloni e con i ministri indagati. È una reazione alla riforma sulla separazione delle carriere», sancisce sicuro il forzista. Il leghista è più spiccio: «Vergogna, vergogna, vergogna. Riforma della giustizia subito».

SEGUONO DECINE di comunicati diramati da altrettanti esponenti dei tre partiti di maggioranza, tutte sulla stessa falsariga: «È un attacco politico dei magistrati contro la riforma del governo».

Spostare così l’asse dello scontro è per il governo doppiamente utile. Offre un buon argomento per la propaganda, in particolare sulla separazione delle carriere ma non solo, e soprattutto permette di seppellire lo scandalo della liberazione del torturatore libico Elmasry per ingraziarsi i suoi complici di Tripoli.

Nell’immagine: Giorgia Meloni durante il suo show



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