Alle cinque della sera del 28 gennaio, mentre nel dibattito politico infuria il caso Santanchè, la presidente del Consiglio compare in un video social in cui pronuncia queste parole: «La notizia di oggi è questa: il procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi (oggi procuratore di Roma, prima di Palermo, magistrato legato alla corrente più moderata, noto per equilibrio e cautela, ndr), lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, mi ha appena inviato un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento (perché di fatto il leader libico perseguito dalla Corte penale internazionale è sfuggito all’arresto, ndr) e peculato (perché è stato rimpatriato, imbarcato su un volo di Stato, ndr) in relazione alla vicenda del rimpatrio del cittadino Almasri: avviso di garanzia inviato anche al ministro Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano presumo al seguito di una denuncia che è stata presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi conosciuto per avere difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi. (…) I fatti sono abbastanza noti», prosegue la leader di Fratelli d’Italia,«la Corte penale internazionale, dopo mesi di riflessione, emette un mandato di arresto internazionale nei confronti del capo della polizia giudiziaria di Tripoli, curiosamente, proprio quando questa persona stava per entrare in territorio italiano dopo che aveva serenamente soggiornato per circa 12 giorni in altri tre Stati europei. La richiesta di arresto della Corte penale internazionale non è stata trasmessa al ministero italiano della Giustizia come invece è previsto dalla legge e per questo la Corte d’appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida».
«A questo punto», prosegue ancora Meloni, «con questo soggetto libero sul territorio italiano, piuttosto che lasciarlo libero noi decidiamo di espellerlo e rimpatriarlo immediatamente, per ragioni di sicurezza, con un volo apposito come accade in altri casi analoghi. Questa è la ragione per la quale oggi la Procura di Roma indaga me, il sottosegretario Mantovano e due ministri. Io penso che valga oggi quello che valeva ieri: non sono ricattabile, non mi faccio intimidire. È possibile che per questo sia, diciamo così, invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore, ma anche e soprattutto per questo intendo andare avanti per la mia strada a difesa degli italiani, soprattutto quando è in gioco la sicurezza della Nazione».
CHE COS’è l’atto della procura
La comunicazione in questi termini sortisce immediatamente la solidarietà del centro destra e l’interpretazione da quella parte dell’atto come una ritorsione contro la riforma sulla separazione delle carriere. In serata l’Associazione Nazionale Magistrati emette una nota in cui spiega che l’interpretazione dei fatti è inesatta, che non si tratta di un’informazione di garanzia ma di un atto dovuto, di una trasmissione di atti per competenza al Tribunale dei ministri secondo quanto previsto da una legge costituzionale a tutela dei membri del Governo che vengano denunciati: «Si segnala», scrive l’Associazione Nazionale Magistrati che nel corso della stessa giornata ha visto eleggere i suoi nuovi rappresentanti vedendo prevalere Magistratura Indipendente, la corrente più orientata a destra, «al fine di fare chiarezza, il totale fraintendimento da parte di numerosi esponenti politici dell’attività svolta dalla procura di Roma, la quale non ha emesso, come è stato detto da più parti impropriamente, un avviso di garanzia nei confronti della presidente Meloni e dei ministri Nordio e Piantedosi, ma una comunicazione di iscrizione che è in sé un atto dovuto perché previsto dall’art. 6 comma 1 della legge costituzionale n. 1/89. La disposizione impone al procuratore della Repubblica, ricevuta la denuncia nei confronti di un ministro, ed omessa ogni indagine, di trasmettere, entro il termine di quindici giorni, gli atti al Tribunale dei ministri, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati affinché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati. Si tratta, dunque, di un atto dovuto».
Dal momento in cui riceve il fascicolo, il collegio per i reati ministeriali – composto da tre magistrati estratti a sorte nel distretto competente – ha novanta giorni di tempo per compiere accertamenti e poi decidere se archiviare, con decisione non impugnabile dopo avere sentito il parere del procuratore, oppure inviare (sempre tramite la Procura) gli atti alle Camere competenti per chiedere l’autorizzazione a procedere. A determinare l’atto è stata in effetti una denuncia dell’avvocato Li Gotti, sulla base tra l’altro dell’articolo 378 Codice Penale: «Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità , comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni».
CHI è il denunciante
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Riguardo a Luigi Li Gotti, va detto che è un avvocato ed ex politico italiano, che ha iniziato la sua attività con la destra nel Movimento sociale italiano (Msi) di cui è stato segretario della federazione e consigliere comunale, dopodiché è passato prima ad An infine a Italia dei Valori e come espressione di quella quota, ha intercettato il secondo Governo Prodi entrando a farne parte come sottosegretario in quota Idv.
Le interpretazioni contrapposte sul caso Almasri, nei giorni scorsi
Questa vicenda, destinata certamente a creare a lungo dibattito, – comprese prevedibili strumentalizzazioni, di cui in qualche modo già fa parte quell’allusione di Meloni alla «riccattabilità », che potrebbe far pensare all’insinuazione di un’azione riccattatoria della magistratura -, giunge non solo in un momento caldissimo, di tensione tra magistratura ed esecutivo, ma dopo un botta e risposta proprio sul caso Almasri, tra la presidente del Consiglio che il 26 gennaio, da Gedda (Arabia Saudita) aveva asserito che «è stato libertato non per scelta del Governo, ma su disposizione della magistratura». E l’Anm che in una nota aveva contestato la ricostruzione: «In realtà », scriveva il 27 gennaio la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati in una nota, «Almasri è stato liberato lo scorso 21 gennaio per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto – perché notiziato dalla polizia giudiziaria il 19 gennaio e dalla Corte d’appello di Roma il 20 gennaio -, e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale che aveva spiccato, nei suoi confronti, mandato di cattura per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga (Libia). Almasri, per scelta politica e nel silenzio del Guardasigilli, il solo deputato a domandare all’autorità giudiziaria una misura coercitiva, è stato infine liberato, e, seppur indagato per atroci crimini, riaccompagnato con volo di Stato in Libia. Tanto va detto per amor di verità ».
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UN NODO POLITICO, COmunicativo e giudiziario
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Le implicazioni di questa vicenda presuppongono un nodo tra una questione politica, una questione giuridica e un’altra comunicativa, che è destinato a rinfocolare le tensioni. Mentre la nota della Procura di Roma, firmata dal procuratore in persona, è neutra nei toni e nei contenuti, la decisione della presidente del Consiglio di comunicare personalmente per prima con un video la notizia indica da un lato una strategia comunicativa letta da più parti come l’intenzione di avere in mano il “pallino” dell’aspetto comunicativo della vicenda. Come spesso avviene in questi casi, la notizia contiene un fatto reale, la comunicazione, con un’interpretazione “politica” funzionale a ciò che si vuole comunicare (i riferimenti personali al procuratore Lo Voi e all’avvocato Li Gotti e il riferimento alla ricattabilità , nel video messaggio, indicano una lettura soggettiva, così come i commenti politici a seguire da una parte e dall’altra).Â
Dall’altro lato la tempistica in sé, quand’anche neutra, favorisce letture strumentali, perché il fatto avviene in un momento di grande tensione istituzionale, in cui il caso Almasri aveva già tenuto banco: prima, quando l’atto di rimpatrio si sarebbe potuto tranquillamente rivendicare come un atto politico da parte di un Governo che riafferma continuamente il primato della politica, in prima istanza Meloni l’aveva invece attribuito a una decisione autonoma della magitrastratura, cosa che aveva indotto l’Anm a chiarire. Ora, al contrario, al’atto giuridico della Procura di Roma si attribuisce dall’esterno una valenza politica.
Va da sé che tutto questo non aiuta i cittadini a capire, anzi finirà per aumentare tanto la confusione, quanto la tensione tra poteri.Â
Secondo un calendario stabilito prima dell’atto della procura di Roma, tra l’altro, in giornata Nordio e Piantedosi avrebbero dovuto riferire in Parlamento sul caso Almasri, ma la denuncia ha cambiato le carte. Resta da capire se sia giusto che un atto, che con ogni probabilità si chiuderà prestissimo con un’archiviazione, e che comunque mai superebbe l’eventuale vaglio di un’autorizzazione a procedere, debba e possa essere preso a pretesto per cambiare il calendario dell’attività del Governo e del Parlamento.
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