Caso Almasri: le possibili implicazioni giudiziarie

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L’arresto e la successiva scarcerazione del comandante libico Njeem Osama Almasri, capo della Polizia giudiziaria e accusato di gravi crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale, anche a seguito dei rilievi dello stesso tribunale nei confronti del nostro Paese, hanno causato forti fibrillazioni politiche e hanno confermato i dubbi sull’efficacia di un sistema penale internazionale che possa perseguire efficacemente reati così gravi e fortemente lesivi della dignità umana. Tale vicenda potrebbe avere, tuttavia, alcuni risvolti giudiziari anche nel nostro ordinamento. Infatti, taluni comportamenti omissivi da parte delle autorità interessate dal procedimento avviato dalla Corte potrebbero configurare il reato di omissioni di atti d’ufficio previsto dall’art. 328 Codice Penale; mentre l’utilizzo di un volo di Stato per il trasferimento di un solo cittadino straniero espulso dal territorio nazionale, indipendentemente dalla legittimità di tale atto, potrebbe aver determinato un danno erariale con la conseguente responsabilità innanzi alla Procura Regionale della Corte dei Conti. Infine, si potrebbero formulare riserve anche nei confronti della procedura di comunicazione da parte dello stesso Tribunale Penale Internazionale.

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1. Cenni sul Tribunale Penale Internazionale


La Corte penale internazionale dell’AIA non è un organo dell’Onu come è invece la Corte internazionale di Giustizia; infatti, si tratta di un tribunale penale che persegue singoli individui.[1]
La Corte, conosciuta anche con l’acronimo ICC dalla sua dizione in inglese (International Criminal Court), è un tribunale per crimini internazionali con sede all’Aia, in Olanda. Fondata nel 2002, ha competenza per i crimini più rilevanti che riguardano la comunità internazionale: il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e di aggressione; pur non essendo un organo dell’Onu, ha legami con il suo Consiglio di Sicurezza che può assegnare alla Corte quei casi che non rientrerebbero nella sua giurisdizione. La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire solo se gli Stati non possono (o non vogliono) agire per punire crimini internazionali.[2]
I Paesi che aderiscono alla Corte sono 124, ben più della metà dei 193 Stati membri dell’ONU tra cui due dei cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la Francia e il Regno Unito. Altri 32 paesi, tra i quali Stati Uniti, Israele e Russia, hanno firmato il trattato di costituzione della Corte, ma non l’hanno ratificato.
Uno Stato non parte non è tenuto a estradare propri cittadini che abbiano commesso tali crimini in un Paese parte e al giorno d’oggi non esistono mezzi di coercizione internazionali per costringere gli Stati non aderenti ad aderire alle richieste della Corte internazionale.[3]
Lo Statuto di Roma della Corte Internazionale è stato stipulato il 17 luglio 1998 e definisce in dettaglio la giurisdizione e il funzionamento della Corte; lo stesso è entrato in vigore il 1° luglio 2002 dopo la ratifica da parte del sessantesimo Stato aderente.[4]
Gli organi della Corte penale internazionale sono:

  • Presidenza, composta da un presidente e due vicepresidenti (primo e secondo vicepresidente) eletti dai giudici riuniti in consiglio. I diciotto giudici vengono nominati dall’Assemblea degli Stati parte; dal momento della loro elezione possono riunirsi in camera di consiglio ed eleggere a maggioranza assoluta il presidente e i due vicepresidenti che mantengono la loro posizione per un periodo di tre anni (o per un tempo minore, se il loro mandato finisce prima) rinnovabile una sola volta;                  
  • Ufficio del procuratore – anche detto OTP, dall’inglese Office of the Prosecutor – si occupa delle indagini, è indipendente dalla CPI pur essendone un organo costitutivo. Può iniziare le indagini di propria iniziativa (motu proprio), ma deve chiedere autorizzazione alla Camera Preliminare per l’autorizzazione a procedere nelle indagini preliminari. Oppure può iniziare le indagini dietro segnalazione (referral) da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o di uno Stato parte;   
  • Cancelleria (Registry): il cancelliere è responsabile amministrativo della Corte e nella Cancelleria è compresa un’unità di protezione per vittime e testimoni. L’organismo amministra lo staff della Corte e gli investigatori dell’ufficio del Procuratore, organizza le udienze e assiste i difensori.

Inoltre, è prevista anche l’Assemblea degli Stati Parte (ASP) che non è un organo della CPI, ma ne è parte costituente. I due organismi internazionali sono indissolubilmente correlati l’uno con l’altro. L’ASP è l’organismo composto dai rappresentanti degli Stati membri, quindi dai rappresentanti di quegli Stati che hanno firmato e ratificato lo Statuto di Roma. I rappresentanti hanno uguali diritti in assemblea (uno Stato un voto) e l’ASP si riunisce per deliberare su questioni procedurali, per l’elezione dei giudici e del procuratore capo, per segnalare situazioni da riferire all’OTP, per l’approvazione del bilancio e lo stanziamento dei fondi, per svolgere una funzione di controllo sull’operato della CPI e di interlocuzione diplomatica con i paesi di riferimento.     
L’avvio del procedimento è una fase molto delicata potendo essere attuata da fonti diverse: il procuratore, che agisce motu proprio, o un referral che può provenire da uno Stato che ha firmato il Trattato o dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I referral degli Stati sono più liberi, non avendo limiti, mentre il Consiglio di sicurezza deve far rientrare il suo atto in casi di violazione della pace, minaccia della pace o aggressione.
Se l’OTP inizia un’indagine motu proprio deve raccogliere un numero sufficiente di elementi da presentare alla Pre-Trial Chamber per la richiesta di autorizzazione a procedere; in caso di parere affermativo della Camera preliminare l’OTP può iniziare le indagini e presentarsi nuovamente alla Camera Preliminare per la disamina degli elementi accusatori; la Camera Preliminare deciderà quindi se gli elementi ricadono o meno nella giurisdizione della CPI. A quel punto l’OTP deve fornire al Consiglio di difesa elementi sufficienti per preparare un’adeguata azione difensiva volta a garantire un equo processo e il principio di presunzione di innocenza.

2. La vicenda Almasri


In data 19 gennaio 2025 le autorità di polizia italiane hanno arrestato a Torino Njeem Osama Almasri, capo della Polizia giudiziaria libica che dirige il ramo di Tripoli “Istituzione di riforma e riabilitazione”, una rete di prigioni gestite dalla Forza speciale di deterrenza nota informalmente come Rada. Tra questi penitenziari vi è anche il carcere di Mitiga, da anni al centro di denunce per le violazioni dei diritti umani in conseguenza di persecuzioni per motivi religiosi (come cristiani o atei), per presunte violazioni dell’ideologia religiosa della Rada (ad esempio, sospetto di comportamento immorale e di omosessualità), per il presunto sostegno o affiliazione con altri gruppi armati.[5]
La Rada è di fatto una milizia, o polizia militare, che agisce in collaborazione con il governo in carica della Libia occidentale, guidato da Abdul-Hami Dbeibah, con sede a Tripoli.
Con il comunicato del 22 gennaio 2025, la Corte Penale Internazionale ha ricostruito i fatti relativi alla mancata consegna di Osama Almasri Njeem. Nel documento si legge che “il mandato d’arresto emesso dalla Corte il 18 gennaio era stato inoltrato lo stesso giorno a sei Stati parte dello Statuto di Roma, fra cui l’Italia. La richiesta di arresto della Corte, poi, “è stata trasmessa attraverso i canali designati da ciascuno Stato ed è stata preceduta dalla consultazione e dal coordinamento con ciascuno Stato per assicurare l’adeguata ricezione e la successiva implementazione della richiesta”.[6]
Si rileva, inoltre, che quando la Corte penale ha emesso il mandato di arresto nei confronti del generale libico, un dipendente della Corte ha preso contatti con una funzionaria di sicurezza dell’ambasciata italiana in Olanda per comunicarle che lo stesso si sarebbe recato in Italia.
La nota della Corte penale Internazionale aggiunge che “Su richiesta delle autorità italiane e per rispetto nei loro confronti, la Corte si è deliberatamente astenuta dal commentare pubblicamente l’arresto del sopracitato. Allo stesso tempo, ha continuato a impegnarsi con le autorità italiane per garantire l’effettiva esecuzione di tutte le misure richieste dallo Statuto di Roma per l’attuazione della richiesta. In questo contesto il Cancelliere ha anche ricordato alle autorità italiane che nel caso in cui avessero incontrato problemi che potessero ostacolare o impedire l’attuazione della sua richiesta di cooperazione, avrebbero potuto consultare senza indugio la Corte per risolvere la questione”.
Il 19 gennaio la Polizia di Stato, poi, ha trasmesso gli atti relativi all’arresto alla Corte d’Appello di Roma e al Ministero della Giustizia.
Con una nota del 21 gennaio 2025 il Ministero della Giustizia ha confermato di aver ricevuto la richiesta di arresto del cittadino libico, dichiarando che “considerato il complesso carteggio”, stava valutando “la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’art. 4 della legge 237 del 2012”. 
Lo stesso 21 gennaio, la Corte d’appello ha chiesto alla Procura generale il parere sulla convalida dell’arresto, ed in particolare sull’applicabilità dell’art. 716 c.p.p., che disciplina l’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria. Ha chiesto altresì di comunicare “se vi sia, comunque, richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti dell’interessato, ai sensi dell’art. 11 L. 237/2012”.
In merito alla citata richiesta il Procuratore generale ha proposto alla Corte di Appello di dichiarare l’irritualità dell’arresto “in quanto non preceduto da interlocuzioni con il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale Internazionale”, specificando che il Ministro era stato interessato anche dalla Procura il 20 gennaio, e non aveva fatto pervenire alcuna richiesta in merito.
Con l’ordinanza del 21 gennaio, la Corte d’appello di Roma, conformemente alla  richiesta del Procuratore generale, ha dichiarato il non luogo a procedere sull’arresto effettuato dalla polizia giudiziaria “in quanto irrituale perché non previsto dalla legge” e ha ordinato la scarcerazione di Osama Almasri Njeem “in assenza di richiesta di applicazione di misura cautelare da parte del Procuratore Generale per mancata trasmissione degli atti della Corte penale internazionale di competenza ministeriale”. Questo perché l’arresto da parte della Polizia di Stato doveva essere preceduto da “interlocuzioni tra il Ministro della Giustizia e la procura generale presso la corte d’appello di Roma”, atteso che, ai sensi dell’art. 2 della legge n.237/2012, “[i] rapporti fra lo Stato Italiano e la Corte Penale Internazionale sono curati in via esclusiva dal Ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste della Corte e di darvi seguito”. 
La Corte d’appello, inoltre, non ha ritenuto applicabile ai mandati d’arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale l’art. 716 c.p.p., che disciplina l’arresto di iniziativa da parte della polizia giudiziaria dei soggetti colpiti da mandati d’arresto internazionali a fini di estradizione.
La legge n. 237/2012, secondo la Corte d’appello, prevede, agli artt. 11 e 14, la seguente scansione temporale ai fini dell’applicazione delle misure cautelari preliminari alla consegna: 1) ricezione degli atti della Corte Penale Internazionale da parte del Ministro della giustizia; 2) trasmissione degli atti dal Ministro della giustizia alla Procura generale di Roma; 3) richiesta del Procuratore generale alla Corte d’appello per l’applicazione della misura cautelare. 
La Corte d’appello osserva altresì che, dovendosi applicare la legge n. 237/2012 quale legge speciale, sarebbe precluso l’arresto d’iniziativa da parte della P.G., atteso che la procedura di applicazione della misura cautelare è “specificamente scandita in tutti i suoi passaggi” dalla legge speciale.
L’ordinanza attesta, altresì, che tra il 18 gennaio e il 21 gennaio il Ministro della giustizia è rimasto inattivo, non provvedendo a trasmettere gli atti ricevuti dalla Corte Penale Internazionale alla Procura generale di Roma, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 59 della legge n.232/1999, di ratifica ed esecuzione dello Statuto di Roma, che stabilisce che lo Stato parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, di arresto e di consegna adotta “immediatamente” i provvedimenti per far arrestare la persona di cui trattasi secondo la sua legislazione. L’indugio, quindi, potrebbe aver determinato una violazione del dovere di decisione immediata.
L’obbligo di cooperazione è del resto richiamato dallo stesso art.1 della L 237/2012, secondo cui “lo Stato italiano coopera con la Corte penale internazionale conformemente alle disposizioni dello statuto della medesima Corte, reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 222 […] nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano”. Ai sensi del successivo art. 2 comma 3, ancora, “il Ministro della giustizia, nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che sia rispettato il carattere riservato delle medesime e che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi e con le modalità dovute”.
Secondo la Corte di Appello di Roma, anche successivamente all’arresto da parte della Polizia, la trasmissione degli atti della Corte Penale Internazionale al Procuratore generale avrebbe consentito la richiesta di applicazione della misura cautelare da parte della Procura. Ne dà espressamente atto la stessa Corte d’Appello laddove attesta di aver chiesto alla Procura di specificare, indipendentemente da qualsiasi valutazione sulla legittimità dell’arresto, “se vi sia, comunque, richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti dell’interessato, ai sensi dell’art. 11 L. 237/2012”, sentendosi rispondere che non vi poteva essere richiesta in mancanza di trasmissione degli atti da parte del Ministero. 
Pur non contestando la gravità delle accuse, quindi, la Corte d’Appello di Roma, ha dichiarato non valida la detenzione a causa della mancanza di “conformità procedurale” e ha quindi ordinato la liberazione immediata del funzionario libico, che è potuto così rientrare a Tripoli. [7]
Ciò premesso, secondo alcuni autori[8] il ragionamento contenuto nell’ordinanza potrebbe non essere condivisibile nella ricostruzione dei rapporti fra legge speciale (legge n. 237/2012) e la legge generale (il libro undicesimo del codice di procedura penale). In particolare, il percorso argomentativo appare impreciso nella parte in cui sovrappone gli istituti dell’arresto e dell’applicazione della custodia cautelare; il primo è un atto dell’autorità giurisdizionale, il secondo è atto tipico della polizia giudiziaria, legittimato ordinariamente nei casi di flagranza, e previsto in materia di estradizione, nei casi d’urgenza.
Ebbene, riconosciuta la specialità della legge n.237/2012 rispetto alla disciplina codicistica, dovrebbe applicarsi l’art.3 della stessa legge n.237/2012, secondo cui si osservano le regole del libro undicesimo del codice di procedura penale. Nulla quindi impedirebbe l’arresto del catturando d’iniziativa della polizia giudiziaria ai sensi dello Statuto di Roma, che anzi esige la cooperazione degli stati firmatari alla consegna dei catturandi.
Parimenti, nessuna disposizione della legge n. 237/2012 impedirebbe l’arresto d’iniziativa secondo le procedure previste dall’art. 716 c.p.p. Gli artt.11 e 14 della legge n.237/2017 disciplinano infatti il diverso istituto dell’applicazione di misure cautelari da parte della Corte d’Appello, senza disporre alcunché sul diverso istituto dell’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria, per il quale, in mancanza di disposizioni della legge speciale, continuano ad applicarsi le richiamate norme previste dalla legge generale.
In conclusione, secondo tale interpretazione, l’arresto di Osama Almasri operato dalla Polizia di Stato avrebbe potuto essere convalidato ex artt. 3 legge n. 237/2012 e 716 c.p.p.
Infine, il Ministro dell’Interno, nel riferire al Senato sulla vicenda, ha dichiarato che “A seguito della mancata convalida dell’arresto ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato, che è stato notificato al momento della scarcerazione”, a causa di “urgenti ragioni di sicurezza vista la pericolosità del soggetto a piede libero”.

3. Conclusioni


La vicenda della scarcerazione del generale libico, anche in seguito ai rilievi della Corte Penale Internazionale, ha assunto implicazioni politiche che hanno evidenziato anche le fragilità del sistema di giustizia globale. Tuttavia, la vicenda in questione potrebbe avere conseguenze giudiziarie anche nel nostro ordinamento giuridico.
Preliminarmente si osserva che la stessa procedura di comunicazione da parte del Tribunale Penale Internazionale all’ambasciata italiana in Olanda potrebbe considerarsi anomala. Infatti, la stessa, per avere maggiore efficacia ed essere conforme ai canoni istituzionali, avrebbe dovuto essere inviata al Ministero della Giustizia.
Inoltre, nella fattispecie in esame potrebbe essersi verificato il reato di omissioni di atti d’ufficio previsto dall’art. 328 c.p. il quale dispone che “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni[…]”.
Tale norma disciplina il reato di rifiuto di atti urgenti, la cui rilevanza è limitata a tassative ragioni d’urgenza di compiere l’atto tra cui rientrano, ad esempio, i sequestri obbligatori amministrativi, la confisca amministrativa.
Questo reato dunque si consuma quando l’inerzia ha compromesso l’adozione dell’atto urgente; la disposizione in esame è pertanto diretta a tutelare l’efficace attuazione delle funzioni istituzionali della P.A. nei settori d’intervento tipizzati.[9]
La connotazione indebita, secondo la giurisprudenza, sussiste quando risulti che il soggetto non abbia esercitato alcuna discrezionalità tecnica, ma si sia semplicemente sottratto alla valutazione d’urgenza dell’atto del suo ufficio.
Il fatto che l’atto debba essere compiuto senza ritardo sta a significare che il compimento tardivo si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista una urgenza sostanziale impositiva del compimento dell’atto, in modo che l’inerzia assuma la valenza di rifiuto dell’atto medesimo, come nel caso del generale libico. Infatti, l’inerzia ministeriale in violazione dei doveri di cooperazione di cui agli art. 1 e 2 comma 3 della legge n. 237/2012 e dell’art. 59 dello Statuto di Roma, potrebbe aver impedito il perfezionarsi dell’iter procedurale previsto dall’art. 11 e, secondo le conclusioni dell’ordinanza della Corte d’appello, avrebbe viziato l’arresto operato d’iniziativa dalla Polizia di Stato.
Nella fattispecie in esame, pertanto la violazione potrebbe essere addebitata, ove ne ricorrano i presupposti, a quei pubblici funzionari dell’ufficio competente del ministero di giustizia che non avrebbero trasmesso tempestivamente i documenti alla Procura generale presso la Corte di Appello di Roma. 
Inoltre, un approfondimento richiede anche l’utilizzo di un volo di Stato per rimpatriare il cittadino libico nel suo Paese.
Preliminarmente, in materia di responsabilità erariale si deve sottolineare che, con il decreto legge n. 76/2020 convertito con legge 11 settembre 2020, n. 120, meglio noto come “Decreto Semplificazioni”, recante Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale si è intervenuti, tra l’altro, sull’elemento psicologico, andando a circoscriverne la punibilità, con il fine di rendere maggiormente efficiente la  P.A. In particolare è stato integrato il disposto dell’art. 1, comma 1, della legge n. 20/1994 che contiene la disciplina sostanziale della responsabilità del pubblico dipendente che cagioni un danno all’Erario; ciò posto, se già per effetto della riforma del 1996 (L. n. 639), la responsabilità amministrativa era stata limitata ai soli comportamenti posti in essere con “dolo o colpa grave” – in deroga al principio generale della responsabilità per “dolo o colpa”, ancorché lieve – , attualmente con il nuovo Decreto Semplificazioni all’articolato in questione è stato aggiunto un periodo ulteriore, in forza del quale viene prescritto che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”.[10]
Nel caso in questione occorre rilevare che, come detto, il generale libico è stato fatto rientrare a Tripoli con un volo di Stato mediante un aereo “Falcon” in dotazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Si deve, tuttavia, evidenziare che, nella prassi, anche i soggetti ritenuti contigui a organizzazione terroristica o comunque ritenuti pericolosi per la sicurezza pubblica, di solito vengono imbarcati sotto scorta su voli di linea o voli charter; tra il gennaio e il 31 luglio 2024 sono state 3.079 le persone rimpatriate con questa modalità.[11]
Pertanto, la decisione di utilizzare un volo di Stato per far rientrare in patria il libico avrebbe potuto arrecare un danno all’erario quantificabile nella differenza tra il costo di un biglietto aereo o della frazione della somma spesa per l’utilizzo di un voto charter rapportato al numero complessivo dei migranti trasportati e il costo, sicuramente molto più elevato, di un volo di Stato. E considerata la vicenda non si può escludere che il funzionario che abbia autorizzato il volo possa aver agito con colpa grave.
La fattispecie esaminata si presenta complessa ed opaca e dovrà necessariamente essere esaminata sotto ogni profilo, perché i crimini di cui è accusato Almasri dalla Corte Penale Internazionale sono particolarmente gravi e riguardano la violazione della dignità personale con trattamenti umilianti e degradanti, trattamenti crudeli e tortura, stupro e violenza sessuale, omicidio, detenzione illegittima, persecuzione contro un gruppo o una collettività ispirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale. Pertanto, l’aver sottratto alla giustizia internazionale questo soggetto, con il pericolo reale che possa proseguire il suo terribile percorso criminale, rappresenta una sconfitta per l’intera umanità.

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Note


[1] P. Gentilucci, Tribunale Penale Internazionale: la richiesta di arresto per Netanyau e i leader di Hammas, in Altalex del 23 maggio 2024.
[2] P. Gentilucci, L’invasione dell’Ucraina e il nuovo volto dell’impero russo: i possibili crimini di guerra, in Diritto.it del 1° aprile 2022.
[3] Bogdan, Attila, The United States And The International Criminal Court: Avoiding Jurisdiction Through Bilateral Agreements, in Reliance On Article 98.” International Criminal Law Review 8.1/2 (2008): 1-54.
[4] P. Gentilucci, Tribunale penale internazionale: arresto per Netanyahu e Gallant, in Diritto.it del 28 novembre 2024.
[5] V. Di Corrado, V. Errante, Prima di Torino la tappa in Germania. Nordio non avvisato del suo arresto, in Il Messagero del 23 gennaio 2025.
[6] V. Bolici, A. Martino, La pagliuzza e la trave: il caso «Almasri», in Questione Giustizia del 25 gennaio 2025.
[7] F. Moriero, Perchè il generale libico Almasri è stato scarcerato e di cosa è accusato, in Fanpage del 22 gennaio 2025.
[8] V. Bolici, A. Martino, La pagliuzza e la trave: il caso «Almasri», cit.
[9] Redazione, Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione, in Brocardi.it del 14 dicembre 2024.
[10] Paolo Gentilucci, Il caso Sangiuliano approda al Tribunale dei Ministri e alla Corte dei Conti,in Lojonio del 28 settembre 2024
[11] V. Di Corrado, V. Errante, Come funzionano le espulsioni e i voli di Stato, in Il Messagero del 24 gennaio 2025.

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