L’affermazione della presidente del Consiglio fa parecchia confusione, oltre a non sembrare corretta. Il mandato di arresto contro Almasri è stato emesso dalla CPI lo scorso 18 gennaio e il comandante libico è stato arrestato dalla Digos il 19 gennaio mentre si trovava in Italia, più precisamente a Torino. La Corte penale internazionale, lo ricordiamo, è un tribunale per crimini internazionali che ha sede a L’Aia, nei Paesi Bassi, e ha il compito di perseguire le persone accusate dei crimini più gravi a livello internazionale, come il genocidio e i crimini di guerra.
Come si legge nell’ordinanza di scarcerazione pubblicata il 21 gennaio, la Digos ha comunicato l’arresto alla Corte di appello di Roma, che in base alla legge è l’unico tribunale competente per quanto riguarda le richieste della CPI. La Corte d’appello, sentito il procuratore generale, ha ritenuto però che l’arresto fosse «irrituale». Secondo la Corte d’appello, infatti, la polizia giudiziaria italiana ha seguito la procedura prevista dall’articolo 716 del codice di procedura penale, relativa ai procedimenti di estradizione, e non quella prevista dalla legge 237 del 2012 (che dettano le norme per l’adeguamento dell’ordinamento italiano a quello della CPI). In base all’articolo 11 di questa legge, spetta al ministro della Giustizia il compito di trasmettere gli atti ricevuti dalla CPI al procuratore generale, che a sua volta chiede alla Corte d’appello l’emissione della misura cautelare nei confronti del sospettato.
Tutto questo sembra avvalorare la versione di Meloni, ossia che il governo non abbia responsabilità nel caso, essendo stata la scarcerazione effettivamente disposta da un atto dei giudici per irritualità dell’arresto di Almasri. In realtà le cose non stanno così: l’esito della vicenda sarebbe stato diverso se Nordio fosse tempestivamente intervenuto, come era obbligato a fare ai sensi di legge. Il Ministero della Giustizia italiano, come si legge nella stessa ordinanza era stato informato della richiesta di arresto da parte della CPI. L’ordinanza di scarcerazione della Corte d’appello di Roma, infatti, riporta la circostanza che Nordio era stato avvisato dell’arresto dalla DIGOS di Torino il 19 gennaio ed aveva ricevuto un’informativa anche dal Procuratore Generale «immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino», il 20 gennaio, ossia il giorno dopo l’arresto di Almasri. In più, in un comunicato pubblicato il 22 gennaio, la CPI ha fatto sapere che la richiesta di arresto era stata subito inviata ai «canali designati» di sei Stati, tra cui l’Italia, ed è stata preceduta da «una consultazione e da un coordinamento preventiva con ciascun Stato per garantire la corretta ricezione e l’attuazione successiva della richiesta della Corte». Dunque, non è vero, come sostiene Meloni che la richiesta di arresto non è stata trasmessa dalla CPI al Ministero della Giustizia. Anzi, il Ministero della Giustizia non poteva non essere a conoscenza della richiesta di arresto della CPI e, pertanto, doveva dare seguito al mandato della corte stessa senza esitazione.
La legge 232 del 1999 di ratifica ed esecuzione dello Statuto di Roma, con cui è stata istituita la CPI, stabilisce (art. 59) infatti che lo Stato che riceve una richiesta di fermo, di arresto e di consegna prende «immediatamente» provvedimenti per far arrestare il soggetto secondo la propria legislazione. Questo carattere di immediatezza dell’azione del ministro è prescritto pure dalla già citata legge 237 del 2012, secondo cui «il ministro della giustizia, nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi». Sebbene la legge non preveda una discrezionalità della scelta in questo caso, il 21 gennaio il Ministero della Giustizia ha pubblicato un comunicato stampa in cui si diceva che Nordio stava ancora valutando «la trasmissione formale della richiesta della CPI al procuratore generale di Roma».
Nel frattempo, però, sempre il 21 gennaio la Corte d’appello di Roma ha disposto la scarcerazione per Almasri, perché «il ministro interessato», si legge nell’ordinanza dei giudici, «non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito», ossia non ha dato seguito alla richiesta della CPI. In sostanza, sebbene l’arresto fosse stato «irrituale», Nordio avrebbe potuto (e dovuto) trasmettere gli atti ricevuti dalla CPI al procuratore generale di Roma, affinché quest’ultimo chiedesse alla Corte d’appello l’applicazione della misura della custodia cautelare per Almasri.
Non è chiaro perché il Ministero della Giustizia non abbia dato seguito alla richiesta della CPI. Il 22 gennaio la Corte penale internazionale ha fatto sapere che «sta cercando, e deve ancora ottenere, la verifica delle autorità sulle misure che sarebbero state adottate» sul caso del carceriere libico. Nordio sarebbe dovuto intervenire sul caso di Almasri in un’informativa alla Camera il 29 gennaio, insieme al ministro Piantedosi, ma secondo fonti stampa l’appuntamento sarà rimandato con tutta probabilità a un altro giorno.
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