Com’è tornare a casa, se abitavi nel nord della Striscia di Gaza

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Da quando è iniziato il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, centinaia di migliaia di civili palestinesi che negli ultimi 15 mesi erano stati sfollati nel sud stanno tornando a nord, dove abitavano prima dell’inizio della guerra. Molti di loro non hanno trovato nulla al loro arrivo, a parte le macerie: la maggior parte degli edifici è stata distrutta dai bombardamenti israeliani, che hanno colpito parecchio il nord perché lì l’esercito riteneva si nascondessero molti miliziani di Hamas.

Diversi civili hanno raccontato ai media internazionali di essere contenti di tornare: «Dovercene andare ci ha insegnato che non dobbiamo mai più lasciare la nostra casa» ha detto ad Al Jazeera Radwan al-Ajoul, un uomo di 45 anni padre di otto figli. «La sensazione di rientrare è indescrivibile». «Siamo sopraffatti dalla gioia: siamo finalmente nel nostro quartiere, vicino agli amici e alla famiglia», ha raccontato al New York Times Rajab al Sindawi, un commerciante di 49 anni che da Gaza si è dovuto spostare con la moglie e sette figli in altre tre città della Striscia a causa della guerra.

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Allo stesso tempo, trovare la propria casa distrutta e tutte le strade coperte di rovine crea inevitabilmente un senso di disperazione. «La nostra casa è stata distrutta, e sembra che anche il nostro futuro non esista più», ha aggiunto al Sindawi. Saadiya Abdulal, una donna palestinese la cui famiglia è stata uccisa dai bombardamenti, ha detto a CNN:«Sto tornando a casa ma non vorrei. […] Da chi torno? Non ho una casa e non ho nessuno».

Palestinesi sfollati rientrano a piedi durante il secondo giorno dall’apertura del corridoio Netzarim, 28 gennaio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)

La città principale del nord della Striscia è proprio Gaza, dove prima della guerra abitavano più di 700mila persone. Oggi negli edifici rimasti interi mancano l’acqua corrente e l’elettricità. Non ci sono ospedali funzionanti, né scuole o altre strutture per accogliere gli sfollati. Le organizzazioni umanitarie si stanno mobilitando per assistere chi arriva qui, distribuendo cibo, strumenti per l’igiene personale e delle tende in cui sistemarsi. Ma secondo Sam Rose, il direttore dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, assistere la popolazione nei prossimi mesi e anni sarà «un enorme, enorme lavoro».

Molti in queste ore hanno lasciato i campi per sfollati nel sud per ritrovarsi a vivere nella stessa condizione una volta arrivati al nord. «Ero felice e stavo cantando lungo la strada del ritorno, ma poi ho raggiunto casa mia e sono rimasto deluso dalla distruzione che ho trovato davanti ai miei occhi. Non sarei voluto tornare», ha raccontato a BBC Imad Ali al-Zain, un uomo di 48 anni. Anche Saif al-Din Qazaat è nella stessa situazione, ma ha detto di essere «contento di essere tornato a casa», anche se al momento vive in una tenda accanto alle macerie di quello che era il suo appartamento.

– Leggi anche: Le foto della Striscia di Gaza in macerie

Come parte dell’accordo per il cessate il fuoco, il 27 gennaio l’esercito israeliano ha riaperto il traffico attraverso il cosiddetto corridoio di Netzarim, la linea che divide il nord della Striscia di Gaza dal resto del territorio. Secondo le stime delle Nazioni Unite, da quel giorno più di 370mila civili sono tornati nel nord.

Chi si muove a piedi lo sta facendo con fatica lungo la strada costiera di Al Rashid, dissestata a causa dei bombardamenti; chi ha un mezzo proprio sta invece utilizzando la strada Salah al-Din, nell’entroterra. Da Khan Yunis, nel sud, fino alla città di Gaza ci sono circa 30 chilometri. «Il viaggio è estenuante e molto difficile, ma siamo determinati a rientrare» ha raccontato Rifaat Jouda, che si sta spostando assieme a suo figlio, che ha la sindrome di Down. «Tanto che differenza fa? Ci spostiamo da una situazione difficile a un’altra ancora peggio. Ricostruiremo quello che possiamo, ma tornare ci ha risollevato lo spirito e rinnovato la speranza».

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27 gennaio 2025 (Abdul Rahman Salama via ANSA)

La ripresa degli spostamenti sta permettendo a molte famiglie che erano state separate dalla guerra di ricongiungersi. Mona Abu Aathra è una ragazza di vent’anni originaria di Beit Hanoon, una cittadina molto vicina al confine nord della Striscia. «Siamo tornati nella città di Gaza senza niente. Non c’è l’acqua potabile, e molte strade sono ancora bloccate dalle macerie», ha detto ad Al Jazeera, aggiungendo poi: «È la prima notte che dormo di nuovo insieme a mia madre e mio padre. Ieri sera ci siamo riuniti con i miei tre fratelli».



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