Hanno seguito una donna che andava a prendere il figlio a scuola, per convincere il proprio convivente a pagare. Hanno picchiato a sangue un commerciante, che aveva opposto resistenza alla richiesta estorsiva. Infine, a scanso di equivoci, uno dei boss era stato chiaro: «Io posso finire in cella, mi faccio la galera, ma noi siamo trecento e verremo comunque a chiedere soldi e rispetto», la sintesi delle minacce agli atti. Soldi e rispetto in cambio del via libera a gestire un bar all’interno del Porto di Napoli. Firmato clan Mazzarella. Racket nel porto di Napoli, dunque, tre arresti.
La storia
Una storia che conviene raccontare da una premessa: estorsioni e richieste di pizzo sono state consumate nel 2022, quando alcune parti offese decidono di rivolgersi alle istituzioni e denunciare.
Gli arresti, però, arrivano a distanza di tre anni rispetto alla richiesta inoltrata dal pm della Dda di Napoli. Tre anni di attesa, nel corso dei quali è facile intuire la solitudine (e la paura) di chi ha vissuto con i propri presunti taglieggiatori fuori la porta. Un gap cronologico, sul quale è intervenuto di recente il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, che dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia ha detto: «Conosco il valore e lo spirito di attaccamento al lavoro da parte dei giudici di Napoli, ma quell’ufficio è sovradimensionato. Bisogna intervenire, anche perché pendono circa 1400 richieste di arresto da diversi mesi».
E torniamo al blitz di ieri mattina. Tre ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state firmate dal gip Maria Rosaria Aufieri, su richiesta del pm della Dda di Napoli Simona Rossi, sotto il coordinamento dell’aggiunto Sergio Amato. Ordine di arresto per il 52enne Gennaro Mazzarella, soprannominato «bomba a mano», figlio di Vincenzo Mazzarella, a sua volta definito ‘o vichingo (cugino di Vincenzo Mazzarella detto ‘o scellone e deceduto nel 2018). Ordine di arresto anche per Gustavo Alek Noviello, 33 anni, e Salvatore Barile, 40 anni. Le indagini iniziano dopo l’aggressione subita dal titolare di un bar che si trova all’interno del porto di Napoli.
Napoli, estorsioni al porto per il clan Mazzarella: 3 arresti
I pagamenti
Secondo quanto emerge dalle indagini il titolare del bar era stato malmenato anche a colpi di casco per evere interrotto il pagamento di una rata mensile al clan che versava per poter continuare a lavorare (500 euro al mese). Indagini partite dopo l’aggressione subita dal titolare di un bar che si trova all’interno del porto di Napoli, ma residente in provincia. Il clan Mazzarella – è la ricostruzione della Procura di Napoli guidata da Nicola Gratteri – aveva imposto il pizzo all’imprenditore, poi vittima di un violento pestaggio poiché avrebbe interrotto i pagamenti. Per intimorire le vittime gli estorsori evidenziavano l’imponente dotazione di affiliati a disposizione del clan Mazzarella, un’organizzazione criminale, sostiene una delle persone arrestate, per la quale «lavorano» ben 300 persone.
I numeri
Al lavoro i carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Torre del Greco (Napoli), che hanno ascoltato parti offese e hanno ricostruito il modus operandi della cosca radicata dalla zona del Mercato ai comuni vesuviani. In un’altra intercettazione, lo stesso indagato, non esita nell’affermare che le estorsioni, nel porto di Napoli – ma anche in provincia a San Giorgio a Cremano, e fino a Portici – erano nelle mani del clan Mazzarella, cioé di una famiglia malavitosa che si contrappone alla federazione criminale conosciuta come «l’Alleanza di Secondigliano» e composta dai clan Licciardi, Contini e Mallardo. Ma il pressing sul commerciante dell’area vesuviana (con un bar nel porto di Napoli) è asfissiante: minacce esplicite («ti taglio la lingua») per zittire sul nascere ogni tentativo di denunciare, con il riferimento all’esercito di affiliati che renderebbe spuntato l’intervento delle forze dell’ordine. Stando a quanto emerge dalla ricostruzione agli atti, una donna sarebbe stata seguita mentre andava a prendere il figlio a scuola, mentre un’anziana donna era stata contattata dagli stessi estorsori. Una trama oppressiva, denunciata in tempo reale: ma gli arresti sono arrivati tre anni dopo, una eternità per chi convive con l’arroganza camorristica.
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