«Sì alla sinistra “divisa” al voto. Ma serve un Patto repubblicano»

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L’ex senatore “emenda” la proposta Franceschini: «Prima va scritto un manifesto di valori». Su Schlein candidata premier: « Un boom alle urne la porterebbe naturalmente a palazzo Chigi»

«Condivido l’ispirazione di Dario Franceschini, ha svolto un ragionamento intelligente per far crescere le probabilità di vittoria del centrosinistra». Goffredo Bettini, fondatore del Pd e, nella scorsa stagione, fra i padri dell’alleanza giallorossa, ragiona sulla proposta elettorale dell’ex ministro (la tagliamo grossa: un patto per l’uninominale senza accordo di programma) che ha agitato il centrosinistra.

«Io, del resto, ho parlato più volte della necessità di costruire la nostra alleanza a “maglie larghe”. Il Pd, grazie a Elly Schlein, non dimentichiamolo mai, cresce in tutti i sondaggi; la sinistra di Avs combatte al meglio; il M5s è stato attraversato da una tempesta che lo ha scosso dalle fondamenta. Conte ha resistito e ha vinto, tanto di cappello. Ma è evidente che il recupero passa per un rafforzamento dell’identità, autonomia e persino intransigenza di M5s. Così come il soggetto di “centro” è ancora tutto da pensare e realizzare. Oggi è presidiato solo da Renzi e Calenda, difficilmente compatibili, e comunque non in grado di rappresentare le potenzialità di quest’area decisiva per vincere. Siamo in grado, prima del voto, di mettere insieme su un programma di governo e su una leadership tutte queste diversità?».

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No, sostiene Franceschini.

E allora sarebbe utile stringerle fino a farle esplodere in ripetuti conflitti che sfocano l’immagine della nostra parte, a tutto vantaggio di Meloni? Rischierebbe di impazzire la maionese, come accadde a Enrico Letta, provocando una sconfitta che si sarebbe potuta evitare. Dieci anni di Meloni sarebbero uno sradicamento storico e permanente della Repubblica.

Significa rinunciare alla proposta di un’altra Italia, che non sta a destra?

No, ma a certe condizioni. Se si lasciano le forze democratiche a briglie più sciolte, ognuno si impegnerà su propri temi, quelli convincenti agli occhi del proprio elettorato. Naturalmente occorre continuare a praticare lotte comuni su ciò che già si unisce. E nei collegi uninominali si potrebbero individuare candidature di alto prestigio sostenute da tutti. Dopo il voto, si deciderebbero le cose da fare, un programma di legislatura, una composizione di governo e la leadership. Sarà molto più facile designare il vertice di governo. Sottraendo tale questione ad un preventivo e opaco gioco di delegittimazione, che mi sembra già iniziato. Non significa andare divisi, ma diversamente uniti.

L’ipotesi di Franceschini sembra però togliere dal campo la premiership di Schlein. È così?

No. Al contrario dopo un successo elettorale diventerebbe naturale la sua guida del governo.

Non è che invece, in caso di vittoria del centrosinistra e di difficoltà a fare una maggioranza, qualcuno pensa di fare un’offerta a Forza Italia?

No. Lo escludo.

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Ma si può chiedere a un elettore di votare senza offrire la garanzia di fare poi un governo?

Infatti allo schema immaginato da Dario, aggiungo una questione che a me sembra rispondere a questa obiezione. Il programma concreto dell’esecutivo si può contrattare dopo il voto, ma prima non si può rinunciare a una comune visione di fronte a ciò che sta accadendo in Italia e nel mondo. Non solo per difenderci, ma per mettere in campo un’idea di società, il nostro sogno alternativo. Siamo a un tornante della storia nel quale le nostre piccole e grandi differenze sono spazzate via dalla domanda che tutte le altre sovrasta e rende vane: quale sarà la nostra vita, natura, forma antropologica? Trump e Musk disegnano un orizzonte post-umano, nichilista, violento, armato dai nuovi strumenti della tecnica e della scienza. Il turbocapitalismo, nelle attuali forme, impone una vita molecolare e ignara. Credo che tutti i democratici siano uniti da un’idea di società che pratichi il senso umano dell’incontro, di chi si spende contro la “cosizzazione” di tutti gli esseri viventi. Siamo uniti da un sogno e una speranza molto concreta, che si declina nella promozione della scuola, della sanità pubblica, di città vivibili, di una burocrazia non opprimente, di un’imprenditoria corretta e sana, di salari dignitosi, di donne libere, di emarginati e poveri curati e protetti, di un ambiente vivibile e salvaguardato, di una sicurezza sociale e individuale, di una integrazione civile e moderna. Potrei continuare. È la parte della barricata contraria all’incubo anaffettivo di Trump e Musk.

Meloni sta da quella parte della barricata, e prende molti consensi.

Meloni ha conquistato consensi con il “patriottismo”. Quale “patriottismo”? Si è autovincolata ad una servitù atlantista e al dominio dell’ultradestra Usa; è una falsa europeista perché tenta di squilibrare l’Europa legittimando i sovranisti, i violenti e i neonazisti. Infine, spinge l’Italia all’irrilevanza, rinunciando ad una sua autonomia e una sua politica estera.

Il centrosinistra unito sui “no”?

Ci unisce l’amore per la nostra terra e per la nostra patria. La lealtà verso la Costituzione, che non è un cielo di stelle fisse ma di principi da rispettare e rinnovare alla prova del presente. Andare al voto con questo patto patriottico, repubblicano, di liberazione umana è necessario e possibile. Un vincolo che raccolga le splendide parole dell’arcivescovo di Milano Delpini, la tradizione socialista, cattolica, laica del Pd, la politica fondata sulla partecipazione del Movimento 5 stelle, la modernizzazione giusta di un’area di centro, Renzi e Calenda che hanno detto parole nette contro la deriva della destra mondiale. E mi piacerebbe che Romano Prodi, il solo che ha vinto due volte Berlusconi sul campo, insieme ad altre grandi personalità della nostra storia, si incaricasse di scrivere un manifesto, capace di racchiudere questo sentimento di alternativa.

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