Lo choc degli studenti in viaggio ad Auschwitz, Gualtieri: «È un luogo di morte, impegnarsi per tenere vivo il ricordo»

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Andrea Arzilli

Il sindaco in visita al lager nazista con 142 ragazzi delle superiori per il viaggio della Memoria. Lo choc di fronte alle villette costruite accanto al sito Unesco e ai gadget per turisti che fanno della morte un’attrazione

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La terza e ultima giornata del viaggio della Memoria si conclude con il Comune che depone una corona al muro della morte, dove avvenivano le fucilazioni, e con i 142 studenti con gli occhi sbarrati e lo stomaco sottosopra per la lotta, sempre in corso, tra sacro e profano. È la Judenrampe, il luogo dove arrivavano i convogli dei deportati ad Auschwitz e avveniva la selezione dei nazisti, la prima tappa della visita del sindaco Roberto Gualtieri e degli studenti da tre giorni in Polonia: un vagone dell’epoca è un pezzo d’Olocausto e i ragazzi, concentrati sul racconto della perfetta macchina della morte nazista, restano perplessi sui meccanismi che rendono tristemente attuale l’atmosfera dei lager.

Le villette a schiera davanti al campo di concentramento

Quasi le stesse dinamiche che oggi mettono questo posto — Oswiecim, cittadina di 35 mila abitanti in cui sono stati costruiti i tre lager di Auschwitz 1, Auschwitz 2 e Birkenau – al centro di una contesa tra sacro e profano che ancora occupa spazio nel dibattito pubblico.
«Qui arrivavano i treni e veniva fatta una rozza e cinica selezione tra chi doveva lavorare e chi morire, dove si sbattevano i neonati contro i camion: è un luogo di morte — Gualtieri parla ai ragazzi — C’è la necessità di impegnarsi per tutelare questo sito come luogo di commemorazione e non per fare case e barbecue». Lì davanti, infatti, una serie di villette a schiera ha avuto la possibilità (e i permessi polacchi) di essere edificata nonostante tutta l’area sia sito Unesco e, in teoria, non ammetta costruzioni nel raggio di 500 metri.




















































I gadget per turisti

«Si tratta di una profanazione», dice lo storico Marcello Pezzetti nel paragonare questa apparente normalità di adesso alla normalità di allora, quando lo sterminio di ebrei, rom e omosessuali avveniva mentre la vite degli altri scorrevano serenamente. Così non sorprende se, a pochi metri da dove l’orrore si è consumato, si vendono i gadget per i turisti: lager e morte ormai come attrazione locale: centinaia di calamite da attaccare sul frigo nei negozietti di souvenir, molte con l’immagine iconica di Auschwitz (la scritta Arbeit macht frei – il lavoro rende liberi- sul cancello d’entrata), molte altre con i simboli della morte, soprattutto teschi che ammiccano alle effigi naziste, tutte con la scritta asettica German death camp (campo di sterminio tedesco), ma senza reali condanne, andrebbero in conflitto con gli interessi commerciali. La morte come volano dell’economia, insomma.

Lo choc dei ragazzi nel vedere la camera a gas

Uno choc per i ragazzi che, ascoltate le storie, non possono non fare un parallelo con la loro realtà, quella delle svastiche e dei cori antisemiti allo stadio. «A volte si vedono simboli nazisti e slogan antisemiti nel calcio — ancora il sindaco —: bisogna ricordare che quando leggiamo “laziali ebrei” o “romanisti ebrei” stiamo parlando dell’ideologia dello sterminio. E c’è ancora chi la difende e rilancia». Con queste premesse, per i ragazzi la visita all’interno dei campi di sterminio — tra forni crematori, baracche e cumuli di reperti dell’epoca (capelli, occhiali, protesi, scarpe di adulti e bambini, bambole e tutti gli oggetti strappati ai deportati dai nazisti) — picchia come un autentico pugno nello stomaco. Soprattutto nell’ultimo atto, la camera a gas. «Si vedevano anche i graffi sui muri», lo choc di Alessia. Mentre Angelica ancora non riesce a credere ai cumuli di oggetti raccolti nelle teche «gettati così, come se le persone non avessero un significato». Anna, studente della scuola polacca, ha la bisnonna che fu deportata per aver aiutato gli ebrei: «È la prima volta che vengo – dice – lo faccio per le mie radici, vedere cosa è successo davvero: e mi ha fatto molto male».

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