perch� sarebbe meglio non cedere all’ottimismo

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L’occupazione a novembre cala, ma solo molto leggermente e, con buona pace di Landini, soltanto per quanto riguarda i lavoratori con contratti a termine: gli occupati sono -0,1% rispetto al mese precedente, ma pur sempre +1,4% rispetto a un anno fa.�Ancora meglio, il calo, pur minimo, � stato totalmente a carico�della componente maschile, rimpiazzata da un aumento di quella femminile. Viceversa, scende il tasso di occupazione�delle fasce giovanili: -2,6% nella fascia 15-24 anni rispetto a ottobre e addirittura -4,4% rispetto a un anno fa;�dello stesso segno, anche se pi� moderato, il trend della fascia 25-34 anni, rispettivamente con -0,8% e -0,1%. In compenso cresce l’occupazione�delle fasce pi� anziane, dal +0,2% allo 0,3%: segnale inequivocabile di un�mercato del�lavoro�che,�complici anche necessit� e dinamiche del sistema pensionistico,�trattiene il pi� a lungo possibile gli occupati, magari un po’ anziani ma con esperienza professionale e affidabilit� aziendale.

Ma al di l� di questi segnali che indicano�uno stato�del�mercato�del�lavoro�ambiguo e tutto da interpretare,i dati Istat, sicuramente discreti sul piano statistico, potrebbero essere immersi in un bagno di dati globali sull’andamento�dell’economia per fornire informazioni pi� utili ma anche crude. Il PIL acquisito per il 2024 � un +0,5% rispetto al 2023 ma la crescita�del�terzo trimestre � zero, nonostante abbia avuto 3 giornate lavorative in pi� rispetto al secondo. I consumi�delle famiglie segnano un +0,8%, ma l’esportazione diminuisce�dello 0,9%, mentre l’import aumenta�dell’1,2%. Gli investimenti fissi diminuiscono di 1,2 punti e la produzione industriale diminuisce�dell’1,5% rispetto a un anno fa. Pi� nel dettaglio cala il valore aggiunto prodotto dall’industria (-0,7%) e sale leggermente quello dei servizi (+0,2%). Per quanto concerne il�lavoro,�nel terzo trimestre i posti di�lavoro sono aumentati�dello 0,5%, ma il monte ore lavorato solo�dello 0,2% e i redditi di lavoro dello 0,9%�(chiaramente in relazione all’entrata in vigore dei CCNL sottoscritti durante il 2024). Il monte ore lavorate su base congiunturale (dati destagionalizzati) diminuisce�dello 0,2% nell’industria e�dello 0,3% nei servizi; su base annua (al netto degli effetti di calendario), cala�dello 0,5% nell’industria mentre cresce�del�2,2 nei servizi. Le ore lavorate per dipendente diminuiscono sia in termini congiunturali, nell’industria e nei servizi (dello 0,3% e�dell’1,2% rispettivamente), sia rispetto al terzo trimestre 2023 (nell’industria�dell’1,5% e nei servizi�dello 0,6%). L’incidenza�delle ore di straordinario sulle ore lavorate � pari al 2,9%, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto al terzo trimestre 2023.

In particolare, va evidenziato il dato sul rapporto occupazione/valore aggiunto: la prima aumenta pi��del�doppio�del secondo;�segno che la produttivit�del�lavoro, gi� bassa, scende anzich� aumentare.�Gli archivi suggeriscono che tra il 2014 e il 2022 la produttivit� era cresciuta�dello 0,5%, ma nel 2023 � precipitata�del�2,5%. Ci� � in parte dovuto a un trend pluridecennale, e ancor pi� al fatto che durante la recente inflazione le aziende hanno trovato pi� economico investire in forza�lavoro�(i salari non crescevano con i prezzi) piuttosto che in altri fattori.� Fatto che sta che la bassa produttivit�della forza�lavoro�si accompagna, statisticamente, con bassi salari e crescita occupazionale nelle fasi di crescita�del�mercato. Si sta parlando ovviamente di una media tra i diversi settori produttivi, ma tenendo conto�della rilevanza enorme che hanno le piccole e piccolissime imprese e settori a basso valore aggiunto, la media ne � fortemente condizionata. Tra il 1990 e il 2020 a parit� di potere d’acquisto il salario medio italiano ha perduto circa l’1% di potere d’acquisto, e tra il 2020 e il 2023 a fronte di un’inflazione�del�17% � aumentato solo�dell’8%. L’OCSE lo ha scritto per il secondo anno di fila�nel suo Employment Outlook 2024:l’Italia � il Paese in cui gli stipendi dei lavoratori, di fronte all’inflazione, hanno perso maggiore potere d’acquisto.�L’equazione�bassa produttivit� – bassi salari – alta occupazione�parla di un Paese�del�terzo mondo. O, piuttosto, di un Paese spaccato in due, con alcuni settori (farmaceutica, alimentari, etc) agganciati al trend mondiale di crescita�del dopo COVID, ma altri in cui eravamo ai vertici (manifattura, tessile, etc) in decrescita.�

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In generale, � evidente che il sistema economico scommette su un alto input di�lavoro�a prezzi contenuti.�Da questo punto di vista, la politica�del�governo, primariamente focalizzata a ridurre i costi�del�lavoro�(decontribuzioni, incentivi alle assunzioni, etc.) si � perfettamente integrata con l’orizzonte strategico�delle imprese.�D’altra parte,�la crescita inoppugnabile dei posti di�lavoro,�il massimo successo rivendicabile in queste circostanze,�porta con s� due corollari: uno � pregiato (il tasso di disoccupazione al 5,7%, inferiore dopo decenni alla media europea); l’altro � invece un dato molto negativo, che genera quello positivo sulla disoccupazione.�Il tasso di inattivit� cresciuto al 33,7%: +0,7% rispetto a un anno fa, nessuno in Europa come noi…). A essere penalizzati soprattutto i giovani, con 94mila under 35 inattivi in pi� tra ottobre e novembre 2024: nella fascia tra i 25 e i 34 anni, il tasso di inattivit� � cresciuto�dell’1,2% in un mese. Spostando il confronto su base annua, il numero di occupati nella fascia di et� 25-34 anni � diminuito di 38mila unit�, quello dei disoccupati di 76mila unit�, mentre quello degli inattivi � aumentato di 156mila unit�:�cresce costantemente il numero di giovani che sono esclusi (o che si escludono) dal�mercato�del�lavoro.�Tutto ci� in un Paese nel quale pi� di un terzo�della popolazione non lavora e non cerca�lavoro!

Questa situazione insolita e insana si accompagna a un fenomeno altrettanto insolito nelle dimensioni che assume in Italia,�quello�del�mancato incontro tra domanda e offerta di�lavoro�(mismatch).�Si tratta in questo caso di un dato abbastanza stabile negli ultimi anni, e che si pu� riassumere come segue: l’indice dei posti vacanti nelle imprese � stabile attorno al 2% ma le imprese non riescono ad assumere neppure il 50%�delle figure professionali che ricercano, e non parliamo di numeri marginali: per il mese di novembre si parlava di 475mila assunzioni, di cui solo 65mila senza particolari professionalit�, ma appena il 52% si sono realizzate. Opportuno notare che la maggior parte�delle mancate assunzioni sono dovute non tanto a inadeguatezza�del�profilo professionale dei candidati (solo il 12,6% dei casi) quanto piuttosto alla mancanza totale di candidature (31,9%) e che la mancanza di candidature non � affatto legata alla mancanza di profili professionali particolarmente pregiati:�anche per le professioni non qualificate mancano le candidature,�in percentuali analoghe a quelle�delle altre professionalit�. � un dato che conferma quello sull’inattivit�. Un terzo della popolazione potenzialmente attiva non � interessato a lavorare: probabilmente, a meno di inattese svolte sul piano�della crescita economica, stiamo raggiungendo un tasso di disoccupazione frizionale, al di l�del�quale non si potr� andare se non abbattendo il muro�dell’inattivit�.�

Tuttavia, questa svolta incontrerebbe un problema paradossale. Come detto prima, la crescita economica�post-pandemica � stata trainata dai bassi salari, in parte significativa rafforzati da sconti fiscali e bonus vari e per nulla spinti al rialzo dall’incontro tra una domanda alta e un’offerta molto bassa, come prevede l’economia classica.�Un effetto collaterale di questa insolita situazione consiste nella cosiddetta “fuga dei cervelli”:�circa 30mila laureati ogni anno (cifra che cresce gradualmente, soprattutto in lauree STEM (scientifiche, matematiche, tecnologiche) vanno a cercare�lavoro all’estero, dove guadagnano tra il 50% e il 70% di quel che guadagnerebbero in Italia.

In definitiva, nonostante l’ottimismo�del�governo, l’Italia ha di fronte una prospettiva economica che mostra fragilit� preoccupanti� e che potrebbe cominciare a perdere i petali�del�“fiore all’occhiello”�dell’occupazione.



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