Giorgia Meloni è indagata per il rilascio di Almasri

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Nel pomeriggio di martedì 28 gennaio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicato un video sui social network in cui ha fatto sapere di essere indagata per la scarcerazione del carceriere libico Njeem Osama Almasri Habish, meglio conosciuto come Almasri. Nel video, Meloni ha detto di avere ricevuto «un avviso di garanzia» dal procuratore della Repubblica di Roma Francesco Lo Voi «per i reati di favoreggiamento e peculato». La presidente del Consiglio ha aggiunto che insieme a lei sarebbero indagati anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, quello dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. «Io penso che valga oggi quello che valeva ieri. Io non sono ricattabile, non mi faccio intimidire, è possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore. Ma anche soprattutto per questo intendo andare avanti per la mia strada a difesa degli italiani, soprattutto quando è in gioco la sicurezza della nazione», ha aggiunto Meloni, lasciando intendere che questa indagine sia volta a bloccare la politica del governo.

Su quest’ultimo punto, è bene precisare che la presidente del Consiglio e i suoi colleghi non hanno ricevuto un avviso di garanzia, come impropriamente detto da Meloni, ma una comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, che è invece un atto dovuto. L’informazione di garanzia, meglio nota come “avviso di garanzia” è lo strumento con cui un indagato viene a conoscenza di un procedimento penale a suo carico, nel momento in cui il pubblico ministero compie un atto di indagine al quale il difensore ha diritto di assistere. La comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, invece, è semplicemente informativa che viene mandata come atto dovuto ai soggetti interessati da notizia di reato che li riguarda, come nel caso di Meloni e degli altri ministri. Come ha precisato l’Associazione nazionale magistrati (ANM), la comunicazione mandata alla presidente del Consiglio e ai suoi colleghi è un atto dovuto, e non discrezionale. Tra l’altro, questo è previsto dalla legge costituzionale del 1989 che stabilisce le regole sui procedimenti giudiziari nei confronti degli esponenti del governo. In base a questa norma, ricevuta la denuncia nei confronti di un ministro, il procuratore della repubblica deve inviare entro quindici giorni gli atti al tribunale dei ministri e deve comunicare la notizia anche al diretto interessato, ossia l’esponente di governo, senza compiere indagini.

Tornando al caso di Almasri, quest’ultimo è il capo della polizia giudiziaria libica, responsabile della prigione di Mitiga, a Tripoli, in cui sono spesso trattenuti i migranti che cercano di partire dalle coste libiche verso altri Paesi come l’Italia. Come hanno documentato varie organizzazioni non governative e umanitarie, nelle carceri libiche i migranti sono sottoposti a trattamenti inumani e a detenzioni arbitrarie. Il 18 gennaio la Corte penale internazionale (CPI) ha emesso un mandato di cattura internazionale nei confronti di Almasri, accusato tra le altre cose di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra. Il giorno dopo Almasri è stato arrestato dalla Digos a Torino, in attesa dello svolgimento dei procedimenti relativi alla sua consegna alla CPI.

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Il 21 gennaio, però, Almasri è stato rilasciato dalle autorità italiane e portato in Libia. Nell’ordinanza di scarcerazione, la Corte d’Appello di Roma, responsabile per i mandati di cattura della CPI, ha dichiarato «l’irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale». In pratica, il motivo del rilascio di Almasri sarebbe stato il mancato via libera all’arresto da parte del Ministero della Giustizia al procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma. Secondo la legge, infatti, è il ministro della Giustizia a curare i rapporti tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale, dando seguito alle richieste provenienti dalla corte stessa.

Non è chiaro perché il Ministero della Giustizia non abbia dato il via libera all’arresto. Il 22 gennaio la Corte penale internazionale ha fatto sapere che «sta cercando, e deve ancora ottenere, la verifica delle autorità sulle misure che sarebbero state adottate» sul caso del carceriere libico. Secondo fonti stampa, le autorità libiche avrebbero minacciato il governo italiano di far aumentare le partenze di migranti dalle coste libiche se Almasri non fosse stato rilasciato. 

La Libia è uno degli Stati con cui da tempo i governi italiani stanno intrattenendo rapporti per cercare di bloccare l’arrivo di migranti nel nostro Paese.



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