Esistono musicisti celesti, che con la loro musica ci trascinano in regni ignoti che sono altrove inimmaginati, distese di libertà. Tra questi musicisti sovrannaturali c’è Hania Rani, pianista polacca, 34 anni, collezionatrice di Fryderyk Awards, la cui musica è scesa sulla terra come dalla fitta radura di un luogo ignoto.
Il suo ultimo album, Nostalgia, è la registrazione di un concerto del 2023 presso lo studio Witold Lutosławski della radio polacca a Varsavia, dove Rani è andata per suonare il disco Ghosts. Durante la performance la musicista si lascia andare al ricordo di quando era una giovane studentessa di pianoforte alla Chopin University of Music e visitò per la prima volta gli spazi della radio polacca, gli stessi spazi dove ha registrato il disco di debutto, Esja, pubblicato nel 2019 da Gondwana Records.
Vocazione a sperimentare
All’epoca Hania Rani non poteva sospettare che si sarebbe affermata come una delle più originali protagoniste della scena musicale neoclassica contemporanea, ma basta lasciare andare l’orecchio alla prima traccia (Eden) del suo disco solista di esordio, per capire lo speciale carattere di questa pianista di formazione classica con la vocazione a sperimentare e contaminare.
Hania Rani possiede tecnica, cuore, inventiva: con il movimento e il tocco delle dita sul pianoforte riesce a rievocare il sublime del suono, fare ascendere i demoni del cuore al paradiso. Una speciale catarsi in cui volentieri ci si smarrisce.
Negli ultimi anni una nuova generazione di artisti ha rivitalizzato la musica neoclassica missando elementi sintetici, elettronica, rumori di fondo, suoni analogici. Musicisti come il tedesco Nils Frahm hanno saputo intessere l’elettronica con il pianoforte, sintetizzatori e drum machine, creando misture di grande fascino.
Frahm ha descritto la sua musica come un dialogo simbiotico con le macchine: sul palco suona da solo circondato di strumenti e macchine sonanti, nella sua ricerca è stato un avanguardista. Sotto questi influssi la classica si è intrecciata alla modernità, e ha trovato nuovi ascoltatori, appassionati o semplici uomini e donne in fuga dal presente. Le sale da concerto si sono riempite, gli album moltiplicati.
In questo clima l’etichetta Gondwana Records di Manchester intercetta il bisogno di nuovi artisti pionieristici e sperimentali, e mette sotto contratto la giovane pianista Hania Rani. È una bella intuizione, e con il secondo album Home (2020), il talento di Hania Rani viene alla luce dal sottobosco; c’è chi narra sia complice la pandemia che ha portato più persone ad ascoltare questo genere di sonorità strumentali, chi ci vede semplicemente una congiuntura, la qualità degli arrangiamenti curati dai musicisti collaboratori, o la voce di Rani che appare in alcuni frammenti.
Letale, minimale, affilato, Home è una sinfonia di rumori, abbagli, tasti di piano, schizzi di melodia, armonie ascendenti, incursioni di batteria. Ci sono momenti in cui Hania Rania suona come una outsider incappata per caso nel suo talento, altri in cui è semplicemente profonda.
Dopo Home la musicista polacca ha continuato a perfezionare la sua tecnica, ha cercato di oltrepassare sé stessa, non si è mai tirata indietro di fronte alle sfide della contaminazione. Nemmeno lei sembra rendersi conto di come sia cresciuto il pubblico di persone interessate alla sua musica; in fondo è solamente una pianista, ma con quel piano ha riempito teatri, sale concerto, o il cortile degli Invalides a Parigi, dove si è esibita in una elettrizzante sessione live di gruppo. Ci sono delle ragioni se le persone hanno cominciato ad ascoltare la sua musica.
In simbiosi
Hania Rani suona il pianoforte in una maniera tutta speciale. Basta guardare un video qualsiasi su internet per osservare la simbiosi. La pianista si corica sullo strumento e lo possiede in una maniera fisica; ci si riversa sopra anima e corpo. Questa mistica del pianoforte arriva all’ascoltatore per osmosi: quando Hania Rani suona sentiamo un corpo solo suonare, quasi che non ci sia distinzione tra le sue dita e i tasti neri e bianchi.
Dopodiché c’è un eclettismo artistico nel mondo musicale di Rani, un modo di osare contaminazioni jazz, incursioni ambient, sussurri scuri, canti minuti, che si è andato approfondendo fino al disco della liberazione dei fantasmi, Ghosts.
In Ghosts le collaborazioni di musicisti come Patrick Watson o l’islandese Ólafur Arnalds hanno contribuito a creare una patina di vischio morbido e magia, ma a modulare il suono e l’atmosfera è la stessa Hania Rani, che ha cominciato a lavorare al disco durante un ritiro svizzero. La musicista polacca ha raccontato di preferire suonare da sola per una formazione da musicista classica.
Ha imparato a suonare il pianoforte da bambina, intuendo che la musica fosse qualcosa che va al di là dell’intelletto. La musica è subconscio, ci tiene a dire Hania Rani, e difatti ascoltare i suoi album ci riporta a una sorgente, al linguaggio universale che è la musica.
Hania Rani scende nella sorgente interiore per tirare fuori suoni, li sbriglia. Tra i suoi ispiratori ci sono Alberto Giacometti (a cui ha dedicato un album), Nils Frahm, e naturalmente Chopin e molta musica classica che ha incorporato nella mente da ragazza. Questa memoria si è intrecciata al nostro tempo, ai suoi macchinari digitali, e ne è venuto fuori un prodigio di suoni scavalca-tempo e spazio.
E così la musica di Hania Rani suona come poteva suonare quella dei primi jazzisti che facevano vibrare di energia il sottopalco, primordiale e figlia del proprio tempo. Il pianoforte rinasce ancora a strumento eccitante. Rintocchi noise e pennellate elettroniche ci incamminano a nuove traiettorie. L’ultimo disco live, Nostalgia, è un’esperienza di ascolto che non va mancata.
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